Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

stica, e la sua esperienza, spesso vissuta in diretta, di uomini e cose, tendono comunque sempre a un centro, a un motivo dominante, al fallimento del romanzo tedesco del XIX secolo, alla fine dell'epoca borghese. Il pensiero di Lukàcs viene ripercorso con modalità nuove, riuscendo ad evitare i tranelli semplicistici della costruzione aprioristica: la letteratura tedesca, per Mayer, diversamente dal romanzo francese e da quello russo, è rispecchiamento di un mondo politicamente letargico, di un mondo votato al compromesso, e il dr. Faust è il rappresentante della fine dell'artista borghese. Come dice F. Raddatz, "Hans Mayer è un illuminista non fideistico: per tutta la sua vita ha elaborato il pensiero dell'illuminismo, lo ha parafrasato, ha analizzato la rivoluzione francese: ma all'illuminismo non ha mai creduto totalmente, e non solo nel suo libro I diversi, per lui l'illuminismo è sempre soltanto stato un principio di energia, mai un fine". Proprio questo scetticismo lo avvicina alla categoria del "particolare", della "diversità" perché, e di questo Hans Mayer è fortemente convinto, riprendendo la formulazione di Broch, non può esserci socialismo senza democrazia e democrazia senza socialismo, e di seguito, nessuna forma democratica è possibile, sia essa socialista o borghese, senza il rispetto totale dell'integrità dell'individuo. Questo è il compito che l'illuminismo ha lasciato a metà, di cui la letteratura e la scienza devono contribuire a fare avanzare il corso. ANTOLOGIA GIORNALISTI Soren Kierkegaard Questa gente ha il nome dal "giorno". A me sembra che si potrebbero chiamare meglio dalla notte. Per questo propongo, dal momento che giornalista è anche una parola straniera, di chiamarli: "notturni", "il sindacato dei notturni". A me non sembra affatto che codesto termine di "notturni" convenga a quelli a cui ora è applicato, agli addetti alla pulizia dei pozzi neri. Son veramente i giornalisti i "notturni"; essi non portano via le immondezze di notte, ciò eh 'è cosa onesta e una buona azione; essi immettono le immondezze di giorno o, per essere ancora più precisi, riversano sugli uomini "la notte", le tenebre, la confusione: in breve sono i "notturni". (dal Diario 1854) LASUAAFRICA Fabio Gambaro Viaggiare è una chance che non bisogna sprecare, è un'opportunità di cui occorre saper raccogliere i frutti. Infatti, attraversare luoghi diversi da quelli che frequentiamo abitualmente è sempre un'occasione per allargare la nostra conoscenza del mondo e il campo delle nostre esperienze; così, visitare mondi radicalmente diversi dal nostro quotidiano dovrebbe offrirci la possibilità di rivedere e arricchire le nostre coordinate e i nostri parametri tramite l'incontro con l'altro da sé, rappresentato dagli uomini e dai luoghi in cui ci imbattiamo, dalle realtà sociali, culturali, economiche ed ecologiche che si dispongono lungo le tappe del nostro percorso. Chi viaggia poi dovrebbe raccontare le proprie esperienze, rendendo partecipe delle conoscenze acquisite chi invece non ha avuto tale possibilità. Le relazioni di viaggio hanno appunto questo scopo: offrire l'occasione a chi non ha viaggiato di disporre di un numero esauriente d'informazioni relative ad un determinato luogo. Ma oggi, nell'epoca in cui il turismo di massa ha raggiunto anche i luoghi che un tempo erano esclusiva riserva di esploratori e avventurieri, il resoconto di viaggio ha acquisito anche una nuova funzione: offre al viaggiatore che non è stato capace di fissare con la penna emozioni ed impressioni la possibilità di dar corpo alle sensazioni provate in viaggio, riuscendo a dare un ordine e una forma a ciò che nel vivo dell'esperienza era solo un coacervo indistinto di pensieri ed emozioni. È in quest'ottica che si collocano le esperienze africane di Luca Goldoni raccolte nel volume la tua Africa (Rizzoli, 1986), un libro nel quale il noto giornalista ripercorre le tappe della sua personale scoperta del continente nero e, in particolare, delle grandi savane keniote. E già il titolo mostra, più che lo scontato riferimento all'opera della Blixen, la volontà dell'autore di voler coinvolgere direttamente il lettore nelle sue divagazioni africane: le sue sono, infatti, impressioni e sensazioni alla portata di tutti, ricordi di un'Africa che "può essere di chiunque voglia scoprirla sotto la scorza turistica e sappia vivere in solitudine anche fra la gente". Ogni turista, si sa, si illude sempre di non esserlo; ognuno pensa sempre di essere diverso dalla massa degli altri, di aver scoperto i luoghi più suggestivi e meno turistici. Pure Goldoni la pensa più o meno così, ironizzando in più di un'occasione sui turisti, i loro riti, le loro manie e le loro paranoie, anche se poi egli non si discosta molto dai loro comportamenti e dai loro atteggiamenti mentali, e finisce col riproporre una percezione della realtà africana che non si discosta di molto dai più tipici clichés del turismo esotico: quella che viene celebrata è ancora una volta l'Africa dei grandi spazi e delle forti emozioni, l'Africa eterna e selvaggia - "senza storia o con una storia trascurabile" - che sola sa dare il brivido al cacciatore d'immagini, di sogni e sensazioni. Quelle di Goldoni sono, dunque, impressioni di viaggio appena riordinate in capitoli monotematici dall'andamento asistematico e divagante: la caccia, il mal d'Africa, i turisti, la magia, il rifiuto della civiltà bianca, etc. Dove solo raramente, e molto superficialmente, l'attenzione dell'autore si sofferma sulla storia, sulle vicende politiche, sui problemi eèonomici e sociali del paese, dedicandosi invece alle note di costume, ai paesaggi, agli aneddoti in un contesto di esotismo moderato, in cui di volta in volta sono collocati i "tipi" caratteristici. Quella che emerge è per lo più un'Africa di bianchi con le loro piccole avventure esotiche di vario genere: incontriamo così il piccolo imprenditore, il missionario, il pilota d'aereo, il turista, il tecnico minerario, etc. Per Goldoni l'unico specifico africano è costituito dalla vastità e dalla purezza della natura, dalla sua eternità e verginità in grado di procurare emozioni forti al viaggiatore, che per un attimo si sente vicino all'essenza della vita e del naturale, prima dell'artificiale e della tecnica. Ancora una volta, di fronte ai paesaggi e agli animali, scompaiono gli africani. L'intento dell'autore vorrebbe essere divulgativo; per questo egli spazia dalla zoologia all'antropologia, dalla letteratura alla storia delle religioni, ma troppo spesso il suo resoconto diventa superficiale e banale, zeppo di pressappochismi e inesattezze, curando piuttosto la scrittura che mira ad essere brillante e scorrevole nei canoni tipici di certo giornalismo di costume, denso di frasi ad effetto, di battute sentenziose, di procedimenti iperbolici e di una ironia leggera che garbatamente prende le distanze da tutto e da tutti, ribadendo il tradizionale individualismo dell'autore. In tale contesto finiscono per depotenziarsi anche le poche argute osservazioni che il giornalista pesca di tanto in tanto dai suoi taccuini di viaggio. Insomma, quella di Goldoni è l'Africa vista da un bianco turista che, pur criticando i comportamenti più omologati e deprecabili della categoria, in fondo in essa si riconosce ed è ad essa che propone la propria esperienza personale, nella quale sarà possibile riconoscersi e ritrovarsi sia a chi ha già visitato il continente nero, sia a chi sta ancora aspettando di partire. La sua Africa diventa così quella del lettore turista, nei confronti del quale, poi, viene praticata una strategia rassicurante che, pur salvando il contesto esotico e straniante del continente nero, mira di fatto a ricondurre costantemente il nuovo e il diverso - che necessariamente emergono nonostante Goldoni - al già noto, al già conosciuto: è per questa via che i caratteri del mondo africano sono spesso assimilati al mondo di casa nostra, dimo59

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==