Peter Bichsel. HOMONARRANS INCONTROCONPETERBICHSEL a cura di Chiara Allegra Non sarebbero probabilmente in molti a rispondere senza esitazione alla domanda: Pe1erBichsel, chi era costui? Questa però è solo la dimostrazione del fatto che la fama non vola poi in maniera tanto uniforme e soprattutto che fa fatica a scavalcare i sacri confini delle patrie. Questo scrittore svizzero di lingua tedesca - nato nel 1935 a Lucerna - gode infatti di notevole rinomanza in Svizzera e in Germania; in Italia sono state pubblicate finora tre sue opere: Il lattaio ed altri racconti, a cura di G. Zampa, Mondadori, 1967; li lettore, la narrazione, Aelia Laelia, 1985; Storie per bambini, a cura di C. Allegra, Marcos y Marcos, 1986. Quest'ultimo è decisamente uno dei libri più fortunati di Bichsel, accolto con grande favore dalla critica, ma soprattutto dal pubblico, a partire dal 1969, anno della sua pubblicazione. L'idea di scrivere storie per bambini - anche se queste storie invi- ,ano con evidenza il pubblico adulto ad una lettura complementare - nacque in Bichsel ai tempi della sua allività di maestro elementare. Ora egli è invece "libero scrittore", vale a dire scrittore a tempo pieno, ed ha anche avuto per un anno un curioso incarico, quello di "scrittore ufficiale" della città di Bergen. Bichsel fa inoltre sentire spesso la sua voce su giornali e riviste svizzeri e tedeschi, e si è impegnato politicamente anche in qualità di consigliere di un ministro socialista. Signor Bichsel, lei è stato di recente a Milano per presentare le Storie per bambini: che cosa ha detto di questo libro? Mi è molto difficile parlarne: sono quasi passati vent'anni da quando le ho scritte. Ai miei occhi queste storie rappresentano in fin dei conti una sorta di equivoco: io le considero uguali a tutte le altre cose che ho scritto, non vedo grandi differenze. La gente invece percepisce una grossa differenza, perché le considera facili, leggibili, perché ha l'impressione che abbiano un contenuto. Devo premettere che io amo molto queste Storie per bambini. In esse mi è riuscito infatti di mostrare con strumenti molto semplici che cosa io intendo con "letteratura": non tanto narrare delle storie, quanto riflettere sull'atto di narrare. Vorrei sapere infatti che cosa significa "narrare". Pertanto anche le Storie per bambini, non sono delle storie, ma gusci esterni di storie: fanno finta di essere delle storie, chi le legge o le ascolta crede di ascoltare o leggere delle storie. Però chi volesse raccontarne il contenuto a un amico avrebbe ben poco da dire. Tutto ciò mi divertiva, proprio perché quello che mi interessa è l'atto del narrare in sé; quando lei sta raccontando normalmente qualcosa a qualcuno, non sono i contenuti che alla fine creano la sua narrazione, bensì il tono in cui si racconta. Il bello del raccontare è proprio che si può farlo anche quando non si ha niente da raccontare. Non crede che il bello del raccontare stia anche nell'avere qualcuno che ti ascolti? Mi pare infatti che lei nei suoi racconti dia grande dignità al ruolo de/l'ascoltatore, ovvero del lettore, che non viene relegato nella posizione di ricettore passivo del prodotto di una mente superiore alla sua (l'autore, appunto), ma è al contrario invitato a superare le distanze, quasi si direbbe a partecipare alla creazione dell'opera. Sicuramente io posso raccontare una storia solo quando il lettore la conosce già: questo è uno degli aspetti più curiosi e caratteristici del raccontare. Io non posso raccontare al lettore qualcosa che lui non conosca di già: non posso raccontare il "blu" o il "rosso" a uno che non abbia mai fatto esperienza del blu o del rosso. In questo senso per me raccontare ha a che fare con la struttura. Il bambino eh eia sera si fa raccontare una storia dalla mamma il giorno dopo vuole esattamente la stessa storia, e guai se la mamma cambia qualcosa. Il bambino vuole sentire la voce della madre, vuole sentire una storia e non un contenuto. Ecco, io sono convinto che si tratti in questo caso della struttura, cioè del raccontare in sé e per sé. Esiste la paura che non ti venga in mente niente, la paura del diciassettenne che esce con la s,ua ragazza e non gli viene in mente niente da raccontare; ha già pensato tutto il pomeriggio: ma cosa le racconterò?, e non gli è
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