Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

litare altri generi a questo stesso scopo. Il teatro, la poesia e la narrazione con intento morale non sono niente di insolito, ma non per questo cessano d'essere la massima immoralità letteraria. La narrazione deve essere amorale, come lo è lo scopo che gli è proprio: l'evocazione di un accadimento; ogni altra intenzione che non sia questa è avventizia e bastarda nelle sue viscere. È chiaro che questo è soltanto un principio e, come tutti i principi, può essere trasgredito; ma per trasgredirlo senza danno del prodotto risultante, per scrivere.·una grande opera spuria, si richiede uno sfolgorio di talento eccezionale. Collodi non l'ebbe in alcun modo. Il romanzo morale è letterariamente immorale nella misura in cui l'intenzione bastarda interferisce con quella legittima, cioè nella misura in cui per servire all'esemplarità sempre si manipolano, si voglia o no, in un modo o nell'altro, i fatti. Si obietterà che il Pinocchio è una narrazione fantastica e che pertanto non ha senso parlare riguardo ad essa di manipolazioni. Capisce ben poco dell'arte e della fantasia chi pensi che il fantastico non può subire manipolazioni essendo già esso stesso, per intero, puro prodotto di manipolazione. L'opera fantastica, proprio come quella naturalista, ha le sue leggi di coerenza, anche più rigorose di quelle di quest'ultima, e proprio in virtù della sua libertà. E che qui nessuno mi provochi spiazzandomi ad hoc l'immagine del manipolare, perché dirò allora che anche quella che chiamiamo realtà è gia lei stessa, in tal caso, proSAGGI / SANCHEZ FERLOSIO 49 dotto di manipolazione. Il fatto che il romanzo non debba essere morale non implica però in nessun modo che non possa avere come tema proprio i conflitti morali degli uomini, anzi, al contrario, questo è precisamente uno dei suoi temi più grandi e quasi l'unico che a me personalmente interessi. Il tema è, non c'è bisogno di dirlo, qualcosa di completamente diverso dall'intenzione. Il modello più caratterizzato dei romanzi che hanno per tema un conflitto morale è quello dei romanzi che potremmo chiamare "di redenzione". Archetipici sono tra essi Delitto e castigo di Dostoevskij e Lord Jim di Conrad. In entrambi troviamo lo schema allo stato puro: un peccato originale come punto di partenza e, come sviluppo, il lungo cammino verso la redenzione. Nel Pinocchio manca un chiaro peccato originale (a meno che lo si consideri simbolizzato nella nascita da un pezzo di legno), ma non c'è dubbio ch'entra nel novero dei romanzi di redenzione. Se confrontiamo tra di loro i primi due, sarà evidente cosa significa manipolare: in Lord Jim opera e funziona esclusivamente la morale di lord Jim e lui solo è responsabile e artefice della propria redenzione, mentre in Delitto e castigo la redenzione di Raskolnikov è qualcosa di palesemente voluto e diretto dalla mano e dalla volontà di Dostoevskij. Ciò fa sì che Delitto e castigo, malgrado gli stupendi dialoghi col giudice, resti un mediocre feuilleton, mentre Lord Jim è un capolavoro. Ma nel Pinocchio troviamo, oltre alla manipolazione dei fatti in ossequio dell'esemplarità, qualcosa di ancora peggiore: l'inclusione di enunciati morali puri e semplici. Si veda un esempio: "A questo mondo i veri poveri, meritevoli d'assistenza e compassione, non sono altri che coloro i quali per ragioni di vecchiaia o infermità si vedono condannati a non potersi guadagnare il pane col lavoro delle proprie mani". Leggendo si osserverà fino a che punto l'inserzione di frasi come questa - benché artificiosamente poste, in altri casi, in bocca ai personaggi - infrange completamente Io spazio e il tempo narrativo, come se all'improvviso l'autore stesso levasse la testa strappando la carta della pagina per spiattellarci, quasi oralmente, tale ammonizione. La vendetta dell'arte Ma con la manipolazione dei fatti l'autore del Pinocchio ha ottenuto un fallimento quasi altrettanto sonoro di quello di Jorge Manrique nelle sue famose Coplas. È che la musa si vendica di chi pretende violentarla imponendole intenzioni estranee a quelle dell'arte. Le Coplas vogliono nel modo più esplicito essere un'ammonizione affinché distogliamo il nostro desiderato e il nostro sguardo dal perituro e lo dirigiamo verso il durevole. Ma il demone dell'arte volle che il pugno di strofe che, in mezzo a versi mediocri e perfino penosi, raggiungono l'incanto fosse proprio quello che canta il fantasma del fugace. Persino le due figure con le quali si dipinge la caducità col proposito di farci disprezzare l'effimero e distogliere da esso la nostra inclinazione e il nostro cuore hanno una delicatezza e una grazia che non fanno che esaltarlo nel modo più travolgente: "qué fueron sino verdura de las eras?", "qué fueron sino rocìos de los prados?" Il lettore esce dalla lettura del poema as-

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