Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

PINOCCHIO, OLAVENDETTADELL'ARTE Raf ae/ Sanchez Ferlosio Linguaggi adattati Quando i colonizzatori dicono che i colonizzati non sono "maturi per l'autodeterminazione", giudicano la cosa secondo il canone dei propri modi d'essere; ma anche dando per buono questo criterio e supponendo che rispetto ad esso il giudizio sia esatto, non si deve perder di vista fino a che punto tale verdetto è formulato sulla base della colonizzazione stessa e alla luce delle relazioni da essa stabilita. Come con gli animali domestici, si giudica l'intelligenza del colonizzato principalmente dalla sua capacità d'intendere il colonizzatore e comunicare con lui. Ma poiché è la lingua il mezzo nel cui seno deve essere misurata tale capacità, occorre in primo luogo considerare la lingua che collega l'uno all'altro. Ora, quel che accade è che il colonizzatore stesso comincia col fissare questa lingua - che è la sua - a un livello d'apprendimento assolutamente rozzo ed elementare, giacché, infatti, invece di dire al colonizzato "Se lei fosse così gentile da condurmi a Bulawayo, sarei disposto a pagarle anche dieci sterline rodesiane", ciò che dice è "Mtombo portare Uomo Bianco Bulawayo e Uomo Bianco dare soldi Mtombo". Non voglio affermare che in tale comportamento si celi una deliberata e maligna intenzione di bloccare il colonizzato nella sua inidoneità a passare l'esame di maturità relativo al discutibilecriterio sopra menzionato; probabilmente non si tratta d'altro che dell'involontario risultato di un egoismo secondo il quale l'unica cosa che importa di Mtombo all'Uomo Bianco è che gli permetta d'arrivare al più presto possibile a Bulawayo, e per ottenere rapidamente e con decisione quanto gli serve è non soltanto sufficiente, ma persino più spedita ed efficace questa lingua deforme: "E già, se ogni volta che uno deve andare da qualche parte dovesse perdersi a dare lezione di gramr,;atica ... !" Certo è che quando i colonizzatori continuano a bocciare i colonizzati al loro esame di maturità,. dimenticano che sono stati loro stessi a tenerli fermi al grado piu elementare delle materie nelle quali loro stessi hanno stabilito che un popolo debba rimaner promosso per meritare l'autogoverno, materie tra le quali spicca come prima e principale la "Capacità di comprendere l'Uomo Bianco". Quel che mi preme indicare qui è che per fissare i gerghi coloniali non basterebbe l'azione unilaterale della parlata difettosa dei colonizzati mentre stanno imparando la lingua del colonizzatore; questa parlata difettosa scomparirebbe ben presto, come un mero stadio d'apprendimento, e non arriverebbe a condensarsi e perpetuarsi in gergo coloniale se il colonizzatore stesso non la avvalorasse e sancisse imitandola quando parla col colonizzato. I gerghi coloniali sono il prodotto di un'azione reciproca, bilaterale, comparabile a un gioco di specchi. Si dirà che da questa stessa origine fioriscono le magnifiche lingue neolatine, all'inizio gerghi coloniali del latino, ma non si deve dimenticare che impiegarono mille anni a farlo. Per il paragone che mi interessa non sono importanti le cause o motivi - egoismo o qualunque altra cosa sia -, bensì soltanto il fenomeno di questo gioco di specchi mediante il quale le sottolingue e i gerghi specializzati si condensano in generale non secondo il particolare ambito, ma secondo il ricevente. Solo l'argomento ha diritto a specializzare la lingua comune e ogni adattamento al ricevente è una perversione linguistica e, ad essere obiettivi, un atto di disprezzo nei confronti del ricevente stesso. Così come esiste un linguaggio per colonizzati, c'è un linguaggio per masse, un linguaggio per donne, un linguaggio per bambini; in nessuno di essi trova posto una parola leale. Il Pinocchio di Carlo Collodi è un esempio di come un linguaggio e una intenzione possano rovinare la più fortunata delle invenzioni. Perché felicissimesono le trovate del legno parlante e del bambino marionetta, e davvero ben studiate sono, insieme ad alcune altre, le funebri immagini della lumaca con la candela accesa sulla testa e dei quattro conigli neri che trasportano la bara. Senza dubbio Pinocchio deve a esse, nonostante tutto, la sua universale fortuna, e sarà proprio questa fortuna a scusarmi se non mi soffermo qui su lodi che non farebbero che sommarsi a quelle di un già antico e numeroso coro, per concentrarmi in cambio sulle magagne, che sono due: il linguaggio, del quale sto parlando, e l'intenzione, che sarà oggetto del prossimo paragrafo. Che libro stupendo sarebbe stato questo (supponendo che fosse lecito dire così, mentre non lo è) se l'autore avesse osato lasciare sola la sua immaginazione, monda da ogni altra intenzione che non fosse quella propria del narrare, che è evocare e trasmettere l'accaduto, e si fosse arrischiato a scriverlo non per i bambini, ma esclusivamente per sé, ciò che equivale a dire per chiunque! Quando era ragazzo aveva dei cani e, ansioso di farmi capire da loro, mi gettavo a quattro zampe e cercavo, con la voce e i movimenti, di canizzarmi come meglio sapevo, ma mia madre, sorprendendomi una volta in simile attitudine, si burlò di me dicendomi: - Sai cosa staranno pensando adesso i cani? - No, cosa staranno pensando? - Beh, staranno pensando: "Ma cos'è che fa questo cretino?" Purtroppo non credo che quei miti cuccioletti arrivassero a concepire un pensiero di tal genere, ma io riconobbi subito che era precisamente ciò che avrebbero dovuto pensare, e la lezione ebbe un effetto radicale. Disgraziatamente, neanche i non meno tolleranti cuccioli degli uomini arrivano di solito a pensare qualcosa di simile di quanti credono che, scimmiottando la loro parlata, possano giungere con loro a una maggiore e più profonda comprensione, eppure sarebbe, allo stesso identico modo, la cosa più giusta che potrebbero pensare. Il preteso linguaggio infantile - nella misura in cui questa espressione voglia sostantivarlo invece di concepirlo solo come una serie mobile di momenti aggettivi e transitori nel processo di apprendimento di una sola ed unica lingua - è un'imitazione di un'imitazione, prodotta e fissata dal medesimo gioco di specchi che fa condensare i gerghi coloniali: il bambino non riimita soltanto dall'adulto elementi più o meno oriundi della propria parlata, ma anche elementi che l'adulto gli attribuisce senza alcun fondamento, reincorporando non soltanto le proprie goffaggini, ma anche quelle dell'imitazione stessa. A quanto ho sentito riferire, pare che risulterebbe piuttosto desolante un'indagine scolastica sull'influenza che esercitano sui gesti e il linguggio dei bambini i cartoni animati televisivi (non parlati, ma "mia-

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