44 Foto di Lello Mazzacane. Tre volte ho avuto un contatto diretto con lei; nel primo mi ha allontanata con sgarbo; del secondo forse nemmeno si è accorta; nel terzo ho annuito a quanto aveva detto guardandomi. Come usava, e ha fatto fino all'ultimo, una mattina stava dando da mangiare ai colombi in piazza del Gesù. A questo le serviva infatti tutto quel pane seèFo; e a volte i negozianti le regalavano anche granturco, perdo forse si spingeva fino a Piazza Mercato, dove ci sono i gross1 ti. Quando ho visto i colombi accorrere, formare quasi una ube attorno a lei e celarla, non ho potuto vincere l'impulso · avvicinarmi, alcuni colombi sono fuggiti impauriti, lei allora · è accorta di me e mi ha ingiuriata. Mi sono allontanata a alincuore, turbata per quel forte, quasi violento fremito di vita che mi aveva avvolta per un attimo senza toccarmi, per quel a forza animale dinamica che ho sempre percepito maggiormente negli uccelli, collegata alla loro capacità di volare e che contrasta tanto paradossalmente con la loro natura quasi immateriale, quando li vedi in volo. Ella provava ogni giorno quella sensazione, spesso più volte al giorno, e tanto più intensamente di me, perché i colombi non ne avevano paura, calavano anzi a precipizio da guglie, campanili, tetti al solo vederla, mentre si accingeva a aprire il sacco che aveva deposto. Forse era quello il suo unico peccato di lussuria, ché nessun abbraccio virile avrebbe potuto scuotere a quel modo le radici istintive di una creatura femminile, quelle da cui cresce e si moltiplica l'albero umano; né l'esperienza del parto. Negli ultimi anni le automobili si erano tanto moltiplicate che Piazza del Gesù e Piazza San Domenico erano diventate dei parcheggi - e lo sono tuttora, e chissà fin quando durerà - fra le macchine, spesso verniciate di scuro, ella stessa tutta scura, per di più piccola di statura e curva, quasi piegata in due sul sacco, spariva agli sguardi; improvvisamente si vedevano convergere in un punto fra le auto i colombi, si capiva allora che era lì, come acquattata. A volte ho visto gli automobilisti protestare con lei perché le zampe degli uccelli graffiavano la vernice o perché trovavano escrementi sui tetti e sui parabrezza. Ella continuava, inveendo senza guardarli. Una sera di fine novembre dell' 81, mentre uscivo da una riunione di condominio del mio palazzo terremotato, ella stava passando; in quel punto e in quel mese c'è un banchetto dove vendono -fuochi d'artificio, quell'anno più virulenti del solito, quasi a compensare il silenziodell'anno precedente, quando erano stati vietati subito dopo il terremoto, perché gli scoppi non pregiudicassero la stabilità precaria di solai, cornicioni, balconi. E già ai primi del mese si era cominciato a spararne e a venderne. Davanti a quel banchetto i figli del venditore ne stavano sparando una gran quantità, come usavano di giorno, per far propaganda alla merce e per loro piacere. Ella passava, diretta forse al suo "letto" di San Lorenzo; dei ragazzi la inseguirono gettandole fra le gambe dei petardi. Proseguì senza girarsi, ma inveendo. Mi avventai allora contro i ragazzi, che per la sorpresa smisero; ma subito mi ritirai prudentemente nel mio portone. Anche quella volta mi sentii interrogata da lei, riflettendo alla gran paura che avevo di quei petardi, al punto che facevo dei giri viziosi pur di evitare quelle bancarelle, e che, quando non Io potevo, guardavo prima di passare, e dopo, con circospezione, per vedere se mi avevano puntata. Quest'anno a maggio, dopo Chernobyl, l'ho incontrata nel bar sotto casa, uno dei luoghi dove le davano. Aveva chiesto un bicchiere di latte al barista, che si era scusato di non averne a causa del divieto di vendita. Ella disse allora, rivolta al bari-
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