24 NARRARE LA SCIENZA / TOMATIS abitanti, è facile immaginare, dalle stime fatte qui sopra, a che tipo ed entità di danno si potrebbe andare incontro. Per fare un esempio, se in una certa zona, che sia Milano o Trieste o Brindisi, l'attuale inquinamento atmosferico è all'origine di 50-100 nuovi casi di tumore all'anno per milione di abitanti, si può dedurre che l'impianto di una centrale a carbone del tipo di quelle funzionanti e in progetto oggi in Italia, aumentando la concentrazione degli inquinanti atmosferici preesistenti e immettendone dei nuovi, e in più le ceneri, non potrà che peggiorare la situazione. inevitabilmente aumentare l'entità del danno alla salute. Ciò che accomuna le situazioni delle centrali nucleari e da combustibile fossile è la continua emissioni di inquinanti dannosi per sé e dannosi per l'assommarsi agli effetti di altri inquinanti o fattori nocivi ai quali per varia ragione si può essere esposti. Ciò che li separa è la diversa portata di un eventuale incidente grave, che è ovviamente molto superiore per le centrali nucleari. Non si può che rimanere perplessi di fronte ai lineari ragionamenti officiali: le centrali nucleari sono pulite (con ciò si intende che fanno meno fumi, i fumi in genere sono bianchi, non vi sono depositi di carbone che notoriamente è nero, né di ceneri), normalmente non inquinano, e le "nostre" centrali (in contrasto a quelle dell'Est) sono esenti da rischi di incidenti. Se uno insiste: davvero ne sono esenti? si viene ad estorcere una concessione: incidenti minimi potranno sempre capitare, naturalmente, ma sempre controllabili, non di certo come quello di Chernobyl. A parte che non si sa dove stia il limite degli incidenti minimi, non si capisce neppure su che base stia la convinzione che un incidente di una gravità paragonabile a quello di Chernobyl non si possa produrre a Trino o nella valle del Rodano o a Latina. Se si trattasse di un incidente non esattamente come a Chernobyl, dato che le centrali all'ovest sono costruite un po' diverse, o più grave o poco meno grave? A questa domanda la risposta è, se tutto va o,ene, un silenzio insofferente, altrimenti è un freddo sprezzante elenco dei pregi impiantistici delle "nostre" centrali. Comunque non dimentichiamo almeno che dall'Inghilterra viene l'evidenza che è il funzionamento normale di certi impianti nucleari a produrre un rischio che pare destinatQ ad aumentare. Se poi si domanda: ma cosa succederà delle centrali dopo 20-30 anni di funzionamento quando andranno fuori uso, chi garantirà allora della loro sicurezza, e come si smaltiranno le scorie?, le risposte tendono a minimizzare i rischi, da principio ammettendoli, perché sì, ovviamente alcuni rischi ci sono, e poi scartandoli perché, siamo franchi, alcuni rischi bisogna pure ammettere di averli, la vita è un insieme di rischi. Come ha detto il più fine e sagace sostenitore della quantificabilità unidimensionale dei rischi e quindi della costruzione su basi matematiche di una scala razionale della loro accettabilità, sir Edward Pochin (17), "the facts of /ife are such thai we must accept them ", il che in parole più povere significa: a prendere le decisioni siamo noi che contiamo, e a voi poveri mortali non rimane che accettarle con gratitudine. A volte vien da pensare che questi tecnocrati, ma con loro anche dei tecnici, io penso, in buona fede, siano convinti di farcela, a meno che ciò significhi, con una piccola dose di macabro umorismo, che siano convinti di morire prima che i disastri dei quali sono responsabili o ai quali non si sono opposti, divengano evidenti. L'ignoranza di dati e informazioni importanti da parte di coloro che ci governano non è cosa nuova. Maccacaro se ne indignava a proposito dell'incidente di Seveso (18), quando ci si scusava ufficialmente per non avere preso misure preventive a monte, prima, e di non essere intervenuti tempestivamente poi, a incidente avvenuto, con il fatto che sulla diossina si sapeva poco o nulla, che sulla possibile formazione di diossina si sapeva ancora meno e che in ogni caso le probabilità di un incidente erano minimè. Maccacaro nel suo articolo citava diversi lavori pubblicati su.riviste che qualunque biblioteca universitaria possiede, dai quali informazioni utili e aggiornate sulla diossina avrebbero potuto essere trovate, solo che uno le avesse cercate. · . La stessa ignoranza e impreparazione si è verificata· puntualmente quando è saltato l'impianto di Chernobyl. Non vi erano molte scuse per Seveso nel 1976, non ve ne sono molte nel 1986. per Chernobyl. Non ve n'è alcuna per mantenere oggi la medesima attitudine che presuppone un aumento indiscriminato dei consumi programmato da una logica che mette sempre e soltanto in primo piano il mantenimento dei profitti al loro livello più alto, o un loro incremento. Come se non vi fossero alternative. Solo chi è radicato profondamente nel circolo vizioso di consÙmi e profitti non riesce a vederle, e se gli sono additate, non vuole accettarle. Si assiste invecea commedie quasi grottesche, come quelle inscenate dai pro-nucleari a oltranza, i quali esibiscono, in maniera aberrante, la tanto auspicata multidisciplinarità della scienza, per cui sono i fisici e gli ingegneri a sentenziare con autorità, non solo su questioni di biologia, dove potrebbero avere qualcosa da dire, ma anche su questioni di medicina e di sanità. Per difendere le loro tesi scoprono che altre produzioni di energia sono più pericolose a monte, per esempio che esistono l'antracosi e la silicosi e le morti in miniera che esistono inquinanti chimici, cancerogeni usati nelle industrie, mutageni nell'aria delle città, tutti veleni, dicono, molto meno quantificati e perciò più pericolosi delle radiazioni che così metodicamente si lasciano misurare e i cui effetti sulla salute, bontà loro, sono perfettamente noti. E questi signori mantengono la loro disinvoltura anche quando viene loro ricordato che ci hanno messo 40 anni per capire che tutti i presupposti sui quali si basava la valutazione dose-effetto a Hiroshima e Nagasaki erano profondamente errati, e che neppure dal punto di vista degli eventi quantificabili e dei numeri a loro tanto cari, le loro tesi poggiano su basi accettabili. Quando avevo accennato più sopra ai vari condizionamenti che un ricercatore può subire, avevo lasciato supporre che dal più nefasto, da quello che, contrariamente a tutti gli altri, non permette a chi sbaglia neppure quell'ultima debole difesa morale che è la buona fede, dal condizionamento politico grossolano e spregiudicato gli scienziati e i ricercatori fossero protetti. C'è da temere che non sia più così.
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