22 NARRARE LA SCIENZA / TOMATIS , della prova di cancerogenicità. Cosa diceva Maccacaro che possa oggi essere contestato anche da sinistra? Gran parte della contestazione è certamente dovuta a un malinteso che affonda le radici in un certo manicheismo di base, o almeno al cedimento di molti in favore di atteggiamenti che sovente vengono definiti come puramente scientifici. Maccacaro in sostanza sosteneva che se si accetta senza difficoltà alcuna, come succede da tempo ed è tuttora pratica comune, di sottoporre i farmaci a test di efficienza e di tossicità in sistemi sperimentali, in animali da laboratorio soprattutto, prima di impiegarli sull'uomo, se si accetta quindi il principio di estrapolazione dai dati sperimentali all'uomo per quanto riguarda i farmaci, non v'è ragione alcuna per non farlo per i cancerogeni. Maccacaro poi continuava sostenendo, su di una linea che chiunque si interessi di sanità pubblica non può non condividere, che "l'uomo va, sempre e comunque, difeso", e che "l'onere delle prove sta tutto e sempre sulle cose." Su quest'ultima affermazione ci sarebbe poco da obiettare, se non fosse poi seguita da un'altra affermazione, che oggi appare attaccabile, se non altro perché oggi si sanno alcune, non molte ma alcune sì, cose in più di dieci anni or sono, e cioè che l'estrapolare direttamente dai dati sperimentali all'uomo è "perféttamente corretto e conclusivo". Il malinteso deriva probabilmente da quel "conclusivo". Maccacaro viveva in un clima che per certi versi non è dissimile da quello che gli ecologisti vivono attualmente: allora l'industria chimica stava raggiungendo l'apice della produzione di sostanze chimiche di sintesi, come oggi la società nella quale viviamo sta raggiungendo livellidi inquinamento mai prima toccati. Fu proprio in quegli anni che le grandi corporations cominciarono a seguire, apertamente, le due strade che hanno permesso in un primo tempo di ridurne il vigore e poi di vanificare la contestazione. Da una parte con il trasferire molte delle lavorazioni pericolose in paesi del terzo mondo, e dall'altra con il modificare sostanzialmente alcuni dei principali obiettivi della produzione. Allo stesso tempo stava prendendo piede l'automazione di gran parte degli impianti, con una conseguente riduzione sia del possibile livello di esposizione professionale, sia del numero di individui a rischio. Allora, di fronte all'espansione rampante e lo strapotere dell'industria come ci si poteva far udire senza alzare la voce? Maccacaro parlava a voce alta o gridava come si deve gridare quando si vuole farsi sentire su di un treno in corsa, un treno che portava verso rischi crescenti, verso le intossicazioni e il cancro. Si può oggi obiettare all'aggettivo "conclusivo" che Maccacaro attribuiva all'estrapolazione diretta dai dati sperimentali all'uomo. Non esistono infatti criteri scientifici accettati e accettabili per una estrapolazione precisa e definitiva e non è possibile, a tutt'oggi, fare una predizione quantitativa· accurata, sulla sola base di dati sperimentali, dell'entità dei possibili rischi per l'uomo. È perfettamente plausibile però, sia da un punto di vista biologico che da quello della sanità pubblica, estrapolare qualitativamente dai dati sperimentali di cancerogenicità, o almeno da quelli ottenuti su animali da laboratorio, all'uomo, almeno fino a tanto che non siano emerse prove inconfutabili del contrario. L'IARC, seguendo una direzione tracciata dall'OMS in due importanti pubblicazioni del I961 (6) e 1964 (7) ha sostenuto da molti anni, e continua a sostenere, che "in assenza di dati adeguati sull'uomo, è ragionevole considerare, ai fini pratici, sostanze chimiche o esposizioni complesse per le quali vi sia evidenza sufficiente di cancerogenicità negli animali, come se presentassero un rischio cancerogeno per l'uomo" (8). Questa posizione dell'IARC è sulla stessa linea di quanto scriveva nel I976 Maccacaro, il quale certo non ignorava né sottovalutava i ruoli rispettivi dell'approccio sperimentale e di quello epidemiologico ma soprattutto sottolineava l'importanza di non scambiarli, dato che il primo "deve servire come filtro per le cause di cui non si conoscono gli effetti" nell'uomo, mentre il secondo "deve individuare gli effetti (tumori professionali) per risalire alle cause" (5). Rimane quindi valido che di fronte a dati sperimentali che indicano senza dubbi una attività cancerogena, ci si debba comportare "come se" si avesse a che fare con dei cancerogeni umani, con un atteggiamento simile alla scommessa pascaliana, che è poi un atteggiamento al quale si informa la prevenzione primaria tutta intera. Con in più, però, il fatto che abbiamo le prove della efficacia della prevenzione primaria nel far diminuire la frequenza delle malattie (9). Sulla base di ciò che sappiamo possiamo chiederci con Wittgenstein: "se non ho fiducia in queste prove perché allora dovrei aver fiducia in qualsiasi altra prova?" (IO) In una società come quella attuale, tutta concentrata sul profitto e il consumismo, una nostra incapacità di rendere operanti i principi della predizione dei rischi che si avvale di una integrazione delle prove sperimentali con i risultati delle inchieste epidemiologiche, ma che ha valore anche a monte di quest'ultime, potrebbe favorire il progressivo affermarsi di una epidemiologia "altra", molto statistica e asettica e alla moda, che invece di contribuire efficacemente alla prevenzione primaria, finirebbe per ostacolarla. Le ambiguità, e in definitiva l'uso improprio, di informazioni e dati ai quali una tale epidemiologia può portare, sono divenuti apparenti nel dispiegamento di mezzi per quantificare, al ribasso, i rischi connessi alla produzione di energia. E ciò spiega perché, malgrado si sia recentemente molto discusso sui rischi connessi alla produzione e uso di energia (in particolare, ma non esclusivamente, di quella nucleare), possa o sembri prevalere almeno a livello governativo e ufficiale, in Europa e nei paesi che contano come potenze economiche, la tendenza a sopravvalutare i fabbisogni energetici, ad accettare non solo la continuazione della produzione di energia elettronucleare ma un suo incremento, e a sottovalutare sistematicamente i possibili rischi che ne potrebbero derivare. È possibile, almeno come ipotesi debole, che l'attitudine di coloro che ci governano sia dovuta, o permessa, da ignoranza e che perciò alcune decisioni siano prese senza conoscere dati che pure sono facilmente accessibilia chi voglia informarsi, e che per essere molti non possono venir tutti elencati in questo articolo. Ne citerò quindi solo alcuni e in primo luogo l'importanza relativa dell'età al momento dell'esposizione (a radiazioni, ma non solo), come risulta dagli studi condotti sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==