Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

14 consapevoli, il loro crimine non si chiama più soltanto genocidio ma Globocidio ... "), per l'appello concreto rivolto - nello specifico - alla categoria medica ('' ... i medici più consapevoli si sono resi conto che le esercitazioni pratiche, in caso di guerra nucleare, non sono che delle buffonate ... "), per un più radicale discorso sulla controviolenza da opporre alla violenza dello "Stato atomico": " ... i veri terroristi sono quelli che oggi ci terrorizzano ininterrottamente, minacciando la distruzione ... noi rischiamo di morire per azioni terroristiche compiute da analfabeti del sentimento, privi di fantasia. Chi crede di poter far cambiare idea a questi terroristi altolocati con omaggi di fiorellini, manine strette a catene, o con dialoghi da uomo a uomo .. .ignora gli interessi dell'industria bellica... Noi dobbiamo legare le mani a coloro che, ottusi e onnipotenti, hanno la facoltà di decidere l'essere o non essere dell'umanità ... Chi contesta il dovere di opporre resistenza si rende complice ... " (3) li colloquio con Raddatz - intercalato, come tutti gli scritti di G.A., da appassionate, umorose memorie autobiografiche - è un vero e proprio excursus su quella che egli usa chiamare la sua "filosofia d'occasione", perché volutamente non-sistematica (come invece lo era ancora quella dei suoi maestri: Cassirer, Husserl, Heidegger. .. ) ma piuttosto - così scrisse Norberto Bobbio nella prefazione ad Essere o non essere "un filosofare che ha sempre per oggetto le situazioni del nostro tempo, giacché il compito del filosofo, d'oggi è di pensare fino in fondo le cose d'oggi ... " Dal giovanile "concetto di contingenza" che - dalla fine degli anni '20 - è alla base del lavoro di G.A. (influenzato e al tempo stesso in sempre più aperta polemica con Heidegger) si passa al fondamentale "concetto di discrepanza" divenuto (specie dopo il "giorno zero di Hiroshima") la sua "idea fissa" e che si può riassumere così: 1) La nostra anima non è più "up to date" - le nostre principali categorie psicologiche sono antiquate, anche il nostro lavoro non è che un "mimetizzamento morale", giacché la discrepanza tra l'uomo e i suoi prodotto è crescente e destinata a crescere fino alla distruzione delmondo umano; 2) allo stesso modo è diventata antiquata la concezione della politica (" ... il concetto giuridicoformale di sovranità anch'esso è antiquato perché le azioni che colpiscono gli altri Stati inevitabilmente riguardano anche i primi ... "); cosicché "non è ancora possibile immaginare l'orizzonte reale delle nostre responsabilità ... "; 3) la premessa morale della verità oggi dunque non può essere che l'immaginazione, realista è solo chi ha fantasia sufficiente per rappresentarsi il domani, "ma il mondo di domani sarà sempre più invisibile e i suoi eventi inassegnabili ... "; per esempio, "il rischio è anche che l'invisibilità dei colpevoli renda invisibile il fatto stesso della colpa e quindi impossibile l'odio, e questa assenza d'odio sarà la più inumana che si sia mai vista, nulla di più inumano di questa mitezza del terrore dolce e del conformismo in cui viviamo ... " occorre invece condurre gli uomini a un "odiare positivo", ad una fantasia globale del futuro; questa lotta non finirà mai, e pur essendo senza speranza, è il nostro destino d'uomini d'oggi ... ". Il non essere ancora nel mondo si è trasformato nel non più: "l'uomo senza mondo" si è rovesciato nel "mondo senza uomini". li mio ebraismo fa parte della gran massa di scritti autobiografici (diari, lettere, testimonianze, interviste-confessioni) nei quali G.A., parte da questo o quello spunto personale per farne - una volta di più - "filosofia d'occasione". Pubblicato dall'editore Kreuter di Stoccarda nel I978 (anno in cui, nel cimitero di Hannover, vennero profanate delle tombe ebree, mentre l'antisemitismo cominciava a riscoppiare quà e là nell'Europa austro-tedesca), in esso si ritrovano quasi tutte le fila esistenziali e filosofiche che hanno percorso la lunga vita dello scrittore. Il "concetto di contingenza", il sentirsi uomo "privo di mondo", "apolide" nel "mondo" - collegato al radicalismo rivoluzionario di chi non aspetta né spera più nell'arrivo del Messia - torna ad essere, negli anni della vecchiaia, la componente fondamentale di una vita e di un pensiero che qui si scoprono profondamente segnati dall'origine ebraica. Alla soglia dei suoi ottant'anni - in un momento politico particolare - il vecchio moralista, ancora una volta "esiliato" a Vienna (città nei cui confronti ha continuato ad avere, dopo il ritorno dall'emigrazione americana, un rapporto di estraneità) (4), il vecchio moralista sente la necessità urgente di riandare "alla radice delle radici" del suo essere e di rivendicare "a viso aperto" la storia bimillenaria della sua stirpe errante" ("senza di loro io non sarei qui, non sarei io ... ") - senza tuttavia rinunciare mai neppure a un briciolo del suo agnosticismo (come diceva a Raddatz: "io, ateo per professione ... "). Questa gran corsa attraverso il "destino ebraico" è insomma vissuta - al tempo stesso - come "compito d'oggi"(" ... mi appello a voi, figli e nipoti ancora viventi di Eichmann, perché vogliate uccidere anche i primi germi della ripetizione di ciò che è accaduto ... ") e un bisogno tutto personale di capire perché e come "io sono ancora qui, così come sono ... ". L'itinerario esistenziale dell'uomo ebreo è segnato da quattro "tappe", così come quattro sono state le "cesure" che hanno segnato, in modo progressivo e irrevocabile, la vita del militante antinazista (prima guerra mondiale, avvento del nazismo, notizia di Auschwitz - appresa durante l'emigrazione americana, "giorno zero" di Hiroshima). La scoperta dell'ebraismo procede negli anni dell'infanzia, fino alla visita ad Auschwitz, fino alla tappa estrema, connessa alla maggior "cesura", quella di Hiroshima. Ma il Mein Judentum non è soltanto una tragica excalation conoscitiva, è anche la testimonianza di una consapevolezza paradossalmente esaltante: quella di sentirsi "uno tra gli ultimi degli ultimi" di una straordinaria "catena" esistenziale e culturale, di una storia "senza confini e senza patrie" di cui egli - erede di quella borghesia ebraico-tedesca che aveva creduto nella Germania come nella patria, nella cultura tedesca come nella cultura - si sente, al tempo stesso, ancora intriso e già del tutto liberato. Di qui il rispettoso ma netto rifiuto per le vie del sionismo che hanno portato all'attuale Israele. E non solo perché il vecchio "rivoluzionario" sente crescere il pericolo che gli eterni oppressi si trasformino in nuovi oppressori ma per un altro motivo presente in tutto il suo lavoro: " ... io ho il sospetto - forse anche queste parole faranno arrabbiare gli israeliani - che la fondazione di un proprio Stato popolare sulla propria (presunta) terra sia il coronamento di quella volontà di assimilazione che i padri fondatori del sionismo avevano cercato di evitare. Infatti, ciò che essi avevano sognato era di diventare anche una nazione, anche uno Stato. Ma questo passaggio sionistico da un 'esistenza 'straniera' a un 'esistenza 'propria' -che, specie se visto dalla prospettiva del ghetto, era un passaggio rivoluzionario - visto dal punto di vista della storia mondiale risulterà un passo indietro nel XIX secolo: cioè nella storia del nazionalismo ... " Questo, forse, è il filo principale che collega il vecchio che ha ritrovato nel profondo di sé le ragioni dell'ebraismo come appartenenza, al filosofo e al militante, che per tutta la vita ha lottato contro ogni tipo di integrazione, prevedendone la distruttività. La salvezza non sta nel rinchiudersi nelle proprie stanze - magari fornite di televisione - ma nel lottare, nonostante tutto, anche senza speranza, per un mondo che rischia di naufragrare nel suo progresso "antiquato". (I) Per tale motivo forse, egli è rimasto un autore "rimosso", - fino ad oggi - dalla coscienza culturale contemporanea: infatti (come ci ricorda Pier Paolo Portinaro, in un suo saggio uscito di recente in ",Comunità" n. 188, dicembre 1986) "nel panorama del pensiero moderno egli è colui che con più intransigenza ed ostinazione ha dato voce alla rivolta dell'uomo moderno contro la tecnica; anche se forse sarebbe eccessivo fare di lui il maftre à penser dell'attuale universo ecologico e pacifista, dato che per il suo conclamato ateismo, per il suo radicalismo di matrice marxista e per il suo pessimismo 'apocalittico' egli non si presta perfettamente a dar voce a nuovi movimenti verdi". È nota, ad esempio, la sua dura polemica contro il "principio della speranza" del suo pur grande amico Ernst Bloch, giacché - così egli dice - la speranza non può in alcun caso essere un principio, tutt'al più un sentimento ... (2) Per questo dubbio, forse, ha lasciato che di recente venisse pubblicato "in anteprima" un capitolo di questo III Volume (intitolato Die Antiquierlheil des Hassens, l'odio è antiquato) in un tascabile della Rowholt, che raccoglie scritti di diversi autori sul tema appunto, dell'odio. (3) Questo discorso sulla necessità di un' "antiterrorismo violento" si ritrova nelle ultime interviste e negli scritti giornalistici successivi a Cernobyl e non ha mancato di provocare scandalo nel movimento verde e pacifista tedesco. (4) Tutto il percorso esistenziale di G.A. - come si nota particolarmente nei diari - è segnato dal senso dell'esilio e dell'estraneità: come ebreo, come emarginato nel gruppo intellettuale dell'emigrazione, come pensatore troppo radicale per il conformismo del mondo austriaco del dopoguerra e persino per quel movimento pacifista di cui pure è stato uno dei padri fondatori.

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