Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

io, che non ho mai festeggiato lo Jom Kippur; io, che fino al mio trentesimo anno di età, ho visto Adamo, Davide ed Ezechiele solo con gli occhi di Michelangelo; io, che ho conservato come unico ricordo ebreo della famiglia le melodie della "Comunità Riformata", sottratte al protestantesimo; io, che come filosofo di professione disprezzo ogni adattamento a convinzioni e costumi considerandolo - se non provato - come un pregiudizio e perciò indegno dell'uomo;. io, che non soltanto non riconosco nessun Dio - ma questo è, probabilmente, il clima dell'eresia - sento tutte le religioni come sacrileghe perché osano dare delle risposte alle domande, che noi non abbiamo il diritto di porci neppure una volta; sì, nonostante tutto questo io rivolgo il mio ringraziamento al mio barbuto fratello in caffettano, e non soltanto a lui ma alle certo 70 generazioni che l'hanno preceduto. E questo perché essi - e qui ritorno ai miei pensieri di partenza - dal tempo della distruzione del tempio hanno ostinatamente portato con sé - sempre trasmettendoli alle generazioni successive - la Thora e, con essa, il suo sistema morale; quel sistema che (anche se oggi è divenuto, e lo era già da molto tempo, totalmente assurdo) continua a regolare minuto per minuto ogni minima mossa della loro vita, nonostante lo scherno, nonostante le espulsioni, nonostante i massacri. E con questo - anche senza poter chiamare propria nessuna terra sotto i loro piedi - hanno mantenuto la loro identità. Sì, a costoro io devo rivolgere il mio grazie, perché senza la loro ostinazione anch'io, strada facendo, sarei andato perso da qualche parte, ad Alessandria o Granada o ad Amsterdam o a Lodz, così come innumerevoli fratelli dei miei progenitori e pro-progenitori e pro-pro-progenitori sono andati persi senza poter lasciare alcuna traccia di sé. Sì, il mio barbuto fratello in caffettano aveva ragione: senza di loro, io non esisterei più. (traduzione di Ea Mori) Copyright Kreuter Verlag, Stoccarda 1978. APERTURA / ANDERS UNAUTORE"RIMOSSO" Ea Mori Guenther Anders sta celebrando a Vienna, in queste settimane di luglio, il suo ottantacinquesimo compleanno. Nacque infatti a Breslavia, nel luglio 1902, da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica: suo padre era il noto psicologo dell'età evolutiva WilIiam Stero. , Per l'occasione l'Editore Beck di Monaco gli ha pubblicato un nuovo libro, che s'intitola Mariechen (Mariuccia,) ed è - come mi ha detto l'Autore stesso, con un sorriso tra l'autoironico e il pudico - "una storia della buonanotte dedicata agli innamorati, ai filosofi e a tutti i gruppi professionali del medesimo tipo". In giro, c'è molta curiosità. Cosa dirà - .in questa estrema "histoire d'amour" - il filosofo tedesco, che da decenni è ormai considerato una "lugubre civetta", un profeta di sventure? (I) Nel frattempo - malato e stanco com'è, ma ostinato più che mai - continua a lavorare al III Volume di quella ch'è considerata la sua opera fondamentale: L 'uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen) il cui I Volume risale al 1956 (e fu tradotto in italiano da Il Saggiatore, nel 1963, col sottotitolo Dell'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale), mentre il II Volume è stato pubblicato - sempre da Beck - nel 1980 (sottotitolo Della distruzione della vita nell'era della terza rivoluzione industriale - non ancora tradotto 'in italiano). li grande vecchio, tuttavia, dubita di riuscire a portare a compimento il suo grandioso, insuperato, disperatissimo affresco dell'era tecnologico-nucleare in questo suo estremo momento post-industriale (2): "lo sto morendo", afferma; e sulla bocca di lui (che solo due anni fa, ultraottantenne, mi scriveva, dedicandomi un suo libro: "Arrivederci a tra vent'anni"): l'affermazione suona - una volta di più - come una profezia. E però chi Io sa - volesse il cielo che tutte le sue disperate "profezie" potessero rovesciarsi su se stesso! Ritengo ch'egli sarebbe il primo ad esserne felice ... Di.Anders - la cui opera, come ricorda Portinaro su "Comunità" - è "una galassia di idee ampia, eterogenea, non ancora sufficientemente esplorata" - "Linea d'Ombra" ha di recente presentato le dieci Tesi su Cernobyl (quelle che vennero lette - amò di relazione inaugurale - al VI Congresso Internazionale dei Medici per la prevenzione della guerra atomica, Berlino, luglio 1986) ed un lungo colloquio con Fritz Raddatz. Le Tesi su Cernobyl sono una ultima, più sintetica versione delle famose Tesi sull'era atomica, che G.A. improvvisò alla fine di una dibattito tenuto con gli studenti della Freie Universitaet di Berlino Ovest, nel 1958, al suo ritorno da Hiroshima; poi pubblicate, nel 1960, da "Argument" (Quaderni berlinesi di politica e cultura), inserite nel 196I - in versione di poco differente - in Off limits fuèr das Gewissen (la corrispondenza tra G.A. e C. Eatherly, il pilota di Hiroshima, quasi immediatamente tradotta in 18 lingue: in italiano, da Renato Solmi) e, nel 1_981,in Die Atomare Drohung. La versione del 1961 fu inoltre posta a conclusione dell'edizione italiana del "Diario da Hiroshima" Der Mann auf Bruecke (titolo italiano Essere o non essere - anch'esso per la traduzione e la cura di Renato Solmi, Einaudi 1961). Le "Tesi" dell' '86 si differenziano dalle precedenti per una certa ripersonalizzazionè dell'oggetto d'accusa (che non è più soltanto, come nell' Anders dell' Antiquiertheit, il Megasistema tecnologico: " .. .i sostenitori dell'energia nucleare sono diventati dei criminali 13

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==