Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

12 APERTURA / ANDERS Ma - e con ciò vengo alla seconda risposta - io là non potrei vivere mai. Perché questo paese (non so se ancora o già) è terribilmente provinciale e "up-to-date", voglio dire che non è aperto ai problemi decisivi dell'oggi - come quello della tecnocrazia e della minaccia atomica - problemi che da decenni mi occupano come i veri compiti attuali. E poi perché, ad ogni evento mondiale decisivo, esso si chiede sempre e soltanto: "Questo per noi è buono o è dannoso?" perché esistono laggiù resti di teocrazia che, per me, sarebbero insopportabili. E perché, fast but not least, c'è il grosso pericolo che gli eterni oppressi possano trasformarsi in oppressori, ammesso che non lo siano già diventati un po' - e ciò sarebbe, moralmente, ancor più orrendo di qualsiasi progrom ch'essi hanno subito. Ma il mio "no" ha ancora una ragione ulteriore: io ho il sospetto - anche queste parole, probabilmente indigneranno gli israeliani - che la fondazione del proprio stato popolare sulla propria terra (o sulla propria presunta terra) sia il coronamento di quella volontà di assimilazione, che i Padri fondatori del sionismo avevano sperato di superare. Ciò che infatti essi avevano sognato era, sì, di diventare anche un popolo, anche una nazione, anche uno stato. Come tutti i popoli, le nazioni, gli stati "normali". Questa bramosia per un "anche" proviene dal tempo dell'assimilazione. Con questo, il fatto che il passo sionistico dalla "esistenza straniera" a una "esistenza propria" (passo che, specialmente se visto dalla prospettiva del ghetto, era stato incontestabilmente rivoluzionario) visto dal punto di vista della storia mondiale risulterà un passo indietro nel IX secolo; cioè nel secolo dei nazionalismi. Di fatto tutti i movimenti nazionalisti d' Africa ed' Asia - nonostante i loro caratteri progressisti ed antiimperialisti - hanno in sé qualcosa di reazionario, specie se li si paragona all'attuale tendenza - imposta anche dalla tecnica e già realizzata su vasta scala - verso l'unificazione dell'umanità, l'abolizione delle frontiere, la relativizzazione delle'•, Sovranità nazionali. E alla realizzazione di questi fini attuali, l'ebreo che si sente in patria ovunque e in nessun luogo - che sta di casa a Bangkok altrettanto bene come in Messico o a Roma o a Los Angeles - potrà contribuire molto di più che il suo cugino nello Stato di Israele. "Voi siete il sale della terra" queste parole di Gesù non si rivolgevano agli ebrei in quanto ebrei, ma ai suoi discepoli (che naturalmente erano ebrei). Ma essere sale nella farina, e non semplicemente farina, questo è stato il grande ruolo che gli ebrei hanno avuto negli ultimi cento o centocinquant 'anni in Europa e in America. E in questo ruolo di sale io mi riconosco. · F.I rrivo a~la conclusione: Due anni fa mi sono trovat~ W davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme - davanti ai resti delle mura del tempio, demolite dai romani nell'anno 70. Nel luogo, cioè, dove ha avuto inizio - circa settanta generazioni fa- il destino dell'ebreo errante, che poi è stato ancora il mio. Ed anch'Ìo sono stato commosso da questo · luogo. Ma sostenere che per me il cerchio si fosse chiuso - ch'io mi sentissi come chi è tornato a casa - questa non sarebbe la verità e questo non volevo darlo ad intendere nemmeno a me stesso. Infatti per me - l'emigrante che solo in un luogo casuale è divenuto residente - "l'essere in cammino" è diventato "l'essere a casa". Questo destino dell'essere privo di patria fa di me un ebreo - non questo pezzo di Muro. A differenza dei due uomini che mi stavano a destra e a sinistra. Infatti, per loro, era evidente, quel luogo era chiaramente diventato il Luogo dei Luoghi, stavano lì come in trance e, dondolandosi a destra e a sinistra, mormoravano preghiere e continuavano a baciare quelle pietre insensibili, per le quali probabilmente erano giunti dall'America. Uno di loro, con la barba bianca, aveva pressapoco la mia età, cioè 75 anni, l'altro, più o meno trenta. Se il vecchio non avesse avuto l'aspetto che aveva mio padre poco prima della sua morte - il giovane, da parte sua, avrebbe potuto essere mio nipote - io li avrei sentiti entrambi (loro che, baciando il Muro idolatravano una Cosa fatta da uomini) profondamente non ebrei. I Profeti si sarebbero infuriati per questi baci - ed io, il non credente, il rinnegato, io ero l'alunno dei profeti e mi sentivo profondamente colpito da questo comportamento idolatrico. Mio "nipote" non si lasciò distrarre, nelle sue occupazini idolatriche, da nessun turista - dunque, neppure da me. Il vecchio invece - quello con la barba, che naturalmente aveva subito riconosciuto in me l'ebreo - mi rivolse - senza interrompere il suo mormorio - ripetuti sguardi fuggitivi ma esaminatori, perché il fatto ch'io non pregavo in questo luogo naturalmente lo scandalizzava. Per la verità - ma come avrei potuto spiegarglielo? non avrei proprio potuto pregare, io neppure volevo poter pregare. Giacché - a differenza dei miei genitori e dei miei nonni, che avevano troppo poco coraggio per confessare a se stessi di non avere più un credo - io sapevo in modo assai preciso che non sapevo più nulla di quello che s'intende con la parola "pregare". Alla fine, comunque, mio "fratello" si volse completamente verso di me, scosse la sua testa barbuta come uno che è sconsolato per la stoltezza del suo prossimo e parlò, battendosi il cuore con la mano sinistra, in puro dialetto di Brooklyn: "Without us you wouldn't be there - senza di noi tu non saresti più qui" - per poi tornare a perdersi, dopo questa breve comunicazione, nei suoi dondolii e mormorii; che faceva - come lui stesso riteneva - per amore di tutti gli ebrei e dunque anche per amor mio. Non posso sostenere di averlo immediatamente capito - anche se la sua idea non mi era affatto estranea. Comunque, per non disturbarlo in quel suo comportamento, a me così estraneo, mi allontanai sulla punta dei piedi: cosa di cui egli non si accorse neppure. Presto, però, intesi ciò che il vecchio aveva voluto dirmi, ed oggi qui vorrei esprimergli il mio ringraziamento, anche se so per certo che egli non lo riceverà mai. Sì, io che balbetto appena mi viene chiesto in cosa consiste il mio ebraismo; io, che ho passato la· mia giovinezza senza la. Thora;

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