Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

antenati - tanto più lontana in quanto essi non avevano nessuna missione da compiere, non cercavano di portare il loro Dio presso altri popoli. A quel tempo, molti altri popoli possedevano a loro volta i propri "Dei fondatori" e tutti i popoli erano "popoli eletti" dai loro Dei, né gli ebrei contestavano la esistenza e la potenza di questi altri Dei, solo che non potevano trattare con questi Dei stranieri, non potevano avere nessun altro Dio che il proprio. Tutto andò bene fino a che si verificò un evento storico mondiale, quando popoli non ebrei adottarono l'antico testamento e mutarono il Dio degli Ebrei nel Dio di tutti. Allora accadde l'inevitabile: i non ebrei dovettero credere che il popolo ebreo si ritenesse il "popolo preferito" di questo Dio universale. In tale malinteso (che noi, sempre per malinteso, ci riteniamo il "popolo eletto") certo siete cresciuti anche voi, lettori miei. Infatti tale malinteso si diffuse presto in tutta la cristianità. Ma non tra gli ebrei. Io perlomeno non ho mai incontrato un solo ebreo che si sia vantato di questa presunta ''predilezione''. Tale espressione l'ho udita per la prima volta sulla bocca dei miei compagni di classe che, quando mi picchiavano, ad ogni colpo mi invitavano con scherno: "E allora faccelo vedere, come sei prediletto!" - un invito che io non soltanto non potevo seguire, ma che assolutamente non capivo. Tre decenni più tardi, nei primi anni '40, c'è poi stata davvro una "preferenza" di ebrei, della cui realtà non è possibile dubitare. Questa "preferenza" - straniata, per la vergogna dei nazisti, con il termine accademico di "selezione" - per la verità non fu voluta da Dio (e tuttavia neppure evitata da Lui) ma dagli uomini; essa si dimostrò ad esempio sui binari della Stazione ferroviaria di Birkenau, dove si "preferivano" quelli ch'erano ancora capaci di lavorare, per una continuazione transitoria della vita e del lavoro, mentre gli altri venivano immediatamente portati nei forni a gas. Questa "predilezione" è la sola, nella quale io credo. C'è tuttavia qualcosa che mi ha legao fin dagli anni dell'infanzia all'ebraismo: e cioè, il comandamento del decalogo che vieta di fabbricare e di adorare idoli. A parte il fatto che da bambino io disegnavo dalla mattina alla sera - e che negli anni '20 ho persino fatto, temporaneamente, la guida turistica del Louvre - questo divieto per me è rimasto ininterrottamente valido. Non so chi mi abbia ispirato tanto orrore - orrore legato a quel comandamento - per l'adorazione idolatrica di cose fatte da uomini. Di certo non l'ho ereditato dai miei genitori. Giacché essi - propensi com'erano alla tolleranza - educavano quotidianamente noi bambini a dimostrare il massimo rispetto e la più grande riservatezza nei confronti delle religioni cristiane (che, naturalmente, comprendevano anche i numerosi crocifissi esistenti nella mia Slesia natale). A questa esigenza io non mi sono mai opposto, tuttavia già a nove o dieci anni, quando potevo, trovavo sempre una scusa per evitare i crocifissi. Mi era particolarmente difficile essere presente quando degli esseri umani cadevano in ginocchio - cosa che accadeva spesso - davanti a una immagine d'uomo fatta da altri uomini (immagine che per di APERTURA/ANDERS 11 più incomprensibilmente, rappresentava uno dei nostri). Tale allergia a quello che da bambino chiamavo - in modo rozzo e sconsiderato - paganesimo, di fatto è rimasta così profondamente radicata in me che anche più tardi, quando ero studente di storia dell'arte, solo di rado riuscivo a entrare nelle chiese per godere, in modo estetico, delle statue dei Santi (che, in realtà, non erano esposte in quei luoghi per mera contemplazione o diletto!). L'interesse artistico per gli oggetti sacri - cioè la trasformazione del religioso in qualcosa di meramente culturale - mi ha sempre riempito di profondo sospetto; cosa che a volte ha provocato il più assurdo dei malintesi. Accadde infatti che certi studenti di teologia cristiana, cui ero legato da amicizia, videro in me - l'agnostico - un complice, e mi sospettarono di religiosità segreta. Alla mia diffidenza era poi anche legato il fatto che provavo fastidio quando dei musicisti ebrei come Bruno Walter o Klemperer (Mendelsohnn e Mahler, in ciò, erano stati precursori) eseguivano Passioni o Messe. Trovavo la cosa sconveniente ed evitavo questi concerti: al contrario di mio padre che - assai più ingenuo di me - aveva cantato, ancora innocente ed entusiasta, nel Te Deum di Bruckner. Ma per tornare al divieto d'immagine: esso prese per me - adolescente e poi adulto - un significato sempre crescente. Soprattutto dal momento in cui nel mio orizzonte entrò Marx. Il quale - nonostante il suo passaggio dal monoteismo all'ateismo - nei confronti delle immagini provava, non ancora indebolito (ne sono convinto ancora oggi), il furore distruttivo tipico del monoteismo ebraico. Nelle ideologie che combatteva e che denunciò come "falsa coscienza", egli vedeva gli idoli della sua epoca - creati dalle classi e che bisognava distruggere; quegli idoli che venivano imposti dai dominanti ai dominati fino a che questi, vinti, facevano propria quella "falsa coscienza" ed erano persino pronti a rischiare la vita in sua difesa. lo credevo inoltre - e lo credo oggi ancora - che Marx - quando annunciava un tempo finale non più bisognoso di filosofia e dunque libero dalle ideologie postrivoluzionarie - con ciò intendeva una vita libera dalle ideologie. Come ho già detto, questa passione ebraica contro gli idoli è rimasta dentro di me..Ma il suo punto più alto lo ha raggiunto durante il nazionalsocialismo, le cui Celebrazioni - per tacere del culto del Fuehrer - non erano nient' altro che un servizio rituale per idoli. P:! erto voi aspettate da me - e con ciò arrivo ai salvati ~ da Auschwitz - una risposta alla domanda (1) su come io mi pongo nei confronti di Israele. Su questo, ho due risposte pronte. La prima: io sono stato laggiù e sono profondamente impressionato dal lavoro compiuto, commosso dal fatto di vedere uomini ebrei che vivono la loro vita a testa alta. Sono felice che al mondo esista un luogo dove gli eterni scacciati si sentono a casa. E l'idea che questo paese potrebbe diventare una seconda Auschwitz mi è semplicemente insopportabile. Dunque, dico si a Israele. I) In tedesco: "Gretschenfrage", "domanda di Margherita" (con riferimento alla Margherita del "Faust" di Goethe, che pone spesso quel tipo di domande semplici, che tuttavia richiedono risposte difficili e complesse) (N.d. T.).

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