Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

126 SCHEDE/GAMBARO tà dei neri, Peter ritrova la sua stessa condizione: "Adesso, leggendo quella frase, mi resi conto di averlo sempre saputo; ma finora non avevo parole per esprimere ciò che sentivo". La conquista della cultura è la svolta della sua vita; essa permette di dare voce ed espressione a ciò che prima era costretto al silenzio, di riordinare e di capire ciò che prima era solo un ammasso indistinto di sensazioni e di pensieri. La strada di Peter Lee da quel momento è tracciata, molti nuovi avvenimenti modificano la sua vita: la collaborazione a giornali e riviste, la partecipazione attiva a movimenti sindacali e politici, la conoscenza degli ambienti liberal e marxisti della comunità bianca, lascoperta che "è impossibile assumere l'atteggiamento di chi pensa che tutti i neri siano buoni, e tutti i bianchi cattivi" e al contempo la coscienza che il razzismo "danneggia tutti, i bianchi come i neri". È proprio perché il sistema sudafricano corrompe tutti di dentro, annullando l'umanità degli uomini, che egli decide di andarsene, preferendo l'esilio alla morte quotidiana del suo paese; andare via è l'unico modo per ritrovare se stessi, per essere liberi, per poter "dire la libertà": "dovevo andarmene, o sarei stato perduto per sempre. Non avevo bisogno di amici né di gesti di comprensione, ma della mia umanità. Un bisogno disperato". La storia del meticcio di Johannesburg è dunque il resoconto della faticosa conquista della propria identità e del diritto all'espressione, per sottrarsi all'umiliazione quotidiana della propria condizione di coloured, per rivendicare un diritto all'esistenza che non sia "riservata ai soli bianchi". Una simile ricerca passa attraverso una progressiva presa di coscienza della dignità del suo essere nero e dell'ingiustizia arbitraria dello sfruttamento cui, come tutta la sua gente, è sottoposto. Grazie all'istruzione e alla capacità di dire, ciò che prima era dato come necessario ed immutabile viene orarimesso in discussione e rifiutato: scrivere ed esprimersi diventa un modo per respingere l'oltraggio quotidiano della segregazione, per affermare la propria esistenza, la voglia di vita e di libertà cui mai si può rinunciare. È in questa prospettiva chi! la scrittura acquista allora un senso preciso e una ragione d'essere che supera le due contrapposte posizioni richiamate più sopra: Peter Abrahams scrive per ritrovare e riaffermare la propria identità e la propria pienezza esistenziale, per dare un significato alla propria storia, ripartendo proprio dalle esperienze più dolorose e bruèianti che hanno segnato la sua giovinezza. Ripercorrere a distanza di anni le vicende del suo "apprendistato" è Dal film Ceddo di Sembène Ousmane. un modo per riordinare le fila del faticoso processo di cui è stato protagonista. Si capisce così la scelta dell'autobiografia secondo il modello del romanzo di formazione, genere letterario di tradizione occidentale ma adottato spesso dagli scrittori africani, proprio perché, come dice Itala Vivan nell'intelligente introduzione al libro, consente "un itinerario di recupero del sé psicologico e sociale, culturale e storico", come appunto è avvenuto per molti scrittori afro-americani (da William E.B. Dubois fino a Richard Wright), cui certo Abrahams ha guardato mentre scriveva il suo romanzo. La scelta dell'autobiografia consente all'autore l'adozione di un punto di vista interno alla vicenda, una prospettiva dunque che si modifica nel tempo man mano che le esperienze maturano e trasformano il giovane protagonista: ecco che allora, specie nella prima parte del libro, quella centrata sull'infanzia di Peter, la narrazione assume i toni e i ritmi di un'avventura quotidiana con le sue battaglie, gli imprevisti, le gioie, i dolori, le piccole vittorie e le sconfitte. Questa è la vita del ghetto come appare agli occhi di un bambino che non sempre capisce il mondo attorno a sé e che pure è costretto a sperimentarne tutta la durezza. Questa forse è anche la parte migliore del libro, quella in cui l'autore, con un ritmo di scrittura felice grazie a descrizioni essenziali ma assai precise, riesce poco a poco a dar vita ad ambienti, situazioni e personaggi, ricostruendo così in tutta la sua varietà il mondo entro cui si muove. Va detto poi che, seppure la rappresentazione è assai incisiva e non può fare a meno di colpire il lettore, in essa però non c'è né retorica né enfasi. Come pure nel protagonista non c'è nulla di eroico né di straordinario, anzi proprio il suo antieroismo è uno dei punti di forza del romanzo: la vicenda che si racconta è la pura quotidianità di un giovane meticcio di cui certo non vengono descritte imprese eccezionali o fuori dalla norma; piuttosto sono la situazione stessa, il modello sociale, la pratica della segregazione razziale ad esser fuori dalla norma ed ad avere i caratteri dell'eccezionalità. In tale prospettiva, allora, l'opera di Peter Abrahams, accanto alla sua originaria valenza letteraria, recupera anche una precisa valenza politica di grande attualità, visto che la situazione sudafricana nei trentacinque anni che sono passati non ha fatto che peggiorare. Così, se per l'autore il romanzo è l'occasione per ricostruire la propria storia alla ricerca delle tracce della propria identità, per il lettore è un'opera di grande intensità, un "classico" della cultura nera sudafricana e insieme una straordinaria testimonianza, una precisa denuncia dell'apartheid, che non può lasciarci indifferenti.

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