Foto Bauerl Agenzia Grazia Neri. Eppure era stato proprio attraverso una focalizzazione di tipo autobiografico, a nome Barbino o Angelo Bazarovi, che era pervenuto alla rappresentazione di personaggi del tutto autonomi e convincenti. Si pensi ad Ariette in Seminario sulla gioventù, o a Celestino Lometto nella stessa Vita standard. E tanto più personaggi che nel panorama, diciamo così un po' stitico, della recente narrativa italiana, si erano imposti con i crismi di un'insperata novità. li fatto che in questo caso abbia rinun- .ciato a una focalizzazione monocentrica a favore di un narratore il più possibile esterno, ha prodotto però due gravi inconvenienti. Innanzitutto che l'autobiografismo, libero da ancoraggi diegetici, è penetrato un po' in tutti i personaggi principali, diminuendone l'indipendenza espressiva. In secondo luogo è venuto a mancare, all'interno dell'universo romanzesco, un principio ordinatore che sapesse scandire le differenti gerarchie infernali. In questo senso la poderosa costruzione letteraria pare perdere in profondità analitica, acuendo l'impressione di gratuita fluvialità linguistica e accrescendo la fatica di trovare un preciso orientamento di lettura. A dire il vero un personaggio che dovrebbe rappresentare l'eversione totale e un punto di fuga dalla greve realtà del romanzo c'è: è Yulvia. L"'artista a termine", il transessuale agitato/a da disperate pulsioni autodistruttive che tuttavia sa mettere in crisi l'interno mecanismo dell'accumulazione del potere. Colei che ha imposto alla società "la realtà più difficile", cioè il suo "non essere né carne né pesce e essere''. Ma non è un caso che un tale personaggio occupi tutto sommato uno spazio assai limitato nel romanzo. Non è comunque attraverso i suoi occhi che ci si potrà dar ragione dell'inferno della Delfina Bizantina. Se questa è l'impasse in cui sembra essersi imbattuto lo stranissimo visceralismo sociale (come altro chiamarlo?) di Busi, va anche aggiunto che il romanzo sa offrire pagine assai convincenti. Quando cioè l'ispirazione etico-poetica dell'autore non si lascia imbrigliare nella semplice sentenziosità ad effetto ("non fare né oggi né domani quello che bisogna aver fatto ieri o mai più"), e si dispiega in passaggi di notevole penetrazione psicologica. È il caso della fuga di Teodora col padre e, più avanti, del suo sfortunato fidanzamento. Comunque un romanzo che sembra porsi su un crinale ancora indeciso. Un passo indietro, indubbiamente, se commisurato ai due precedenti. Ma un trampolino di vera sperimentazione verso un qualcosa d'altro che a tutt'oggi non è dato intravedere. Tra tanti esili minimalismi, come ha già rilevato Barilli, in ogni caso tanto di cappello a chi sa trovare il coraggio e la capacità per il più spudorato massimalismo. VIAGGIOM, EMORIAF,ANTASIA Luca eterici L'avvio del primo dei cinque "pezzi" (come li chiama l'autrice) che compongono la raccolta di Anna Maria Ortese Il mormorio di Parigi (Theoria, pp. 107, L. 13.500), dal titolo omonimo a quello del libro, è molto significativo, posto com'è in apertura e incornicitato da due ampie spaziature tipografiche: cappello ideale al racconto e a tutto il volume. "A Parigi, stamane, il sole va e viene, grandi occhi azzurri si aprono e si chiudono su nel cielo, le foglie degli alberi sembrano di vetro, un mare di tetti celesti brilla come in una cartolina lontana, la cartolina che tutti abbiamo ricevuto da luoghi di vacanze" (p. 11). Lo sguardo del narratore si appunta sui tetti della città; scatta subito l'associazione con l'immagine di una cartolina di quelle che si ricevono dalle vacanze, non per forza raffigurante proprio quei tetti lontani. Di fronte al paesaggio urbano viene dunque rifiutato un contatto diretto e "realistico", a favore di una doppia mediazione: ci si trova sotto gli occhi la riproduzione di un aspetto parziale di un luogo che a sua volta viene valorizzata in quanto rimanda a private fantasie - per chi quel luogo non conosca - o a un ricordo del tutto personale per SCHEDE / CLERICI 123 chi lo abbia visitato in passato. Solo a queste condizioni i tetti parigini colpiscono l'immaginazione del narratore e, con la sua, quella del lettore acquistando una loro particolarissima emblematicità. Il punto è che le "cinque storie inedite sul tema del viaggio", come recita la quarta di copertina - che peraltro inedite non sono, e puntualmente l'autrice lo spiega all'inizio del volume (apparvero intorno al 1961 sul "Corriere d'Informazione" e sul "Mondo" di Pannunzio) - se sono ambientate in altrettante celebri città (Parigi, Napoli, Dover, Palermo, Genova), muovono da un intento antirealistico, antinformativo e antituristico. "L'alba è un'ora stregata: rivela il fondo delle vite, i paesi, le storie, e mi dice a un tratto che la favola di questi incanti ha ceduto da tempo il posto a una cronaca sorda del turismo" (p. 35). In effetti i cinque "viaggi" dell'autrice si dimostrano funzionali alla definizione di un preciso universo rappresentativo, narrativo ed esistenziale, molto piu che aperti e "curiosi" verso differenti realtà storiche, socioculturali e, in tutti questi casi, urbanisticoarchitettoniche: i pezzi di viaggio artesiani rispondono alla medesima poetica delle sue prose piu schiettamente letterarie. Per chi conosca la narrativa dell'Ortese risulta infatti abbastanza evidente la contiguità dei cinque reportages con gli altri testi di indole piu spiccatamente "creativa" della scrittrice: sono davvero numerose le corrispondenze tra Il mormorio e le altre sue opere. Già la prima immagine del libro - per esempio-, l'immagine ricordata in precedenza degli alberi "che sembrano di vetro", non può non richiamare alla memoria la tematica del racconto L'albero di neve, sesto della raccolta L'alone grigio (Yallecchi 1969), costruito esattamente sullo sviluppo disteso di quella suggestione. Per limitarci al primo testo del volume, vale la pena di ricordare la notevole analogia tra l'impressione suscitata nel narratore dalla periferia parigina (p. 13) e quella che ne // treno russo (Pellicano Libri, 1983) l'autrice annota osservando i sobborghi di Mosca, all'insegna del piu grigio anonimato; la ricorrente presenza di una luna benevola e familiare (pp. 23, 26, 27, 29, ma anche in Tuona a Napoli, secondo racconto, e in Arrivo a Palermo, quarto del libro), alla quale l'Ortese ha dedicato il titolo di una sua raccolta (La luna sul muro, Vallecchi I968, dal quarto racconto, omonimo), e che è una delle presenze centrali e degli interlocutori elettivi della protagonista DasaDamasa-Damasina di // porto di Toledo (Rizzali, 1975, ora nella BUR). Fino ad ar-
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