120 SCHEDE / SINIBALDI glia ingombrante e inesistente: Nonna Alfonsa, zia Ermelinda, zia Elena, Lolette, la "mammina-matrigna", le sorelle dalle età sfasate;. e con loro, le varie specialità culinarie, dal pollo al cartoccio alla carnesecca, dal vov alla mousse e così via cucinando. Agli altri personaggi, specie se appartenenti all'universo maschile, Casalinghi/udine dedica pochi rapidi cenni, sparsi all'interno di sequenze montate con taglio cinematografico; ma il gusto sapiente del particolare azzeccato vale, nondimeno, a costruire una galleria di ritratti esemplari: il Grande Amore e una mai aperta bottiglia di Cordon Rouge; l'amico del cuore Enrico con cui si poteva "rischiare tutto tranne l'amore"; i vecchi compagni di scuola, protagonisti delle prime merende e delle incerte iniziazioni sessuali; i colleghi cinematografici troppo intellettuali per confessarsi affamati; Aldo, il capo indiscusso del "gruppo" la cui ortodossia politica condannava manicaretti e vini d'annata; infine, Massimo, l'uomo con cui condividere un piatto di fagioli e le difficoltà di una vita in comune. È entro la fitta e intricata rete di questi personaggi che nasce il sentimento nuovo e irrequieto della casalinghitudine. Il termine va riaccostato ad una precisa espressione paterna: "negritudine era sempre una parola ambigua, sospesa tra i movimenti di liberazione e il giudaico-romanesco". Analogamente, casalinghitudine accusa la stessa ambiguità, da una parte richiama la separatezza immodificabile del destino femminile, rinserrato fra pentole e fornelli, dall'altra esprime la tensione a proiettarsi verso l'esterno per "alimentare" appunto i rapporti d'affetto e d'amicizia. Clara Sereni arricchisce l'immagine banale "siamo ciò che mangiamo" di una specificazione ulteriore e decisiva: "siamo ciò che mangiamo insieme con gli altri". Poiché il cibo è sempre mediazione culturale e espressione simbolica, l'arte culinaria non circoscrive lo spazio angusto dell'intimità, ma fonda la socialità relazionale. "Cucinare e ospitare": su questo binomio, ricordato nell'ultima pagina, è costruito il ricettario "creativo", capace di delineare l'itinerario di una crescita individuale e il ritratto, ironicamente solidale, di un'intera generazione. Non è un caso che il termine casalinghitudine compaia per la prima volta nel confronto polemico con la cucina della mamma di Massimo, fatta di "sottilette e panna", troppo grassa per non essere vischiosamente protettiva, minacciosamente invadente. Contro la sicurezza soffocante dei menù immutabili e degli affetti egoistici, la combinazione di gusti e sapori diversi inFo/0 di Edward S1eichen (circa 1920). venta "le strategie di sopravvivenza per tenere a bada il mondo". Così, la rivendicazione storica di autonomia e indipendenza può intrecciarsi alla richiesta inedita di condizioni di "agio", parola - chiave del nuovo femminismo, dove far convivere i profumi delle pietanze antiche con 'l'aceto colto' offerto dai contadini piemontesi a Giovanna Marini. Meglio si chiarisce ora il destinatario elettivo di questo racconto-ricettario: l'invito a sperimentare la casalinghitudine, "l'angolino caldo" privo di certezze, è rivolto alle lettrici, intellettuali e borghesi, che, passate attraverso l'esperienza politica e culturale del movimento studentesco e della militanza femminista, hanno riscoperto il gusto, sfizioso e ludico, per le faccende domestiche. Alla strategia gratificante del riconoscimento è volta la somma di allusioni, richiami espliciti e cifrati, ammiccamenti discreti di cui è intessuta tutta la narrazione; così, il criticismo signorilmente snob con cui l'autrice scruta se stessa e i componenti di una famiglia già "consegnata alla Storia" impone atteggiamenti di lettura altrettanto autoironici e un po' blasé. Un solo dubbio affiora al termine della ricognizione in questa casalinghitudine ricca di ricette inventate e di "tantissimi piccoli gesti" di domesticità riconquistata: "il desiderio nostalgico e creativo di un mondo in cui, come diceva zia Ermelinda, "ogni cosa ha il suo posto, e ogni posto la sua cosa" non sconfina pericolosamente nella zona della tradizionalità rassicurante? L'ultima sezione del "racconto culinario" è dedicata alle tecniche meticolose e lente del "conservare": i tempi discontinui e irrequieti della modernità rischiano di essere sopraffatti quotidianamente dai rituali, forse meno oppressivi ma certo sempre insidiosi, di una "tre giorni natalizia" che dura tutto l'anno. PICCOLOCORO Marino Sinibaldi In una bella intervista pubblicata il 6 maggio sul "Messaggero", Paolo Volponi affidava a un desiderio preciso le sue residue speranze sulla vitalità della letteratura italiana: "Oggi è il momento in cui dovrebbero uscire due o tre libri onesti, robusti, con il senso di alcuni problemi che ci travagliano ... La letteratura dovrebbe venire fuori con libri che chiariscano qualcosa, sappiano far capire ai letteri se stessi e quello che sta accadendo". È sorprendente qoell 'insistere sull 'onestà, un termine (e un valore) non precisamente di moda. Ed è vagamente inquietante metterla in aperta relazione con la letteratura che, come ci insegnano alcuni maestri ancora à la page, è menzogna, artificio, finzione. Certamente c'è anche l'artificio onesto e quello disonesto, la finzione robusta e quella inconsistente. Ma l'auspicio di Volponi fa probabilmente riferimento a un'altra concezione della scrittura, a un'altra possibilità della letteratura. La richiesta di onestà ricorda poi un vecchio articolo "teorico" scritto da Umberto Saba per la rivista "La Voce" che non lo pubblicò. Si intitolava Quello che resta da fare ai poeti e subito si rispondeva: "Ai poeti resta da fare la poesia onesta". Tutto il breve saggio insiste sull'importanza di alcuni valori già all'epoca poco popolari: la sobrietà (contro D'Annunzio, che "si ubriaca per aumentarsi"), la rinuncia all'originalità a ogni costo, l'austerità nell'arte e nella vita, una onestà che coincide essenzialmente col rispetto verso se stessi e verso i lettori. Già allora questa posizione ecologica dovette apparire ingenua e finii sepolta sotto il clamore delle urla futuriste. Eppure la modesta proposta di Saba non solo anticipava gli esiti di molte avanguardie, ma ne indicava l'antidoto. Come mai questa sotterranea richiesta di onestà nei confronti della letteratura del Novecento? Sarebbe facile dire che è colpa delle avanguardie; in realtà le avanguardie letterarie sono solo l'ultimo anello di una catena di responsabilità (e di disonestà, menzogne, inganni) che per buona parte scorre fuori dai confini della società letteraria. Ma che dentro la società letteraria ha reso impopolari - come ha rapidamente e precisamente intuito Saba - valori non solo estetici: onestà, realtà, verità ... Rispondendo a nove domande sul romanzo, Elsa Morante spiegava diciotto anni fa su "Nuovi Ar-
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