Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

118 SCHEDE/ TURCHETTA STORIE GLI OCCHIALIDI TADINI Gianni Turchetta Molti sanno che Emilio Tadini è una delle figure di maggior spicco della pittura italiana degli ultimi decenni, ma solo pochi felici, mi pare, si sono accorti dei suoi romanzi. Qualche anno fa, con L'Opera (Einaudi, 1980), sua seconda prova narrativa, Tadini aveva messo in scena una specie di sacrificio propiziatorio, o di messaggio in codice ad uso dei diffidenti, raccontando di un "critico d'arte che si era fatto a pezzi il suo pittore. E non era stata una stroncatura metaforica. Con il coltello da cucina, si era dato da fare''. Come dire: adesso per il romanzo il pittore è morto, fate attenzione solo al romanziere. L'Opera era sicuramene molto più che un cartone sperimentale, una prova, sia pure d'artista. Vi si trovano già una non comune intensità di scrittura, con un caratteristico impasto di linguaggio colto e linguaggio parlato, e un congegno narrativo relativamente semplice ma abbastanza ben oliato, cui si potrebbe caso mai rimproverare un lieve eccesso di rigidità geometrica (parallelo, sul piano del lessico, ad una troppo ampia fiducia concessa al registro tecnico-saggistico) nel far scattare la serratura che chiude il racconto sull'ultimo colpo di scena, abbandonando un po' a se stessi i succulenti abbozzi di digressione (meditat1v1, rammemoranti, satirici, comicogrotteschi) che avevan fatto qua e là capolino. Di fronte però a questo La lunga notte (Rizzoli, I987), davvero L'Opera rischia di sembrare una brillante prova generale, oltre che un pubblico esorcismo verso l'etichetta professionale di "pittore". Più maturo è ora lo stile, che, mi si passi il bisticcio logico, si fa insieme più morbido, naturale, e più barocco, lussureggiante: pure il rischio, non sempre evitato, di intonazione troppo gonfia, viene stemperato dalla tensione fabulatoria, che è quasi un'onda di piena, tanto da trasformare per lo più il sovratono, l'urgenza linguistico-sentimentale, in una necessità, in un tratto funzionale, invece che in un difetto di misura. Si guardi, per esempio, questo scorcio dedicato alle prostitute della superstrada Milano-Lecco: "Come quegli Unni al cinema, infagottati, in filmacci, che assediano città di cartone, con tutti i loro fuochi, e canticchiano al buio - cupe comparse, drammatizzate dall'effetto notte ... Così le donne, intorno a Milano, su strade e superstrade. Un assedio di quel genere./ Copertoni, bruciavano, per farsi vedere( ... ). Venivano da tutte le parti, loro, le maschere vere d'Italia. Da stupri remoti, venivano, da vocazioni improvvise, da progetti familiari, da amori, da tutte le ragioni dei sociologi. E andavano a finire lì, proprio in fondo allo scarico lombardo, a macchinare il loro assedio di Milano - a presentarle, alla capitale morale, qualche conto. Spostavano il peso del corpo da una gamba all'altra ... " Dispiegamento del grottesco su cui insorge una pietas cosmica: fin troppo facile, ma necessario, il richiamo a Gadda, che è certo maestro di Tadini, modello di barocchismo anzitutto, e più ancora di ricercato cozzare di comico e sublime. Donde la mescolanza inestricabile fra, da una parte, tutto lo spettro delle sfumature del risibile, incluso il ridanciano basso, con regolare incursione nel gastronomico ("Come una cameriera si muoveva, lei, al cimitero, come una di quelle cameriere svelte in un ristorante affollato", oppure, all'avviarsi delle rotative di un quotidiano, "il Grande Minestrone era in cottura", e così via) e anche proprio nel viscerale, nel coprolalico persino, e, dall'altra parte, l'oratoria, il patetico, l'amplificato, con tutti gli (ostentatissimi, e dunque denunciati) espedienti, ch'erano già in Gadda, della retorica enfatica, dallo scialo dei puntini sospensivi alle scariche di esclamativi, in scala ascensionale. E di Gadda Tadini riprende anche alcuni motivi minori, solo in piccola parte giustificati dalla semplice comune origine milanese: la Brianza, per esempio, ma anche l'epos della costruzione delle ville in campagna. Fo10 di L. Cèndamo/ Agenzia Grazia Neri. La constatazione del gaddismo di Tadini non deve però far pensare a una lelleratura da epigono. Al contrario La lunga notte ribadisce l'originalità della sua scrittura. Notevole è per esempio la costruzione a cornice, per cui il racconto principale è una storia nella storia, narrata da un personaggio al narratore, alter - ego dell'autore, che dice "io", e che questa storia riporta e trascrive, sia pure continuando a interrompere e commentare: quasi Tadini temesse di peccare di presunzione facendosi direttamente carico del nucleo di verità che la vicenda deve trasmettere. Un procedimento ch'era già nell'Opera, ma qui perfezionato e complicato, con possibilità di sviluppo a telescopio dei livelli del racconto (Tadini esplicitamente ricorda Le mille e una noi/e), per cui si hanno storie narrate da personaggi della storia narrata al narratore primo, e cioè racconti nel racconto nel racconto. Memorabile è poi la figura stessa del narratore primo, "quel ciccione con gli occhiali", miopissimo, giornalista famoso proprio per aver scoperto l'assassino del pittore di cui si narra nell'Opera, dove era già protagonista e narratore in prima persona. Nevrotico, privo di una personalità forte, e per questo fin da bambino intento a surrogare una Bildung e una crescita impossibili con l'adozione forzosa (e sempre rinnovata perché di fatto irrealizzabile) di modelli di comportamento presi a prestito dagli eroi del cinema. Di qui le innumerevoli immagini di origine cinematografica (per esempio, su Milano bombardata: "A martellate, l'urbanistica. Piani sregolatori! Disastri che neanche nelle comiche del muto ... "), e l'importante "Prologo al cinema", che a suo modo modernizza il "Prologo in teatro" del Faust. Ma di qui, soprattutto, l'assenza di identità, o meglio l'identità debole del protagonista: che però non è solo l'irresolubile enigma su "chi sono?", ormai da tempo luogo comune del vulgato negativismo estremodecadente e post-mitteleuropeo, ma è anche, più profondamente, condizione di estrema plasmabilità del soggetto, capacità di ascoltare i racconti altrui fino al punto di dedurne se stessi, e addirittura necessità di continuare a farlo. Questa è fra l'altro una delle chiavi dell'ossessione (molto più barocca che pirandelliana) del teatro, dell'idea della vita come rappresentazione e coacervo di rappresentazioni, e anche della vita come Carnevale, e naturalmente come cinema; talvolta, dati i tempi, persino come televisione: "stragi quotidiane sull'autostrada con qualche scena da film dell'orrore ai video dei finestrini". Ma c'è dell'altro. Caduto in disgrazia, e

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