Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

10 APERTURA / ANDERS dato che già esiste laggiù anche il figlio di quest'ultimo, dunque il suo pro-pro-pro-pro-pronipote, (io non posso più interdermi con questo bambino di tre anni, che parla esclusivamente ebraico), tutti gli sforzi di mio nonno per realizzare un felice compromesso riformistico sono stati completamente inutili. ~ e noi "ultimi" - io, uno fra questi - ci voltiamo in- ~ dietro a guardare la vita che noi e i nostri genitori e i nostri nonni abbiamo condotto da quando le mura del ghetto sono state abbattute e noi abbiamo cominciato a prendere parte alla vita commerciale e spirituale dei popoli che ci ospitavano, allora constatiamo che una parte sproporzionatamente grande di noi ha fatto parte dei "primi": cioè a dire della avanguardia in tutti i campi, dalla cultura all'economia e alla politica. Con questo, per l'amor di Dio, non si vuol dire che siamo più dotati e più geniali di altri popoli o che avremmo il diritto di vantare qualche merito speciale. Quello che intendo, piuttosto, è che noi - dopo che ci siamo lasciati dietro la legge ebraica, rifiutandoci però di abbracciare, per ragioni di opportunità, altri dogmi morali o religiosi - abbiamo avuto l'opportunità di crescere privi di legami, voglio dire: liberi da pregiudizi. Di fatto, ci è stato facile procedere verso orizzonti inattesi, verso nuove verità; gli ostacoli spirituali e morali che dovevamo superare per poter progettare o scoprire il nuovo erano - una volta che avevamo spezzato i muri dell'ortodossia ebraica - meno resistenti degli ostacoli che dovevano superare i nostri amici e compagni di lotta non ebrei. In effetti, il numero dei "pionieri" e dei nuovi pensatori d'origine ebrea - mi basti ricordare i nomi di Marx, Einstein, Freud, Husserl, Schoenberg - è smisuratamente elevato. E, allo stesso modo, smisuratamente elevato è il numero degli ebrei che sono diventati rivoluzionari, che hanno potuto diventare rivoluzionari (e questo "potere" l'hanno dovuto pagare col sangue, come Rosa Luxemburg). Mi è stato chiesto spesso (di rado senza una qualche intenzione; perlopiù in modo stupido e maligno, per esempio dagli investigatori dell'FBI) perché la percentuale dei comunisti ebrei è così vistosamente alta; al che io cercavo di spiegare, perlomeno ai non male intenzionati - non contestando affatto la differenza di proporzioni - che il loro andare verso i movimenti rivoluzionari di liberazione non è stato altro che un proseguimento naturale della loro auto-liberazione dal ghetto e che essi hanno visto nel mondo capitalistico, in cui erano entrati, un secondo ghetto; il ghetto, straordinariamente grande, delle vittime dell'ingiustizia, che bisognava liberare. Questa opinione è stata, per decenni, anche la mia; e certo, anche in questo: io ero molto ebreo. Ma c'è un altro motivo per cui noi ebrei abbiamo fornito tanti rivoluzionari. Perché - non altrimenti che i nostri padri e i nostri antenati ordodossi, di cui inconsapevolmente abbiamo portato avanti l'eredità, e ancora oggi la portiamo - siamo sempre stati convinti di questo: che il messia non è ancora arrivato, che la sua venuta deve ancora avverarsi e noi dobbiamo appianargli la strada. Questo orientamento nei confronti del futuro è parso anche provato dal trionfo del concetto borghese di progresso, che gli ideologi della rivoluzione hanno assunto come un credo indubitabile. "Non-ancora": questa categoria è addirittura diventata il concetto guida di un filosofo che si è sentito molto vicino alla rivoluzione e che è - se solo avesse voluto ammetterlo - molto ebreo: Ernst Bloch. Si, l'attendere il "Non-ancoraavverato" sì è secolarizzato presso di noi - gli ebrei fuggiti dall'ortodossia - e si è mutato in attività rivoluzionaria. Già da bambino - anche se ancora non avevo udito nulla né del messianismo né del marxismo - niente mi pareva così poco credibile quanto la tesi secondo la quale - come avevo udito sostenere alla lontana - il Salvatore c'è già stato. Credere a questo mi sembrava semplicemente una sfrontatezza di fronte alla strepitosa miseria che avevo visto fin dal1'infanzia, soprattutto tra i tessitori della montagna Eulengebirge. Anch'io ho vissuto per molti anni - ed anche in questo ero molto ebreo - nell'attesa del "Non-ancora", del Regno messianico da fondare. Fino al 6 agosto 1945 - il giorno che si chiamò Hiroshima - quando come un lampo balenò in me la convinzione che forse - anzi addirittura molto probabilmente - noi siamo sospinti verso un "Non più". Questa fu la fine del mio messianismo. Ernst Bloch - al quale spesso, quando l'ho incontrato, ho cercato di "avvicinare" Hiroshima - non ha mai voluto saperne nulla: evidentemente egli non aveva né l'elasticità, né la forza, per compiere questa "svolta copernicana" dal "Non-ancora" al "Non-più". Egli era - e questo ci divise - incapace di intendere quello che oggi è il nostro compito: cioè di vivere senza speranza. In questo era più ebreo di me. E dunque, forse non è un caso che fra quelli che hanno dato ascolto ai miei avvertimenti sul "Non-ancora" - ininterrotti dal 1945 - non ci sia stato nessun ebreo, tranne il grande Max Born. Fissi all'idea del Regno che deve venire o che dev'essere fondato da noi, i più sono rimasti incapaci di pensare ad una "Apocalisse senza regno". Ma siccome io parlo a non ebrei, vorrei - anzi no, devo - comunicarvi qualcosa che riguarda un'espressione che da voi generalmente - senza vostra colpa - viene male interpretata e la cui comprensione è di grande importanza per la chiarezza dei rapporti tra voi e noi. Fare questo è il mio dovere di ebreo - insomma fa parte chiaramente del "mio ebraismo". Fin dalla vostra infanzia, voi credete che noi ebrei crediamo di essere un "popolo eletto" da Dio (1). Ma, per quanto riguarda questa espressione (Max Weber ne ha già parlato ampiamente nella sua sociologia della religione), ecco come stanno le cose in realtà: l'espressione viene (come ci mostra il Salmo l05, 8-14, nel quale essa appare per la prima volta) dall'epoca premonoteistica - la cosiddetta epoca "enoteistica" dell'ebraismo - nella quale Yahwèh si considerava il "Dio fondatore" degli ebrei, col cui progenitore Abramo aveva stretto un "patto monopolistico" di reciprocità; viceversa, gli ebrei si consideravano gli unici partner nel patto con questo Dio. Quando nacque l'espressione "prescelto", l'idea che Yahwèh potesse essere anche il Dio di altri popoli era certo lontanissima da quei nostri 1) L'espressione "auserwaehlte Volk" usata da G.A., si può tradurre come popolo eletto, o prescelto o prediletto. Nella pagina che segue usiamo tulli i tre questi aggellivi, secondo le diverse intenzioni del discorso dall'A. (N.d. T.)

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