114 Foto di Dorothea Lange (1939). Shakespeare l'aveva letto. Credo che neppure Melville lo conoscesse, e certamente Moby Dick lo ignorava del tutto. Aveva lei/o /'Ulisse di Joyce quando iniziò la sua allività di scrittore? No. Ho cominciato a scrivere prima di aver letto l'Ulisse. Chi sono i più grandi seri/lori suoi contemporanei? I due grandi sono James Joyce e Thomas Mann. Ali' Ulisse di Joyce bisognerebbe accostarsi come l'incolto predicatore battista si accosta alla Bibbia: con fede. André Gide in uno dei suoi saggi ha seri/lo: "Nessuno dei personaggi di Faulkner ha, propriamente parlando, un 'anima." Le sembra giusta quest'osservazione? Be', direi che la colpa non è dei miei personaggi, ma mia. È colpa mia se non so descrivere l'anima dei miei personaggi. Ma, a mio parere, loro un'anima ce l'hanno. Ci sono gli scrittori come Gide che dell'anima preferiscono parlare direttamente, e se questo sembra a loro conveniente, tanto meglio. Non vi sono regole sulla maniera di parlare dell'anima. Quanto di quello che ha seri/lo è basato sopra un'esperienza personale? Non potrei dirlo. Non ho mai fatto il conto. Perché quanto non è importante. Uno scrittore ha bisogno di tre cose: esperienza, osservazione e immaginazione. A volte bastano due di queste qualità, e certe volte anche una sola può colmare la mancanza delle altre. Di solito per me una storia comincia con un'idea, un ricordo, una scena. E scrivere una storia significa per me soltanto arrivare a quel momento, spiegare come e perché avvenne in quel modo, e che cosa determinò in seguito. Uno scrittore, a mio parere, deve creare personaggi credibili che si muòvono entro situazioni credibili, ed esprimere tutto questo con un forte grado di emotività. Uno degli strumenti di cui può servirsi, ovviamente, è l'ambiente che conosce meglio, per esserci vissuto o per averne fatto esperienza. Forse la musica è la maniera più facile per esprimersi, ma poiché io ho a che fare con le parole, debbo usare le parole per esprimere quello che forse la musica avrebbe potuto dire meglio. Molti dicono di non riuscire a capire il suo modo di raccontare, neppure quando hanno letto due o tre volte lo stesso romanza. Qual è secondo lei il mezzo migliore per avvicinarsi alla sua opera? Che cosa suggerisce a questi lettori? Di leggere lo stesso libro una quarta volta. Lei ha parlato di esperienza, osservazione e immaginazione; come mai non ha parlato dell'ispirazione? lo non so niente dell'ispirazione. Che cos'è? Ne ho sentito parlare, ma non l'ho mai vista. Molti dicono che lei è uno scrillore ossessiona/o dalla violenza. Sarebbe come dire che il falegname è ossessionato dal martello. La violenza con cui il falegname batte i suoi colpi è solo uno dei mezzi di cui si serve. Lo scrittore come il falegname non può costruire la sua opera con un solo strumento. Ma perché i suoi personaggi raggiungono tanto spesso il culmine della dannazione e dell'abiezione? Credo che la ragione sia da ricercarsi soprattutto nell'amore che porto al mio paese, al Sud, dove sono nato. Lo amo abbastanza per voler indagare il male che lo mina e curarlo. E l'unica maniera che ho per far questo, nei limiti delle mie capacità e della mia vocazione di scrittore, è di portare il male alla luce, di stanarlo, e mostrandolo alla gente provocare un senso di vergogna. D'altra parte, insieme al male e alla bassezza e alla degenerazione ho anche cercato di mostrare i momenti di onestà, di integrità e di orgoglio che pure hanno reso questa terra gloriosa. È stato detto dal critico Malcolm Cowley che i suoi personaggi portano addosso un senso di rassegnazione, di sol/omissione al proprio destino. Questa è la sua opinione. lo direi che alcuni di loro sono sottomessi e altri no, come capita appunto ai personaggi di ogni libro. Per esempio direi che Lena Grove, in Luce d'agosto, ha lottato abbastanza col suo destino. E lo stesso direi della famiglia Burden in Mentre morivo; e anche Dilsey, la serva negra di L'urlo e il furore, si dà parecchio da fare per tenere in piedi una casa come quella dei Compson. * * * Vorrei rivolgerle un 'altra domanda che interessa molti dei suoi critici. Essi si domandano che cosa accadde quando, dopo aver scritto La paga del soldato e Zanzare diede inizio con Sartoris a quella specie di Commedia Umana del Sud composta da tu/la la serie dei suoi romanzi successivi. Con La paga del soldato mi accorsi che scrivere mi piaceva. Ma mi accorsi, dopo, che non solo ogni singolo libro doveva avere un disegno, una struttura, ma l'intera somma delle opere di uno scrittore. Con La paga del soldato e con Zanzare dunque scrivere era stata una divertente esercitazione. Ma a cominciare da Sartoris io scoprii che quel fazzoletto di mia terra nativa meritava di essere racccontata e che non sarei mai vissuto abbastanza per raccontarla tutta; che trasformando idealmente la regione reale in una inventata, come è appunto Yoknapatawpha, avrei avuto la massima libertà di adoperare il mio talento per descriverla. Così scoprii un filone d'oro nella mia fantasia, conobbi altri personaggi, e insomma creai un mondo tutto mio. In questo mondo io sono come un Dio, posso muovere i miei personaggi come voglio, nello spazio e nel tempo. Il fatto che io, secondo la mia volontà, sia riuscito a muovere i miei personaggi nel tempo, conferma ciò che ho sempre pensato: che cioè il tempo è una condizione fluida che non ha esistenza se non nella momentanea apparizione di ogni singola persona ed è da essa rappresentata e resa evidente. Non c'è mai "era", ma soltanto "è". Se "era" davvero esistesse,
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