Louisiana 1938 (foto di Russe/ Lee). raccontata da Quentin, e così venne fuori il monologo di Jason, che è sempre la stessa storia raccontata per la terza volta. Arrivato a questo punto, tutto era diventato abbastanza confuso e sentii la necessità di scrivere un'altra parte del libro, in cui gli avvenimenti erano narrati non più come nelle precedenti sezioni, da punti di vista soggettivi, ma in modo oggettivo. E così il romanzo ha preso la sua forma definitiva. È dunque come se avessi scritto sempre la stessa storia quattro volte: una volta dal punto di vista di Benji l'idiota, un'altra dal punto di vista di Quentin, poi dal punto di vista di Jason, infine dal punto di vista dell'autore, nessuna mi soddisfaceva, allora le ho stampate tutt'e quattro. Sicché non è stato un tour de farce, come lei diceva, ma il libro si è sviluppato naturalmente in questa forma. Insomma io ho tentato ogni volta di raccontare la stessa storia e ogni volta sentivo di aver fallito, ma ci avevo messa tanta sofferenza ogni volta che alla fine non mi sono sentito di gettar via neppure una delle quattro storie, e le ho riunite tutte in un libro. E la ragione per cui questo libro mi è più caro degli altri è appunto il fatto che per scriverlo sento di aver fallito quattro volte di seguito. Vorrei rivolgerle alcune domande sulla prima parte del libro, cioè il monologo di Benji che, insieme a quello di Quentin, rappresenta la le/tura più ardua per chi si accosta a L'urlo e il furore. Il monologo di Benji è sfato seriIlo tu/lo di seguito, oppure è il risultato d'un montaggio di frasi e appunti? È stato scritto tutto di seguito. Capisco le difficoltà del lettore, tanto che avevo pensato di stampare questa prima parte in diversi colori, ma sarebbe costato troppo all'editore. Eravamo nel 1930, e a quel tempo la tecnica della stampa a colori non era progredita come è oggi. Ma se fossi riuscito a stampare questa prima sezione in colori diversi, ognuno leggendo avrebbe potuto meglio ricordare i vari temi, i vari gruppi di ricordi che passano nella mente di Benji e le varie epoche della sua vita cui questi ricordi fanno riferimento. Per Benji infatti il tempo non era una successione, ma un istante, non c'era per lui ieri e domani, ma solo ora, solo questo momento. Benji non potrebbe dire se le cose che gli passano nel cervello le ha sognate o le ha viste. Quale sentimento prova lei per questo suo personaggio? L'unico sentimento che posso provare è un senso di accorata pietà per tutto il genere umano. Non si può provare altro per Benji, perché lui stesso non ha identità. L'unica cosa che io posso provare per lui, per quanto mi riguarda, è se sia o no credibile nella maniera in cui l'ho creato. Egli ha la funzione di un prologo, come il becchino nei drammi elisabettiani. Assolta questa sua funzione, egli scompare. Benji è incapace sia di bene che di male perché non ha nessuna idea di che cosa sia il bene o il male. Ma Benji può lui stesso provare un sentimento come l'amore? Benji non ha neppure quel tanto di razionalità che occorre per essere egoisti. Lui è un animale. Riconosce la tenerezza e l'amore sebbene non potrebbe mai dare ad essi un nome, e quando avverte il cambiamento di Caddy perché Caddy si è innamorata e si è data a un uomo, Benji comincia a lamentarsi perché vede minacciata questa tenerezza e questo amore. Quando Caddy scappa via di casa, lui non ha, essendo un idiota, neppure la sensazione della assenza di lei. Sa solo che qualcosa non va, qualcosa che ha prodotto un vuoto di cui lui soffre. Lui cerca di riempire questo vuoto come può, e l'unica cosa che gli è rimasta per riempirlo è una vecchia pantofola di Caddy. La pantofola era la sua tenerezza e il suo amore, che lui non avrebbe saputo nominare, ma di cui sentiva il bisogno e la mancanza. La pantofola gli dà un certo conforto anche se lui non ricorda più a chi sia appartenuta, cosi come non ricorda neppure la causa della sua sofferenza. Se Caddy gli fosse ricomparsa davanti, forse non l'avrebbe neppure riconosciuta. Qual è la tecnica che lei usa? Se lo scrittore s'interessa alla tecnica, meglio sarebbe per lui darsi alla chirurgia, oppure potrebbe fare il maestro muratore. Non c'è nessuna maniera meccanica per riuscire nello scrivere, nessuna scorciatoia. Lo scrittore giovane che seguisse una teoria sarebbe un pazzo. Allora lei nega la validità della tecnica? In nessun modo. Talvolta la tecnica interviene e conduce ciò che lo scrittore ha in mente prima ancora che lui sappia bene di che si tratta. Questo si chiama tour de farce, e finire il lavoro significa semplicemente mettere con precisione un mattone sull'altro, poiché lo scrittore conosce già ogni parola del suo libro, dalla prima all'ultima, ancor prima di metterle sulla carta. Così mi accadde quando scrissi Mentre morivo, il romanzo che pubblicai nello stesso anno di L'urlo e il furore, cioè nel 1930. Non dico che fu facile: nessun lavoro onesto lo è. Era semplice nel senso che tutto il materiale era già a portata di mano. Ma ci vollero circa sei settimane, e lavoravo nei momenti liberi da un lavoro manuale che mi teneva occupato dodici ore al giorno. Che mestiere faceva all'epoca? . Avevo perduto ogni speranza di vivere con la penna e così mi misi a lavorare in una centrale elettrica. Dovevo trasportare il carbone dal deposito alle caldaie, e la notte scrivero su un tavolo improvvisato: il piano di una carriola. Col rumore delle dinamo nelle orecchie. Scrivevo da mezzanotte alle quattro del mattino, e in sei settimane, senza una sola cancellatura, portai a termine Mentre morivo. Prima lei ha dello che L'urlo e il furore è sfata la sua maniera migliore di fallire. Vuole spiegare un po' meglio che cosa intendeva dire con questo? Volevo dire che tutti noi, tutti gli scrittori contemporanei abbiamo fallito nel realizzare il nostro sogno di perfezione, così l'unica maniera per giudicarci è di valutare l'importanza del nostro fallimento. lo penso che potrei ricominciare a scrivere daccapo tutti i miei libri, e sono convinto che li scriverei meglio: questo è già molto per un artista. Perciò ogni artista continua a scrivere e a riprovare. Egli crede ogni volta di farcela, di arrivare al fondo. Naturalmente non può e da questa sua condizione deriva anche la sua forza. Perché, se riuscisse davvero nell'intento, non gli rimarrebbe più niente da dire e l'unica cosa che potrebbe fare sarebbe di precipitarsi a testa in giù da quel vertice di perfezione, il suicidio. 109
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