voi, lettori miei, probabilmente non vi immaginavate: così naturale, come se fosse esistita dai tempi dei tempi. C'è stato persino un filosofo ebreo-tedesco (il "rinnovatore" di Kant, Hermann Cohen) che era convinto che esistesse tra le due culture una affinità dovuta, in un certo senso, a Dio stesso. E se mio padre sottolineava - e questo l'ha sempre fatto, quando il discorso veniva a cadere su problemi ebraici - che si sentiva incomparabilmente più tedesco che ebreo, diceva certo la verità. Altro è, naturalmente, sapere se egli fosse considerato dai non ebrei più tedesco o più ebreo. Ma su un simile problema egli non si rompeva la testa - e non lui soltanto, visto che molti dei suoi intelligentissimi amici in questo caso erano cechi, anzi stupidi. Su questo gli uomini della sua generazione - cioè quelli nati cent'anni fa - hanno avuto poi molto da disimparare, negli anni '30 (per quanto poco sia stato il tempo loro concesso per disimparare). Essi che, ingenuamente, avevano portato con sé nei campi di concentramento le Croci di Ferro che si erano guadagnate come volontari nella prima Guerra Mondiale, non dubitando che tali onorificenze avrebbero potuto perdere la loro validità. Noi, i loro figli, sappiamo meglio (o anzi: peggio) che siamo gli ultimi della linea di quegli ebrei tedeschi che hanno considerato la Germania come loro patria, anzi come la Patria, la lingua tedesca come la lingua, la musica tedesca come la musica. E come "ultimi" guardiamo dietro di noi, ai nostri predecessori - i Mendelssohn e gli Heine e i Marx e gli Einstein - e lo sappiamo: dopo di noi non verrà più nessuno che si definirà o sentirà ebreo-tedesco, o che entrerà nella storia della Germania. E tuttavia - senza tener conto di questo "addio" - di ebrei tedeschi ne esisteranno ancora per qualche tempo, forse anche per un lungo tempo. Voglio dire: fuori dalla Germania. Noi raccoglieremo e cureremo il raccolto in terre straniere, come gli ebrei scacciati hanno sempre fatto. I figli e i figli dei figli degli ebrei spagnoli sbattuti nei Balcani hanno per lungo tempo parlato "lo spagnolesco", uno spagnolo antico da molto tempo perduto persino nella madre patria. Io stesso, nel ventesimo secolo, l'ho sentito parlare da loro. La stessa cosa vale per gli ebrei scacciati, nel Medioevo, dalle regioni del Reno in quelle dell'Est. Per secoli essi hanno parlato ancora il tedesco di quell'epoca antica - lo Jiddisch è infatti un tedesco medioevale da loro conservato e che ancora oggi viene parlato da migliaia di persone in Israele, negli USA e nell'URSS. E questo ruolo di "conservatori" lo pratichiamo anche noi - per lo meno molti di quelli che furono cacciati dalla Germania nel 1933. Le cattedre di germanistica tra la California e l'Australia saranno mantenute grazie a noi. Per esempio, chi vuole oggi lavorare su Novalis deve andare a Melbourne. E siamo noi che traduciamo la letteratura tedesca, classica e contemporanea, in lingue straniere. Siamo sempre stati noi - questo l'aveva già visto Herder - che siamo stati segretamente i messaggeri e gli ambasciatori di coloro che più tardi hanno attentato alla nostra vita. E lo siamo oggi ancora. Non chiediamo di essere ringraziati per servizi come questi, però vogliamo che voi ne prendiate conoscenza. Ma c'è ancora una ulteriore ragione per la quale io mi APERTURA/ANDERS 9 definisco "ultimo". E questa ragione è molto personale, molto familiare. Io non sono assolutamente stato educato come un ebreo, non ho mai conosciuto un rituale ebraico, e non appartengo neppure all'ebraismo nazionale, cioè a dire non sono né sionista né israeliano. E che nonostante questo io mi sia sempre categoricamente rifiutato di rinnegare il mio ebraismo - o di rinunciarvi del tutto - è certo, perfino per me, assai difficile da capire adesso. Questa situazione è tanto più strana, in quanto io non sono il primo afar parte degli ultimi. Anche mio padre apparteneva già agli 'ultimi', ed anche suo padre - e persino il padre di suo padre, cioè il mio bisnonno. Il quale già centoventicinque anni fa, fondò a Berlino insieme ad alcuni amici, la cosiddetta "Comunità riformata" ("Reformgemeinde"), con la quale si proponeva di realizzare una fusione con la popolazione non ebrea, cioè con i protestanti prussiani; forse anche allo scopo di tenere in qualche modo a bada quegli ebrei che, dopo la rinuncia alla ortodossia, venivano colti dalla tentazione di rinunciare completamente anche al loro ebraismo. In breve: il mio bisnonno e i suoi amici si costruirono un tempio, che visitavano la domenica invece del venerdì sera; nel quale entravano, contro un'usanza bimillenaria, a capo scoperto; dove poi, invece di un servizio divino ebraico, ascoltavano una predica in lingua tedesca e dove infine, invece di far cantare al Cantore le sue Monodie orientali, intonavano Corali a quattro voci (composte, tra l'altro, dal giovane Meyerbeer) che avrebbero potuto risuonare in una qualunque chiesa protestante. Dunque, io discendo da questa tradizione dell'antitradizionalismo ... Già il mio bisnonno stava per perdersi del tutto su questa strada; ma, incomprensibilmente, ciò non è accaduto né a lui né a suo figlio né al figlio di suo figlio né al figlio di quest'ultimo (cioè a me). Anche se questo ~uò sembrare paradossale, gli unici oggetti che legavano ancora mio padre all'ebraismo e che egli mi ha lasciato in eredità sono le melodie della "Comunità riformata", assolutamente non ebraiche ma prese in prestito alla Chiesa Protestante, dunque pezzi che in realtà non testimoniavano l'ebraismo e semmai erano un ebraismo annacquato. E se mio padre era orgoglioso del suo avo ebreo, lo era proprio e solo perché costui aveva cominciato a de-ebraicizzare l'ebraismo. Il suo orgoglio per lui, il "fondatore", era talmente grande che mi diede da portare il suo nome. E quando poi, nell'anno 1911, rifiutò una proposta molto onorevole, quella di diventare Ordinario presso l'Università di Berlino, a patto di volersi adattare ad una "piccola formalità" (così si diceva), cioè al battesimo, questa rinuncia egli la compì per la sua "pietas" nei confronti di quell'uomo che pure non era più riconosciuto come un vero ebreo dagli ebrei ortodossi (e lo dimostra la storia degli ebrei di Graetz). Da tanto tempo dunque esistevano "ultimi ebrei tedeschi". Io però sono effettivamente "l'ultimo ultimo" della mia famiglia. Se il mio bisnonno, nei giorni in cui fondò la sua Comunità riformata, avesse intuito come sarebbe proseguita la storia, anzi, come in realtà è proseguita nel frattempo! Infatti - e con ciò arriviamo al coronamento di questa strana "corsa del destino" - il suo pro-pro-pro-pronipote è di nuovo diventato un "primo ebreo", dato che è nato nel 1947 a Gerusalemme. E
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