Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

Faulkner a Roma nel 1955. pace, piacere, solitudine o altro gli serve, e ad un costo non molto alto. Un ambiente disadatto può solo fargli aumentare la pressione e fargli perder tempo. A mia esperienza, quel che mi serve per lavorare è un po' di carta, tabacco, cibo e qualche dose di whisky. Whisky? Quale whisky preferisce? Be', non sono così difficile. Tra uno Scotch e niente, preferisco lo Scotch. Prima ha parlato dell'indipendenza economica. Secondo lei uno scrittore deve essere indipendente economicamente? No, lo scrittore non ha bisogno dell'indipendenza economica. Gli occorre solo carta e penna. Niente può distruggere un vero scrittore. L'unica cosa che può distruggerlo è la morte. I veri scrittori non possono perder tempo a preoccuparsi della ricchezza o del successo. Il successo è di natura femminile: se ti ci attacchi ti sfugge. L'unico modo di trattenerlo è tener duro. Allora forse striscerà nella tua direzione. Quali furono i suoi inizi di scrittore? Vivevo a New Orleans e facevo qualunque lavoro, quello che mi capitava e che serviva a procurarmi un po' di danaro quando ne avevo bisogno. Fu allora che incontrai Sherwood Anderson. Andavamo insieme in giro per la città e attaccavamo discorso con chi ci capitava, nel pomeriggio. La sera ci incontravamo di nuovo davanti a una bottiglia, lui parlava e io lo stavo a sentire. La mattina non lo vedevo mai. Se ne stava per conto suo a lavorare. Così ogni giorno. Decisi che, se questa era la vita di uno scrittore, allora diventare scrittore era quello che ci voleva per me. Così cominciai a scrivere il mio primo libro. Subito scoprii che scrivere era divertente. Avevo perfino dimenticato il signor Anderson, non lo vedevo da tre settimane. Così per la prima volta venne lui a cercar me. "Be', che ti succede? Ce l'hai con me?" mi disse. Io risposi che stavo scrivendo un libro "Santo cielo!" disse lui, e se ne andò. Quando ebbi finito il libro - che era La paga del soldato, incontrai in strada la signora Anderson. Mi domandò che ne era del libro che stavo scrivendo. "L'ho finito", dissi. "Sherwood vuol fare un patto con te", disse lei, "se non gli farai leggere il manoscritto scriverà all'editore raccomandancblo". "Accettato", dissi. Ecco come divenni scrittore. Che cosa faceva a New Orleans quando incontrò Sherwood Anderson? Lavoravo, per così dire, con un contrabbandiere. Era l'epoca del proibizionismo in America, e capitava che dalle Indie Occidentali arrivasse un carico di uno speciale tipo di rhum allo stato puro, pronto per essere trasformato in scotch whisky, gin, o in quello che si voleva. lo ero ... io avevo una barca che faceva i viaggi nel golfo del Messico e trasportava il rhum che poi veniva trattato e imbottigliato come whisky. Non avevo molto bisogno di denaro a quell'epoca e per ogni viaggio mi pagavano cento dollari, che erano un mucchio di soldi nel 1921; così mi bastavano per parecchio tempo, e io non facevo niente. L'ultima volta che i soldi finirono incontrai Sherwood Anderson e cominciai a scrivere. La paga del soldato, il suo primo romanzo, parla della guerra. La guerra cambiò la sua visione della vita e produsse una forte impressione su di lei, determinando in qualche modo la sua sensibilità di scrittore? Certo, mi fece una grande impressione come ogni forte esperienza. Quando partii per la prima guerra mondiale ero più o meno un ragazzino, e tutto ciò che impressiona la mente di un ragazzo rimane indelebile. E la guerra poi lascia tracce in ogni uomo che l'ha vissuta. Ma non so se abbia fatto in me più di questo che ho detto. Non so se mi abbia cambiato molto da come sarei stato se non avessi fatto la guerra. Forse sì, ma è una risposta che non potrei controllare. Preferisco pensare che io sarei stato più o meno quello che sono, con o senza la guerra, sebbene non possa dirlo con certezza. Alla prima guerra mondiale partecipò come volontario? Sì, ero nell'aviazione canadese. Lei ha scritto nel 1935 un romanzo, Pylon, tradotto in italiano Oggi si vola, che racconta la vita di tre spericolati professionisti dell'aviazione. È ancora un appassionato de/l'aviazione? Si, mi piace sempre volare, ma è ormai diventata una cosa così meccanica che il piacere di una volta se n'è in gran parte andato. Per volare oggi bisogna essere un tecnico provetto. I giorni in cui ognuno prendeva un aeroplano e un bidone di benzina e poteva volare dove gli piaceva sono passati per sempre. Volare è stato dunque per lei un mestiere, se così si può dire? Certo. Ho fatto parecchi mestieri. Quando è morto mio padre mi sono trovato capofamiglia. In un primo tempo accettavo qualsiasi lavoro, purché mi fruttasse del denaro quando ne avevo voglia o necessità. Subito dopo la guerra del '15 l'aviazione era appena agli inizi e la gente pagava fino a cento dollari per fare un giro in aeroplano. Per fare il pilota non c'era bisogno di nessun permesso o brevetto speciale. Quando hanno cominciato a regolare tutta la materia, quando il numero degli aeroplani è aumentato, il mio mestiere di pilota è diventato meno redditizio. E così l'ho messo da parte. Qual è stato il libro che rivelò il suo nome al gran pubblico? E stato Santuario. Quando fu scritto? Una prima versione, che non fu accettata dall'editore, nel '29; la versione definitiva, che fu poi pubblicata, uscì nel '31. Cosicché nel '29 prima di Santuario, lei aveva scritto due romanzi, La paga del soldato che 107

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