Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

104 STORIE/ BUNIN P:! on che cosa Ivan lvanyc poteva far colpo sul principe, li.iii affascinarlo? Non è il soggetto del fascino che importa, bensì è la volontà di essere affascinato. Inoltre il principe era un uomo con i resti di abitudini da gran signore, un uomo profondamente vissuto, il che vuol dire che a suo tempo se l'era passata come si deve. Ed ecco che il povero Ivan lvanyc, anche il povero Ivan lvanyc, sognò come tutti di vivere in un modo nuovo, in un modo primaverile, con qualche abitudine da gran signore e persino con qualche distrazione. Che c'è di male nel non andare a letto alle dieci, mettere fuori i pantaloni per la stiratura, fare i propri bisogni prima di lavarsi? Non ringiovanisce forse entrare dal parrucchiere che ci taglia e spunta la barba, comprare un cappello giovanile color cenere e tornare a casa con qualche piccolo acquisto, con qualche etto di sciocchezzuole incartate con eleganza da una commessa carina? E Ivan lvanyc, a poco a poco ma sempre di più travolto dalla tentazione, aveva realizzato tutto ciò a modo suo, cioè aveva realizzato quasi tutto quel che facevano anche altri secondo le sue forze e possibilità: aveva fatto una conoscenza, si era messo a scimmiottare, ma in verità non più degli altri, e aveva attinto alle speranze primaverili introducendo nella sua vita una certa dose di disordine primaverile, e si era appropriato di qualche modo da gran signore, e si era fatto spuntare la barba, aveva preso l'abitudine di rientrare verso sera al "Polo Nord" con qualche pacchettino, e anzi di più ancora: si era comprato un cappello grigio cenere e qualcosa per il viaggio, una valigetta da un rublo e settanta, tutta ricoperta di chiodini scintillanti, col proposito di recarsi d'estate sicuramente alla Santa Trinità o alla Nuova Gerusalemme... Se si fosse avverato quel sogno, in che modo fosse finito lo slancio di Ivan lvanyc verso una vita nuova, davvero non saprei. Penso che finisse come la maggior parte dei nostri slanci e pazienza, ma ripeto, non posso dire niente di preciso al riguardo. Non posso, perché da lì a poco, tutti noi, cioè il principe, Ivan Ivanyc e io, ci saremmo un bel giorno separati non per un'estate, non per un anno, né per due, ma per sempre. Sì, né più né meno che per sempre, cioè per non rivederci mai più, in nessun tempo, fino alla fine del mondo, un pensiero che nonostante tutta la sua evidente bizzarria mi riempie semplicemente di terrore, solo a pensare: mai! In realtà, tutti noi che viviamo in un determinato tempo sulla terra e che insieme stiamo vivendo tutte le gioie e le tristezze della vita, che guardiamo lo stesso cielo, che amiamo e odiamo in fin dei conti le stesse cose e tutti quanti siamo condannati a una stessa pena, a una stessa cancellazione dalla superficie della terra, dovremmo provare l'uno per l'altro un'enorme tenerezza, un sentimento di vicinanza quasi da piangere e dovremmo gridare di terrore e dolore, quando il destino ci separa disponendo ogni volta della completa possibilità di trasformare ogni nostra separazione anche per soli dieci - minuti, in una separazione eterna. Ma, come si sa, sentimenti del genere ci sono del tutto estranei e spesso ci separiamo persino dalle persone più care con la massima indifferenza. In questo modo ci separammo anche noi: il principe Ivan lvanyc e io. Una sera ordinarono per il principe una carrozza per la stazione di Smolensk, un po' scalcinata, per sessanta copechi, e per me per la stazione di Kursk, per un rublo e mezzo, con una grigia. e vivace cavalla, e così ci separammo, senza nemmeno accommiatarci. E Ivan lvanyc rimase nel suo buio corridoio, nella sua gabbia col vetro smerigliato sulla porta, mentre io e il principe partivamo in direzioni completamente opposte, con le braccia cariche di roba da bere e da mangiare, ognuno nella propria carrozza: il principe, a quanto pare, assai indifferente, mentre io tutto raggiante, vestito di nuovo dalla testa ai piedi, con la speranza di un qualche incontro nel vagone, durante il viaggio... E ricordo come se fosse adesso: andai verso il Cremlino, e il Cremlino era avvolto dalla luce serale, poi lungo il Cremlino, vicino alle chiese, oh Dio mio che meraviglia! e poi sulla Il'inka odorante di sostanze chimiche, dove regnava già l'ombra della sera, poi sulla Pokrovka, già sorvolata da un rintoccare di campane benedicenti la laboriosa giornata che felicemente stava finendo: andavo e non ero affatto contento di me e del mondo intero, ma annegavo letteralmente nella gioia di vivere, e quasi istantaneamente, ancora sulla piazza Arbat, dimenticandomi anche del "Polo Nord" e del principe e di Ivan lvanyc; e probabilmente sarei rimasto molto meravigliato se mi avessero detto allora che essi sarebbero rimasti impressi per sempre in un dolce e amaro sogno di passato, di cui fino alla morte vivrà la mia anima e che ci sarebbe stato un giorno che io li avrei invano evocati: - Caro principe, caro Ivan lvanyc, dove marciscono adesso le vostre ossa? E dove sono le nostre comuni, stupide speranze gioie, quella lontana primavera a Mosca? (Amboise, 1922 - traduzione di Johanna Spendei) RaymondCarver Di cosaparliamo q_lfandoparliamo aamore Per questi racconti David Leavitt, Susan Minot, JayMclnerney lo chiamano maestro

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