INUNTEMPOLONTANO Ivan Bunin On un tempo lontano, mille anni fa abitava con me sul1'Arbat, all'albergo "Polo Nord", un certo Ivan Ivanyc: silenzioso, dimesso, il più modesto nel mondo, un uomo non più giovane e abbastanza malandato. Anno dopo anno passava per Mosca all'insegna della sua straordinaria attività. Qualcosa faceva anche lui, uno scopo nella vita doveva pur averlo. Usciva verso le nove, ritornava prima delle cinque. Pensava a qualcosa, sommesso, ma niente affatto con tristezza, mentre in portineria toglieva dal chiodo la sua chiave, saliva al secondo piano, percorreva le curve del corridoio. Vi si spandeva il vario e sgradevolissimo odore, particolarmente soffocante e acre, di un qualcosa che veniva usato per pulire i pavimenti negli alberghi d'infimo ordine. Il corridoio era buio e lugubre (le stanze davano verso il cortile) e i vetri sopra le porte facevano passare poca luce e per tutto il giorno in prossimità di ogni svolta stava accesa una luce abbagliante. Ma Ivan Ivanyc dava l'impressione di essere completamente im- .. mune dalle gravi sensazioni che il corridoio poteva destare nelle persone non abituate al "Polo Nord". Egli si moveva per quel corridoio con tranquilla disinvoltura. Di solito incontrava · i suoi coabitanti: lo studente dalla barba giovane e dallo sguardo vivo che si affrettava energicamente, mettendosi il cappotto strada facendo, una stenografa dall'aria emancipata, slanciata, seducente nonostante la sua somiglianza a un negro bianco; una vecchia miriuta signora sui tacchi alti, sempre truccata, coperta di rossetto, la capigliatura color nocciola, con nel petto un eterno gorgoglìo di catarro, del cui approssimarsi egli era avvertito dal rapido diffondersi per il corridoio del tintinnìo dei campanellini di quel suo mops dal muso rincagnato e dalla prominente mascella, con gli occhi sporgenti di rabbia e stupidità ... Ivan Ivanyc salutava cortesemente tutti senza minimamente pretendere di riceverne in risposta un sia pur lieve cenno del capo. Arrivava ad una curva, poi girava per una seconda ancora più lunga e più nera, dove ancora più lontano rosseggiava e brillava la lampadina sulla parete, faceva girare la chiave nella porta e si isolava in camera fino alla mattina dopo. Che cosa faceva una volta da solo, come passava il suo tempo libero? Dio solo lo sa. La sua vita privata, che non traspariva da nessun particolare esterno, a nessuno necessaria, non era nemmeno conosciuta da alcuno: nemmeno dalla cameriera e dal portiere che violavano il suo isolamento solo per servire il tè, rifare il letto e ripulire il lavabo sporco, da cui l'acqua usciva con un getto improvviso, e non in faccia, non sulle mani, ma molto in alto, lateralmente di sghembo. Con una rara impercettibilità, ripeto, e in una rara monotonia scorreva l'esistenza di Ivan Ivanyc: Passava l'inverno, arrivava la primavera. Passavano, rim-· bombavano, scampanellavano i tram a cavalli sull'Arbat, la gente si affrettava continuamente da una parte o dall'altra, i venditori con le ceste in testa gridavano, verso sera nella lontana apertura della via brillava il cielo dorato e luminoso del tramonto, armoniosamente risonava al di sopra di tutti i rumori e suoni un rintoccare di "basso" dall'antico campanile a tenda: era come se Ivan Jvanyc non vedesse e non sentisse tutto ciò. Né inverno, né primavera, né estate, né autunno esercitavano su di lui e sul suo modo di vita la minima percettibile influenza. Ma ecco che una volta, di primavera, era arrivato proveniente da qualche parte, aveva preso alloggio al "Polo Nord" ed era diventato vicino di stanza di Ivan Ivanyc un certo principe. E allora in Ivan Ivanyc era accaduto qualcosa di assolutamente inaspettato, imprevedibile. Per che cosa il principe poteva averlo colpito? Certamente non per il suo titolo, in quanto la più vecchia cliente dell'albergo, la piccola signora col mops, possedeva lei pure un titolo nobiliare e tuttavia egli non sentiva niente di particolare verso di lei. Per che cosa poteva affascinare? Sicuramente non per le ricchezze e nemmeno per l'aspetto esteriore; il principe era completamente in rovina e aveva un aspetto trasandato, imponente, grosso, le borse sotto gli occhi, il respiro rumoroso e pesante. Eppure Ivan Ivanyc ne rimasf' :::::::C• e ffascinato e, ciò che più conta, ne ebbe completam,c~:e ~::c-_·,~-toun equilibrio che resisteva ormai da molti anni. La sua esistenza si trasformò in una agitazione continua. Egli era caduto in preda a un angoscioso, sistematico e vergognoso scimmiottamento. Il principe era arrivato, si era sistemato, andava e veniva, incontrava gente, né più né meno che tanti altri clienti del "Polo Nord" dei quali Ivan Ivanyc si ricordava e con i quali non si sarebbe mai sognato di stringere amicizia. Ma per una qualche misteriosa ragione egli aveva immediatamente distinto il principe da tutti gli altri. Davanti al principe, dopo il secondo o il terzo incontro in corridoio, trovò l'occasione per abbozzare un inchino, presentarsi e con compitissime scuse pregarlo di dirgli con precisione l'ora esatta. E dopo una conoscenza avviata con tanta astuzia egli semplicemente s'innamorò del principe, fece tabula rasa delle proprie abitudini di vita e si mise come uno schiavo a imitare il principe ad ogni passo. Il principe, ad esempio, andava a letto tardi rientrando in albergo verso le due di notte (e sempre accompagnato in carrozza). E anche da Ivan Ivanyc la luce rimaneva accesa fino alle due. Chissà mai perché, egli attendeva il ritorno del principe, i suoi passi pesanti sul corridoio, il suo respiro rantoloso. Aspettava con gioia, quasi con tremore, e talvolta addirittura faceva capolino dalla sua stanza per vedere il principe passar lì vicino, per parlargli. Il principe incedeva senza fretta, come se nemmeno Io vedesse, e ogni volta gli rivolgeva la stessa domanda con lo stesso timbro di voce profondo ma indifferente. - Ah, come mai non dorme ancora? E Ivan Ivanyc, estasiato per l'ammirazione, benché senza alcun timore reverenziale, rispondeva: - No, principe, non dormo ancora, è ancora presto, appena le due e dieci... È stato fuori, si è divertito? - Si - rispondeva il principe, ansimando perché non trovava il buco della serratura - Ho incontrato un vecchio conoscente, siamo andati in trattoria e abbiamo chiacchierato ... Buona notte ... Così terminava l'incontro; con tale freddezza, anche se gentile, il principe troncava la sua notturna conversazione con Ivan Ivanyc, e Ivan Ivanyc se ne riteneva completamente soddisfatto. In punta di piedi entrava nella sua stanza, e probabilmente
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==