98 STORIE / ADDAMO "Giove" rispondo. "Giove mi ha buttato dall'Olimpo. Sono Vulcano. Sono un fabbricante d'armi". Aggrotta le sopracciglia. "Ti sei offeso?" chiede. Faccio di no con la testa. "È che di già l'ho detto: lo sono dalla nascita. Carenza di calcio, le ossa sono fragili. E non mi sono offeso. La verità non offende". "La verità?" ride fragorosamente. "La verità non esiste senza le prove. Ma se non altro non andrai in guerra. Sai che mi sto preoccupando che possono farla davvero? Non penso a me, penso ai figli... " Allora prendo la palla al balzo. "lo quello che non capisco, sono le domande che mi vengono fatte. Non capisco perché vengano fatte certe domande ... " Il riso che ancora correva sulla sua faccia, si arresta. "Ti posso rispondere" dice con condiscendenza. "E ti posso dire: non lo so. Faccio le domande e basta. Cerco di capire chi ho davanti". "E io chi sono?" "Non lo so". Sta un poco soprapensiero. "Devo portare avanti le pratiche. Che facciano il loro corso ... ". "E io?" lo interrompo. Socchiude gli occhi. "Tu, sei la pratica" dice dolcemente. "Ma non c'entro". "Ci sono gli indizi, caro mio. E pesanti. Fammi capire come fai a trovarti in mezzo a una rapina. E come fai a sbagliare recapito. E come ti trovi a fuggire proprio con il rapinatore ... Dopo si vedrà ... " "Quando?" chiedo. Ho apprensione. La sento serpeggiare dentro il mio corpo. Sono abituato a dominare parecchie cose di me, ma non le cose che non capisco. L'apprensione è cieca. A questo punto squilla il citofono introducendo un suono sottile e stridulo. L'uomo annuisce al microfono, contemporaneamente entrano due agenti ai quali fa un cenno col mento. Il cenno indica me. Che devono ancora farmi, mi chiedo? Ormai mi posso aspettare tutto. Non ho da giocare e da barattare niente. Nessuno, fra l'altro, mi ha chiamato a giocare. Uno dei due agenti mi fa alzare. "Aspettatemi, prima di cominciare" dice l'uomo, mentre mi portano via. Uno dei due mi ha messo la mano sul braccio. È leggerissima, come una carezza. Ma appena accenno a muovermi, la mano ferreamente si stringe attorno al braccio. Sono un prigioniero radicale, lo capisco in quel momento. Lo capisco sopra ogni altra cosa, prima di ogni annunzio, prima del silenzio del corridoio in cui vengo immesso, prima della cupa faccia verso cui mi sono girato di scatto. Il modo con cui stringe il mio braccio stabilisce distanza e possesso. Dove sto andando? ~ ntro in una grande stanza a metà illuminata. La parte I.iii illuminata ha pareti bianche e abbacinanti, sembra un luogo di tortura. Non scorgo nessuno. Vengo spinto nella parte illuminata. Non posso guardare da nessuna parte poiché la luce mi colpisce da ogni dove e gli occhi non vi sanno resistere. Non penso nulla. Non posso pensare. Non mi chiedo nemmeno nulla. Ormai sono uno schiavo. "Cammina" mi dicono d'un tratto. Mi metto a camminare fino al muro. Non scorgo nessuno, indovino sguardi diversi sopra di me che giungono dalla parte buia della sala. '' Adesso, mettiti a correre" dicono. Corro, se così può dirsi. Si accende la luce che inonda tutta la sala. È al neon, tutto sommato riposante. Vengono spenti i fari bianchi. "Senza ombra di dubbio" esclama un ometto che si muove sveltamente e ha un grosso anello al dito. "Inequivocabilmente" conferma, indicandomi. Gli vedo verso di me una luce d'odio. Non so chi sia e perché. E se gli abbaiassi, penso? Mi lanciassi contro di lui a bocca aperta e ringhiando? Scapperebbe, si precipiterebbe tra le sedie invocando aiuto e protezione. "Ti ha riconosciuto" vengono a dirmi. "Non l'ho mai visto" ribatto. "È lui" dice l'uomo. "Il gioielliere" dicono. "Lui ha sparato. Hanno tale paura che sparerebbero a una zanzara. Il ragazzo ha sparato. Un passante è rimasto ferito. Il ragazzo è morto. Come si chiamava il ragazzo?" Sono adesso in tanti attorno a me. C'è pure l'ometto che s'inumidisce le labbra con la lingua. È furioso. Ripetutamente agito la testa. "Non lo conosco, l'ho detto tante volte". "Scappavate insieme". "È lui" dice l'uomo. "Erano assieme. Li ho visti. Tutti e tre contro di me". Sono stanco. "Non scappavamo assieme" dico. Mi sento molto stanco quando mi riportano indietro. "Ha visto?" mi dice l'uomo quando mi lasciano davanti a lui. "Sei morto". Mi assalgono brividi. Non sono di morte né di paura. Non so che dire, ecco tutto. Dalla finestra, oltre i vetri, scorgo nuvole basse che certamente si muovono come se vogliano entrare. Mi sembra che da un momento all'altro si debbano precipitare nella stanza, rompere i vetri e invadere ogni spazio. Chiudo gli occhi. Li riapro e individuo verso il basso, verso la strada che non scorgo, il colore rosso e blu di un'insegna che non riesco a vedere per intero. Ci sono quei colori a loro modo trionfali. Immagino il negozio, e vedo le vetrine, gli oggetti dentro le vetrine, la gente che cammina per la strada e ogni tanto qualcuno si ferma davanti alle vetrine. Guarda qualcosa? vuole comprare qualcosa? si sta soffermando perché non sa dove andare? sta aspettando qualcuno? sta vivendo il proprio tempo? "Perdio, dicci qualcosa. Forse ti droghi, poi lo vedremo.
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