C.E. Gadda, Come lavoro, ne / viaggi la morie, Garzanti, Milano 1977, pp. 9-23). Sulla base di questa aurea regola, secondo Frassineti per scrivere sarebbe bastato fare come chi, per muoversi in bicicletta, vi sale sopra e pedala senza tante disquisizioni tattiche o strategiche. Allo stesso modo l'amato Scarron, l'autore del seicentesco Romanzo dei comici di campagna tradotto da Frassineti nel 1982, ai suoi tempi per scrivere si limitava a fare come il cavaliere che per cavalcare abbandona semplicemente le briglie sul collo del cavallo e lo lascia andare a suo piacimento. A riprova del compatto doppio registro della produzione di Frassineti fatto, ripeto, di polemica esplicita e di scrittura apparentemente togata, compaiono ora in libreria queste postume pagine raccolte sotto il titolo de // giorno prima non c'era, dalle quali ho riportato il lungo passo sopra citato. Esse comprendono articoli comparsi su diversi quotidiani e periodici, "Il giorno" e "li messaggero" più di tutti, nel decennio così carico di avvenimenti che corre fra il 1966 e il 1976. li titolo prende spunto dalla comparsa improvvisa e inopinata di un "immenso, notturno, numinoso e baluginante parallelepipedo" (ibid., p. 75) destinato a nuova sede degli uffici per i dirigenti dell'Istituto superiore delle poste e telecomunicazioni. Prodigi della burocrazia evidentemente, capace di costruire in un attimo quanto è per altri versi in grado di rinviare all'infinito. Il che ci introduce ancora una volta dentro il vero mondo di Frassineti, che è quello appunto della ministerialità burocratica, in queste pagine vista dalla parte di coloro che comandano, dei ministri e dei loro apparati, sinistramente alleati da sempre ad impedire che i sudditi possano una volta o l'altra diventare cittadini. Per la verità in quegli anni Frassineti aveva tentato di allontanarsi di qualche tratto da questa dimensione felicemente creativa ritenuta ormai conclusa dopo la terza e definitiva edizione dei Misleri dei Ministeri, che è del I973, e prima di dare alle stampe nel 1980, col Gargantua di Rabelais, alcuni risultati del suo nuovo lavoro di traduttore. Tutt'intorno resisteva impavida, e, ahinoi! resiste tuttora, l'Italia democristiana appena sfiorata dagli incerti (e poi drammatici) moti giovanili del'68, dal terrorismo, da colpi di Stato che parvero per qualche tempo endemicamente diffusi, da successi delle sinistre storiche che sembrarono preludere per una brevissima stagione a sviluppi d'un colpo abortiti, dall'affermarsi di consorterie varie e servizi segreti materializzatisi alla fine in una P2 luciferinamente onnicomprensiva 1bliotecaGino Bianco capace di sparire nel nulla ad un semplice gesto del potere costituito. Questa Italia inossidabile suggerisce a Frassineti con buona approssimazione il paragone con la Francia dreyfusarda del 1896 come ci viene descritta nelle pagine della Storia conlemporanea di Anatole France. Ma politici e generali maneggioni di basso profilo, i cui nomi sono da almeno vent'anni sulla bocca di tutti, rivelano la sostanziale STORIE/ANCESCHI inconsistenza delle nostrane "frusaglie, tutte troppo triviali e canagliesche per potersi fregiare se non altro della tragica dignità del male" (ibid., p. 18). Ciò non toglie che Frassineti riesca a dare pieno conto del senso di frustrazione causato da una condizione politica immutabile pur all'interno di una società affluente in rapida trasformazione. Egli ha chiaro come funzioni l'impudico e sfrontato meccanismo sul quale si regge la pace sociale: " ... fin che lo Stato si accontenta dei mezzi che gli forniscono i poveri, fin che gli bastano gli aiuti assicuratigli con meccanica puntualità da quelli che lavorano con le proprie mani, esso vive tranquillo, felice, onorato; ma appena questo infelice Stato, pressato dal bisogno, finge di chiedere denaro a quelli che ne hanno e di trarre dai ricchi qualche misero contributo, manca di rispetto alla cosa sacra, distrugge il commercio, viola ogni diritto, e schiaccia i poveri toccando i ricchi" (ibid., 17). Di fronte a tale conclamata ingiustizia Frassineti non si dispiace tanto del potere e del padrone, che in fondo fanno il loro mestiere e lo fanno benissimo, quanto dei pifferai di turno, dei pennivendoli numerosi e inestinguibili, dei maestri di conformismo abilissimi a fare cassa di risonanza del mondo del potere, ad esempio dei quali egli prende l'allora direttore del "Corriere della sera" Mario Missiroli, formidabile campione di una razza capace di dire tutto e il contrario di tutto "a cominciare dalla tratta delle monache per finire alla relazione di Covelli all'ultimo comitato centrale del PDIUM" (ibid., p.38). li mondo descritto dagli Huxley, dagli Orwell e dagli Zamjatin, quello foraggiato dai vari SIFAR e CIA e KGB è ancora poco rispetto a quello che personaggi del genere intendono ammannirci. Quelli in fondo possono anche far ridere, afferma Frassineti (io per la verità ci andrei più cauto): Missiroli no, Missiroli e i tipi come lui ci fanno piangere. Ecco dunque in fila ministri, burocrati e giornalisti, assieme sinistramente alleati in una triade di potere che sembra rifare il verso sul piano del grottesco e, perché no, del diabolico al dio uno e trino della nostra tradizione mitologica. Piace a questo proposito ricordare la singolare affinità, che si traduce in una vera e propria linea genealogica, fra le chiose di Frassineti (uno "scrittore da alambicco" lo ha definito Giorgio Manganelli recensendo questo stesso libro sul "Messaggero" del 2 giugno I986) e alcune folgoranti definizioni del Dossi delle Note azzurre di ministri, giornalisti e burocrati in combutta fra loro e ben lungi dall'essere quegli "esecutori e serviziali" che ad ogni pas-
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