stamente si dissolve, col vantaggio di far ac- _quisire alla comprensione tutta la trama dei rapporti materiali e simbolici - privati, pubblici e ufficiali, secondo la distinzione dell'autore - di cui è fatta la cultura (il suo uso attivo, la sua circolazione, la sua esibizione). Ruffini parte da un'affascinante lettura iconologica della Stufetta romana del Bibbiena, realizzata da Raffaello e dalla sua scuola su programma dello stesso committente, e individua nell'esoterismo neoplatonico, di derivazione pichiana e bembesca, un nucleo tematico che, sottinteso nel racconto degli affreschi e rovesciato parodisticamente nella Calandria, ritorna mondanamente negli intermezzi del Castiglione. L'analisi del luogo della festa (la sala del trono nel Palazzo Ducale), dell'apparato della sala e della scena conferma poi la valenza etica e politica che la città antica, meglio: la città e l'antico, avevano per le élites rinascimentali. La perfezione dell'uomo espressa dall'androgino e da realizzarsi attraverso l'amore nell'ambito dell'armonica città di cui il teatro (inteso qui come edificio da guardare prima ancora che luogo in cui guardare) è sintesi simbolica: questo il senso cui concorrono tutti i fattori costitutivi della festa urbinate. Un programma culturale saldatosi a un emblema politico: da qui, non da una metafisica essenza del teatro, nascerà poi lo spettacolo moderno, progressivamente depurandosi della complessità iniziale. I vari elementi, all'inizio autonomi e compresenti, verranno gerarchizzati; il testo, grazie anche alla sua costante disponibilità, diventerà l'elemento primario e tutto sarà ad esso funzionalizzato; altre, differenti pratiche di rappresentazione saranno emarginate o espunte per impertinenza o incompatibilità. Ma se il nostro secolo è stato teatralmente vivo, lo è stato proprio per il vario rifiuto di una prassi e di un'organizzazione codificante e per la continua scoperta e ridefinizione di nuovi spazi. In questi ultimi anni l'istituzione è diventata di nuovo centripeta, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il corpo del teatro perde vita, i nuovi territori appena conquistati tornano deserti. È indispensabile dunque che chi pretende ancora una legittimità per questo modo specifico di comunicazione e di espressione ne rifondi gli statuti, così come in età rinascimentale una cultura che gravitava fuori del teatro, ancora inesistente, seppe inventare, sul modello dell'antico liberamente interpretato, quello che oggi ci sta così stretto. Il libro di Ruffini non ha risposte alle nostre domande, ma dando loro il necessario spessore storico ci aiuta a meglio riformularle. Non mi sembra poco. BibliotecaGino Bianco UN APPRENDISTATO ALLACRITICA Bruno Falcetto Un romanzo di apprendistato: l'ultimo lavoro di Tzvetan Todorov porta un sottotitolo insolito ed eterodosso per un'opera di Critica della critica (Einaudi, pp. 198, L. 12.000), genere che per solito tende ad evocare nella mente del lettore atmosfere di una rinessività rarefatta e un po' arida, assai più che suggerire le vicende di un'avventura umana e intellettuale. E davvero il libro del critico bulgaro è, sotto molti aspetti, un libro singolare. A iniziare dalla sua ibrida struttura esterna: otto capitoli nei quali al breve saggio monografico si alternano lo scambio epistolare, l'intervista, il brano di autobiografia intellettuale, proponendo così una sorta di variegato panorama di generi possibili della critica. Tuttavia, tanto questa struttura quanto quel sottotitolo, lasciano intravedere con sufficiente chiarezza quale voglia essere il nucleo unificante del volume, vale a dire la ricerca di una costante apertura verso la complessità eterogenea delle dimensioni - etica, storica e culturale - che connuiscono e si rinfrangono nell'esperienza letteraria e delle quali, dunque, anche l'attività critica è tenuta a dar conto. Nella medesima direzione pare muoversi il proposito, dichiarato nella Premessa, di condurre il discorso su un duplice piano d'inTzvetan Todorov (foto di J. Bauer) SAGGI/FALCETTO dagine, intrecciando alla ricostruzione storica della posizione di alcune figure, maggiori e minori, di critici del nostro secolo - dai formalisti russi a A. Dòblin, da N. Frye a R. Barthes - una riflessione di indole teorica sullo statuto e le forme possibili dell'attività critica. All'ampiezza dell'approccio fa però riscontro la presenza di un progetto interpretativo assai ben definito che garantisce alla trattazione un efficace ritmo serrato. Da questo punto di vista Critica àella critica si pone, in certo qual modo, come prosecuzione ideale di un lavoro intrapreso nel I977 con l'importante Teorie del simbolo (trad. di E. Klersy Imberciadori, a c. di C. De Vecchi, Garzanti, pp. 412. L. 24.000) e continuato l'anno dopo con Simbolismo e interpretazione (da poco tradotto da C. De Vecchi, Guida editori, pp. 151, L. 18.000), dai quali qui si mutuano alcune categorie e conclusioni. In Teorie del simbolo, al centro di un'ampia opera di sistemazione storica tesa a mostrare come, al.di là della varietà dei linguaggi e delle discipline (logica, retorica, ermeneutica, linguistica), sia esistita in area occidentale una tradizione unitaria di riflessioni sul segno, Todorov aveva significativamente posto un preciso periodo: la fine del Settecento. Età di crisi, allora si era verificata una fondamentale svolta nella considerazione dei fatti simbolici: il passaggio da una concezione "classica" del linguaggio letterario - per la quale l'accento veniva a cadere sul legame di motivazione che lega i segni alla realtà e, quindi, privilegiava il principio d'imitazione nelle sue varie forme - a una concezione "romantica", che sottolinea invece l'indipendenza dei segni poetici da determinazioni esteriori, il loro svincolamento da finalità di ordine strumentale. Con la sua rivendicazione dell'autonomia, intransitività e coerenza interna come valori chiave dell'opera d'arte, il paradigma "romantico" così identificato (che non coincide esattamente per Todorov con i contenuti storici del romaticismo ma ne rappresenta piuttosto l' "ideale tipo" - p. 11) ha costituito, nelle sue diverse versioni, l'ideologia letteraria predominante negli ultimi due secoli. Ed è proprio quel paradigma a costituire il punto di partenza del ragionamento di Todorov in Critica della critica. La formulazione del principio dell'autonomia dell'arte, infatti, non è per nulla priva di conseguenze sul modo di pensare l'attività del commento: nel quadro sintetizzato dall'autore, all'immagine "classica" (nel senso sopra indicato) di una critica "dogmatica" - esempio tipo potrebbe esserne l'esegesi patristica - che subordina l'esistenza del testo e i suoi 85
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