4 SAGGI/PICCIOLI drammaturgica della Calandria, per fare un solo esempio, è una festa dell'intelligenza, un modello di come si può ottenere quel famoso plaisir du /ex/e tante volte proclamato così raramente offerto. Soprattutto una lezione in atto di come si può leggere attivamente un testo, collaborando con l'autore, ipotizzando svolgimenti alternativi della fabula e diversi comportamenti dei personaggi o invece lasciandosi intrigare dal meccanismo dell'invenzione. Ma si veda anche il primo capitolo, così sottile e paziente nel dipanare i molteplici fili, anche narrativi, dell'iconologia rinascimentale; o il congedo, così affettuoso e delicato nell'avvicinarsi alla personalità storica e ai "segreti dell'anima" del Bibbiena. L'eccesso di fascino è addirittura il limite di questo libro: a volte si vorrebbe una più esplicita o compiuta fondazione teorica degli strumenti critici usati (peraltro empiricamente funzionalissimi). Anche perché nozioni come quelle di realtà, verità, validità, convincimento e persuasione, applicate alla ricerca storica, alla pertinenza dei doBibliotecaGino Bianco cumenti, alla costruzione dello stesso corpus documentario, non sono epistemologicamente di poco conto. Così come certi temi (penso in particolare a quello della formacommedia), qui allusi in modo cursorio o affidati al discorso delle note, andavano forse p1u ampiamente sviluppati ed esemplificati, se non altro per il loro intrinseco interesse e per la novità e fecondità critica che sembrano comportare. E infine, ma questo è un discorso più generale, si vorrebbe un'ulteriore indagine sui criteri secondo i quali si costituì la classe dei fenomeni considerati poi "teatro". Certo, implicitamente sono deducibili dalle esclusioni: ma un discorso in negativo non è sufficiente a colmare lo spazio fra il punto di partenza (la multiforme vita della festa) e il punto di arrivo (il teatro). Ma per questo sarebbe necessario più di un altro libro. Meglio scendere al tema centrale di questo. La Calandria urbinate è famosissima non solo come specchio della svagata ed edonistica cultura rinascimentale, ma anche e soprattutto come archetipo del teatro modemo; quello, per intenderci, che ancora costituisce, anche tra i colti, l'idea vulgata di teatro: rappresentazione di un testo in una sala all'italiana. La rappresentazione è diretta da un regista e agita da interpreti professionisti; il testo è composto a parte e prima da uno scrittore, che può anche lavorare in solitudine; nella sala si raccoglie un pubblico che non tanto celebra una partecipazione quanto consuma un prodotto. Naturalmente la Calandria non è ancora perfettamente tutto questo: ma lo scarto dalla norma è disinvoltamente giustificato dalla sua anteriorità cronologica rispetto· all'istituzionalizzarsi del genere. Come dire, per adottare un paragone che Ruffini usa in un altro suo libro, Teatri prima del Teatro, che il cavallo è un'immagine ante lilleram del cavallo-vapore (e non, al contrario, il cavallo-vapore un prestito semantico dal cavallo). E come dire che il teatro procede per evoluzione interna, avvicinandosi progressivamente a una compiutezza che per definizione è quella del presente. Da tempo questa presunzione idealistica è stata intaccata da studiosi come lo stesso Ruffini, Fabrizio Cruciani (penso al suo fondamentale Teatro del Rinascimento. Roma 1450-1550), Claudio Meldolesi, Cesare Molinari, Ferdinando Taviani e il rimpianto Ludovico Zorzi (per citare solo i più noti fra gli italiani), che hanno dedicato molta della loro attività a sfatare il mito evoluzionista e studiano il teatro come un fenomeno complesso, muovendosi interdisciplinarmente nel più vasto ambito delle scienze umane, seguendo la lezione degli storici del- !'arte (Chastel, Gombrich, Battisti, Francaste!, Tafuri ... ), disgregando le fittizie unità concettuali, rintracciando geneticamente le differenti competenze che si intrecciano nelle arti dello spettacolo, queste sì storicamente determinate. Rifiutando, insomma, di sussumere sotto una categoria sovrastorica (il Teatro) i fatti contingenti ed empirici che solo a posteriori definiamo teatrali perché vi cogliamo una generica somiglianza nel porsi di una comunicazione. Così, qui, dell'evento urbinate - per la prima volta analizzato sistematicamente nella sua composita globalità - si esaminano il rapporto tra la rappresentazione, lo spettacolo e la festa, i modi in cui la rappresentazione è vissuta dai contemporanei, quale idea di teatro vi emerge, quale programma culi urale e politico vi è soneso, al di là delle evidenze registrate dallo sguardo di chi vi assistette. Si delinea in tal modo uno spaccato della corte rinascimentale "dal vivo": il teatro come sostanza e come genere giu-
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