STORIE/TESTA puoi entrare se non ti do il permesso. Va' via! - L'aveva riconosciuto, lo chiamava così, quando erano bambini. Si voltò dall'altra parte. Non gli parlò più. Rimase lì a guardarlo. Mollò la sacca per terra. Controllò soldi, passaporto e biglietti aerei. C'era tutto. Si tolse la camicia e le scarpe da tennis. Ora poteva riposarsi. - Sono contento che tu sia venuto. - Non capì se fosse la sua immaginazione e il suo desiderio di ascoltare quelle parole o se fossero state pronunciate davvero. Gianni si era appisolato con gli occhi semiaperti. Uscì nel portico. C'era Lorena. Muto, sedette accanto a lei. Tacquero. Poi la ragazza gli chiese: - Perché non vai a fare il bagno? L'oceano è lì. Non ti allontanare, l'onda lunga porta via. - La guardò, improvvisamente svuotato. Appoggiò la faccia sulle ginocchia e non rispose. Lei si alzò, lo prese per mano e disse: - Andiamo a fare il bagno.- Sulla spiaggia rimase nuda. Appoggiò sulla sabbia un telo d'oro stinto e vi si distese. Lui la guardò, nera di sole, i lunghi capelli lisci. Chissà dove nascondevano le brutte, forse in India non le facevano entrare. Si guardò i peli sulle dita bianche dei piedi, oltre l'orlo dei jeans. Di levarsi i pantaloni e restare in mutande neanche parlarne. Nudo meno che mai. Lei raccolse i capelli in una treccia. Li fissò con un piccolo pettine e gli sorrise: - Non ti spogli? Ci vuole un po' ad abituarsi .. io ci ho messo quasi un mese ... - Lui si sdraiò a faccia in giù sulla sabbia e fece finta di non esserci. Bianco, peloso e in mutande. Quando finalmente Lorena entrò in acqua, si spogliò completamente. Attraversare la spiaggia non fu facile, ma nuotare senza impicci era piacevole. Uscendo, si chinò a raccogliere una piccola conchiglia bucata: gli sembrò bella e gliela diede. Ancora si vergognava. - Ora vieni al pozzo, tra quelle palme. - E al pozzo: - Tira la corda, alza il secchio e fammi scendere l'acqua addosso, piano piano ... così. Hummm ... Ora lo faccio a te. E bello, eh? - Sembrava un telefilm. - Ti fermi a cena? - gli chiese una ragazza che incontrarono sul sentiero rientrando verso casa. Non ci aveva pensato. - Be' ... sì, - le disse. - Sono appena arrivato.- - Hai rupie? Bisogna pagare gli indiani. Scusa se te lo dico, ma se qui ospitiamo tutti quanti non ce la facciamo. Vuoi fumo? Be', alla sera qui si fuma, è meglio se ne hai un po' di dividere con gli altri. Comprane da Thomas.- - Ho rupie sufficienti per me e mio fratello.- - Certo certo, non volevo dire quello.- Invece Io voleva proprio dire. Lui si sedette sotto il portico, vicino a Lorena che stava tagliando frutta per una macedonia. Il barese riccioluto accordava una chitarra. Arrivarono due o tre con un pareo colorato e dei buffi cappellini in testa, di velluto bordato d'oro. Dallo stile dei discorsi intuì che i cappellini erano un qualche segno che indicava una sorta di rango elevato. L'equivalente dell'abito firmato. Uno un po' più vecchio, con due grosse palle di turchesi al collo, come un simbolo, mise una mano sul braccio di Lorena e la trascinò via. Trovò Gianni che tentava di reggersi in piedi. Erano alti uguali ma Gianni era scarno e patito. Camminava strisciando BibliotecaGino Bianco contro il muro, come sua madre. Che famiglia. - Piscio scuro e cago chiaro ... è l'epatite. Stai lontano. Sono infettivo. Comunque se la mangiano i maiali. Hai visto il prato come è tutto pulito? Neanche una cartaccia, qui ci pensano i maiali. Vedi, l'India è bella anche per questo ... In occidente si è persa ogni emozione. Si sedette per terra e appoggiò la testa alla parete. Chiuse gli occhi. - Sono stanco ... Andiamo a casa? - - Sì. Mamma sta male. Ha avuto un altro attacco. C'è bisogno di te.- - Mi immagino ... Anche io, ho bisogno di me.- La sera, nel portico illuminato dalle candele, erano in una decina. Sembrava il Mediterranée. Le indiane avevano cucinato pollo, riso, uno strano pane piatto. Gianni sedeva con le spalle appoggiate al muro, la testa ciondoloni. Inghiottì un po' di riso. Più tardi, le pipe passarono da una mano all'altra, secondo una complicata cerimonia di invocazioni e gesti rituali. Particolari dei visi, nasi guancie occhi, apparivano e sparivano al bagliore delle braci. Nella penombra, dopo qualche boccata di fumo suo fratello si afflosciò per terra. Lo portò nella stanza accanto e lo distese sulla stuoia. Era un mucchio d'ossa. Si accosciò vicino a lui e accese una candela in un angolo. Stette lì a pensare, e cercargli i segni sul braccio, a contemplare le ombre sul muro, a prevedere le difficoltà del ritorno. Lorena sedette contro la sua spalla. - Tutto bene? - Si guardarono alla luce fioca della candela. La ragazza si era messa la sua conchiglia all'orecchio. - Quando parti? - - Domani. Mi dispiace ... Sai ... qui sta bene .... Mi manca solo il pianoforte.- - E difficile girare con un pianoforte sotto il braccio ... - Si sorrisero e restarono vicini in silenzio. Si stava bene. Ma il tizio dai turchesi a palla non la mollava un momento e apparve nel vano della porta: - Lorena .. sei qui? Che fai?- Alzandosi la ragazza si chinò ancora su di lui per suggerirgli: - Prenditi il sacco a pelo e trovati un posto per dormire.- Quando tutte le candele furono spente c'erano mucchietti di corpi scuri per terra. La luna ritagliava quadrati di luce sul pavimento. Era finita. Non era stato difficile. Nel buio percepì un sussurro maschile e la risatina soffocata di una ragazza. Forse era Lorena che faceva l'amore col tizio dalle turchesi.
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