Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

All'aeroporto di Bombay gli era sembrato che l'India intera, affamata e stracciona, gli saltasse addosso. In strada, fagotti bianchi grandi e piccoli dormivano per terra. Chissà se erano famiglie. Chissà sua madre. Chissà suo fratello. All'alba, la nave avrebbe attraccato a Goa. Poi lui avrebbe cominciato a cercarlo. Controllò ancora: Arambol. Aveva tre fotografie a colori, abbastanza recenti, da mostrare in giro se ce ne fosse stato bisogno. Ne aveva anche un'altra: un'istantanea in bianco e nero di loro due da piccoli, col berrettino dalla visiera e il cordino sotto il mento e il vecchio cane. Si pentì di averla presa. Chissà com'era, Goa. Ne parlavano tutti. Ad avere più tempo e essere allegro, sembrava un posto bellissimo, da venirci con una ragazza. Qui sulla barca, ce n'era qualcuna. Una biondina di fronte a lui, vestita in veli leggeri di fata, aveva ricamato tutto il pomeriggio. Sceglieva con garbo le tinte del cotone. Le accostava, le spostava, le infilava. Gesti che a lui piacevano. Ora, però, aveva smesso di ricamare, era troppo buio. Fioche e giallastre si accesero le luci del barcone. Molti passeggeri si misero in coda per andare a cena. Davano un vassoio di alluminio, con tanti scomparti, uno per il riso in bianco, e delle ciotoline di salse verdastre. Il cibo piccante non gli dispiaceva, lui era di quelli che possono mangiare di tutto. Stava per alzarsi e mettersi in fila, quando un tizio vestito da Sandokan, con dei pantaloni di raso giallo, un gilè bordato d'oro e un drappo multicolore in testa, aprì la custodia di un flauto istoriato e cominciò a suoriare. Automaticamente le sue dita presero a battere un accompagnamento sul bordo di legno della panca. Il ritmo venne... Il flautista gli sorrise e gli passò un piccolo tamburo indiano. La pelle era ben tesa, il suono nitido. La musica lo consolò. La gente intorno ascoltava. Smisero solo quando il tempo per andare a cena era quasi scaduto. Si sedettero uno davanti all'altro a un tavolo unto e verde come le pareti del refettorio. Negli angoli, neri intrecci di ragnatele. Sullo stipite della porta pendevano imparzialmente le icone di un Dio elefante, di un altro con una tigre e di un Gesù capellone che mostrava il cuore con la mano. - Non è male, questo, - disse il flautista dopo aver assaggiato la zuppa e indicando le immagini appese, e non era chiaro a cosa si riferiva. - Tutti questi dei insieme... quelli di Goa e il dio dei portoghesi ... gli indiani li onorano senza distinzione. - Il flautista parlava in inglese. Immerse il cucchiaio nella verdura calda e scura. - Arambol? Non è proprio vicino. Ma è magnifica. Tranquillo. Palme, canneti. L'Eden. C'è un laghetto di acqua dolce quasi sulla spiaggia. - Chissà com'era, una casa vicino all'oceano, tra palme e canneti. Si distese per dormire sul ponte della nave, la testa sul piccolo zaino militare. La nave rollava, la luna era alta e le stelle diverse da quelle che si vedevano in Italia. Peccato dover chiudere gli occhi. Quando la nave attraccò era mattina presto. Il sole si fece subito sentire. Caldo, molto caldo. BibliotecaGino Bianco STORIE/TESTA 69 Goa sembrava meglio di Bombay. La gente non Io assalì. C'era un mercato vivace, e grossi pesci, e cumuli di zucchero giallo, e mosche, e freak, e indiani scuri, e colori sgargianti e allegri. Salì e sceseda corriere sgangherate, tra ceste pacchi animali e bambini dai capelli unti e ben ravviati che andavano a scuola. Attraverso boschi di erba bassa e palme fitte, piccoli villaggi dalle case di pietra col portico. Scorse templi indù e chiese cattoliche disseminati nella giungla. Nei punti più inaspettati, si ergevano enormi croci di ferro battuto. La strada terminò improvvisamente sull'orlo di un corso d'acqua fangoso. Smontarono tutti: passeggeri bagagli e caprette. Guadarono su una sottile piroga di legno. Sull'altra riva Ii attendeva la solita corriera, arrugginita e decorata. Non fosse stato per suo fratello, era un viaggio niente male. Arambol. Dove sono le case degli italiani? Ovunque, qui intorno. Cominéiamo di là. Prese la sacca e si incamminò lungo un viottolo. Chissà chi teneva l'erba così bassa e pulita. Sembrava un giardino. E che alberi festosi, le palme: un lungo palo con un fiocco verde in cima... Gli venne voglia di pisciare. Si appartò dietro un tronco, era un riparo insufficiente ma non c'era nessuno in giro. Subito ci fu un trepistio. Un enorme maiale rosa e grigio lo fissò. Manca solo che un maiale venga a spiarmi. Continuò la ricerca. Nascoste dietro la curva, c'erano tre case di pietra scura. Sotto il portico dell'ultima era seduta una ragazza dai lunghi capelli castani. - Ciao. Sei italiana? - Gli rispose un sorriso. - Cerco Gianni ... sai dove abita? - - Lì. - Indicò la casa accanto. - Sei suo fratello? Gli somigli. Ti aspettavamo ... - Si alzò, aveva un piccolo gilè nero e una gonna ricca di specchietti. L'accento era romano. - Io mi chiamo Lorena. Vieni - Scese scalza e leggera. Lo accompagnò nell'altra casa, fin dentro una stanza bianca, con un pavimento di terra battuta compatta e secca. Seduti su stuoie colorate, c'erano ragazzi vestiti da guru, con tante collane di fiori. Un piccolo con una testa arruffata e la cadenza barese gli disse un mucchio di cose: - Meno male che sei venuto. È stato fuori di testa quasi dieci giorni, ora va meglio, è debole perché ha l'epatite. Ha perso qualunque controllo. Ha bisogno di cure. Ma è tranquillo. - Gli sorridevano. - Stavano per portarlo al manicomio di Goa. È come il lazzaretto della peste. Li mettono dietro le sbarre. Vieni, è qui.- Sulla schiena nuda di una ragazza era tatuata una grande farfalla a colori. La notò confusamente. Dov'era Gianni? Entrarono nella stanza accanto, bianca e vuota come la prima. Soffitto alto, tegole a vista, grevi travatùre polverose ombrate di ragnatele. Poca luce da un lucernario. Faceva caldo. Gianni era abbandonato come un bucato sporco, su una stuoia. Gli occhi chiusi, la barba lunga, magro. Dormiva? Almeno, l'aveva trovato. Non lo vedeva da più di un anno ... Si chinò: - Gianni ... sono arrivato ... - Lo avviluppò con le braccia, lo scosse piano. Gianni aprì gli occhi e lo guardò. Li richiuse. - Ciao, Gianni - lo chiamò di nuovo. - Gazzosa ... - si lamentò. - Non è ancora mattina. Non

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