STORIE/TESTA volete fare, è fatto così, tanto, per quello che conta ... Gli anni passavano e gli studenti cambiavano, e vi fu un momento - si era verso la fine degli anni '70 - in cui, divertiti dal gioco, tornarono ad associarsi all'applauso che i sempre più vecchi allievi continuavano a promuovere. Gli studenti mettevano nell'applauso quella stessa enfasi ludica con la quale per un breve periodo anni addietro gli allievi avevano tentato un mutamento dei costumi, e in più forse - ma di ciò non si può essere certi - qualcosa di beffardo e irrisorio che gli allievi fedeli disapprovavano. Ma il professore no, il professore semplicemente si rallegrava della aumentata intensità dell'applauso. Per lui, che del resto ben poco aveva colto delle variazioni subite dall'applauso nelle diverse fasi e registrava solo i cambiamenti quantitativi, tutto era tornato come all'inizio. E a poco a poco anche per gli allievi tutto tornò come all'inizio. Ripresero disinvoltura e persino entusiasmo, e che i loro applausi bene intenzionati si mescolassero a quelli irriverenti degli studenti, era un'eventualità che non doveva turbarli, dal momento che al professore andava bene così. CHIAMATEMIABELE Delfina Testa Ora Io vincerei di sicuro, se ci prendesssimo a pugni: nell'ultimo anno sono cresciuto parecchio. Forse sono già più alto di lui, chissà. Allargò le mani agli ultimi raggi del sole che tramontava sull'oceano e sgranchì le dita flessibili e allenate. I riflessi dell'acqua andavano su e giù. Il barcone rollava sommesso, mite scendeva verso Goa. Un grande sole arancione si abbassava veloce all'orizzontè, incendiando l'acqua e il cielo. Un'esplosione. BUM. Il mare bruciava, il sole scoppiava, morivano tutti. Appoggiò le scarpe da ginnastica sul bordo del parapetto scrostato; ora poteva riposarsi. Affannato, era in viaggio da due giorni. La telefonata: Gianni ha esagerato, si è ridotto male: venite a prenderlo. Lo sguardo azzurro di suo padre. La decisione. Suo padre di nascosto gli procura i biglietti aerei. Sua madre si alza dal letto, i capelli pendono mosci dalla testa, la mano gonfia di vene si appoggia al muro. Tranquillizzarla con la prima scusa che viene in mente: sto via una settimana a preparare l'esame, non ti preoccupare. La mano di suo padre gli stringe la spalla, connivente e ansiosa. Chissà perché, suo padre gli dava sempre un po' fp.stidio.Comunque ora stava andando a riprenderglielo. Speriamo che non sia crepato. Lo immaginò morto, buttato in un posto scuro e ignoto, come un'immondizia. Ebbe una contrazione allo stomaco: gli voleva bene, era suo fratello. Quando andava a scuola, nessuno lo toccava mai. Non era solo, aveva un fratello grande che lo proteggeva e gli insegnava tutto. E forse, ora, avrebbe dovuto prenderlo a botte, per costringerlo a tornare. Rivide ginocch(a infantili, gomiti piedi mani testa denti. BibliotecaGino Bianco Schiaffi calci morsi, e una volta un suo morso che non mollava e la violenza di un pugno sul muso. Si passò la mano sulla bocca, inconsapevolmente. Sui dodici anni si allenava a picchiare tenendo la nocca del medio sporgente, per avere il pugno proibito. Ma da suo fratello le prendeva sempre. Poi, avevano smesso di azzuffarsi. Gianni era cambiato. Portava i capelli lunghi e un giorno che erano a tavola arrivò con l'orecchino. All'occhiata implorante di sua madre, suo padre aveva detto: - Toglitelo! - Borghesi - aveva risposto lui sedendosi a tavola e cominciando a mangiare. Si erano zittiti. Da allora, quando entrava in casa, c'era un silenzio cupo o esplodevano accuse e recriminazioni. Aveva tentato di disintossicarsi: ne usciva, ricadeva. Da un anno era partito per l'India. Si faceva vivo ogni tanto. Mandatemi soldi. La vita quotidiana era diventata più facile ma, in fondo al corridoio, c'era sempre la porta della sua stanza chiusa. Così, con questo fratello grande che andava a male gli era toccata la parte di Abele. Chiamatemi Abele. Quello che gli seccava sul serio, era di non poter studiare. Avrebbe potuto incollarsi al pianoforte tutto il giorno. Non era il momento di partire, aveva un esame tra tre settimane. Rimpianse la tastiera bianca e nera, sentì la melodia nel cervello, lesse la partitura nella memoria, mosse le mani. Chissà come puoi vivere, senza una musica. Imbruniva. Di qua dalla barca, l'orizzonte era una sinfonia di azzurri e di grigi. Dall'altra parte, il verde compatto della giungla e, di tanto in tanto, un villaggio. La nave ci metteva un giorno e una notte per scendere a Goa. La telefonata dei suoi amici diceva che viveva là, che era malconcio. Aveva l'indirizzo: Arambol. Chissà cosa aveva preso. Il ponte della barca era attrezzato con panche di legno stracariche di gente. Indiani, turisti con lo zaino, tipi come suo fratello, travestiti da principi, da straccioni, pirati, zingare e santoni. Uno accanto a lui, coi soliti cenci variopinti, baffi barba e riccioloni, ma il centro della testa già pelato, aveva una scimmietta rossastra sulla spalla. La teneva al guinzaglio. Era carina. Le allungò uno spicchio di mela, che divorò vivacissima. Al tizio rimasero bricioline di mela sulla pelata. Distolse lo sguardo. Cristo, chissà come era conciato, suo fratello. Però, la scimmia era carina davvero. Se non avesse lasciato le briciole in testa, l'avrebbe voluta pure lui. Si vide a casa, con la scimmia sul pianoforte come un gatto. - È bella... Perché non la lasci libera? - domandò. La risposta fu uno sguardo offeso. Tornò a guardare il mare. Stava per sorgere la luna. Ancora una notte, poi sarebbe arrivato. Sperò di trovarlo ... Sperò che fosse in condizioni di poter viaggiare. Che si lasciasse aiutare. La lunga notte cullata dalle onde lo spaventava. Nell'affanno della partenza non aveva quasi fatto in tempo a pensare.
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