pare che lei gli somigli anche un pochino, gliel'ha mai detto nessuno?" "Qualcuno, ogni tanto." Si voltò e uscì in fretta dal negozio. ~ i mise a contare i giorni segnandoli con crocette rosse sul ~ calendario. I colleghi d'ufficio cominciarono a notare segni di stranezza nel suo comportamento; dapprima fecero qualche tentativo per parlargli, ma ben presto rinunciarono e Io lasciarono in pace. Ogni mattina, appena alzato, si guardava a lungo nello specchio, e ogni giorno notava come la somiglianza crescesse man mano che copiava ogni minima e sottile sfumatura dei suoi movimenti. La sera rivedeva i suoi vecchi film e riascoltava tutti i suoi dischi. Per la prima volta in vita sua era contento. Pian piano cominciò a non limitarsi a diventare il Re entro gli stretti confini del suo appartamento, ma prese ad avventurarsi fuori la sera. Aveva sentito parlare di un piccolo locale dall'altra parte della città specializzato in questo tipo di talenti. Tra un paio di giorni il costume sarebbe stato pronto e aveva deciso di celebrare l'avvenimento andando al Tivoli. "Tale e quale la foto, guardi qua, perfino lo strass sui polsini, spiccicato. E tutto fatto a mano, un lavoraccio, lo so io la pazienza che mi ci è voluta!" disse il vecchio, mentre lui esaminava attentamente il lavoro. "Sì, non c'è male." Tirò fuori il portafoglio e pagò in contanti la differenza. "Deve essereproprio importante per lei 'sta festa, se ci spende tanti quattrini." "Molto." Si sforzò di sorridere, prese su il costume e si voltò per andarsene. "Se le dovesse servire qualche altra cosa ... " sentì il vecchio gridargli dietro mentre chiudeva la porta. Il Club Tivoli non era esattamente come se lo era immaginato. Molto più piccolo e buio di quanto si aspettasse, e oltretutto quasi vuoto, come notò non appena i suoi occhi si abituarono alla densa penombra del locale. Dovette togliersi gli occhi<1-slicuri. Naturalmente era ancora troppo presto, rifletté mentre sedeva a un tavolo in fondo alla saletta. Meno male che aveva indossato un soprabito, sul costume, fu l'unico pensiero consolante che gli riuscì di formulare. "Cosa prende?" Con un sussulto alzò lo sguardo e vide un omaccione con un grembiule lercio che gli sorrideva. Ma aveva una faccia dura quanto la voce che lo aveva fatto sobbalzare. "Beh ... ecco, un whisky. Grazie." Cercò di liberarsi del groppo che gli era venuto in gola. Sempre più a disagio, osservò la mole del camieriere allontanarsi. Cominciava a sentire troppo caldo col costume e il soprabito addosso e non riusciva a pensare ad altro che ad andarsene da quel locale, appena finito di bere. Rialzò lentamente Io sguardo e passò rapidamente in rassegna la sala. Non lontano da dove era seduto, c'era un minuscolo palcoscenico BibliotecaGino Bianco STORIE/TSUKIYAMA 65 scarsamente illuminato da poche lampade che pendevano sgraziate dal soffitto. Al solo pensiero di trovarsi lì sopra si sentì invadere da un vampata di calore. Una risata stridula all'altro lato della stanza attrasse la sua attenzione. L'omaccione col grembiule lercio stava dicendo qualcosa a una donna seduta a un tavolo. Poi tutti e due si misero a guardare nella sua direzione. Il suo primo impulso fu di andarsene subito, ma prima che riuscisse a mettere in atto i suoi pensieri, la donna si alzò e si diresse verso di lui. Man mano che si avvicinava, notò che non era poi tanto giovane come gli era sembrata da lontano. Era stata la chioma rossa e vaporosa a trarlo in inganno, e ora si accorse che il vestito verde e scollato era troppo stretto per quel corpo più gonfio che formoso. Rimase raggelato al suo posto. "Posso?" disse la donna con un sorriso. Era ormai così vicina che poteva vedere i minuscoli frammenti neri di mascara che le erano caduti sulle guance. "Ecco ... prego". Era sempre più imbarazzato. Un largo sorriso apparve sul viso della donna, mostrando una dentatura macchiata di nicotina. Rapidamente, e con una certa eleganza, la donna sedette accanto a lui. "Mi chiamo Denise." Gli porse la mano. Lui fu lento a ricambiare la stretta, ma poi sveltissimo a ritrarre la sua. "Tu sei il Re, non è vero? lo l'ho sempre adorato. Quando ho sentito dire che era morto ho perfino pianto, te Io giuro. Era ancora così giovane!" Abbassò lo sguardo, come per riprendersi dalla commozione. "Era giovane, sì." "Un vero peccato." Improvvisamente il cameriere dal grembiule sporco sbucò fuori dalla penombra con il suo bicchiere di wisky e un altro simile per Denise. Prima di andarsene, le strizzò rapidamente l'occhio. "Non ti dispiace, vero?" insinuò lei, carez;a:andol'orlo del bicchiere con un dito. "No, no ... anzi." Mandò giù un gran sorso di liquore. "Devi avere un gran bel costume sotto quel cappotto. Perché non te lo levi e me lo fai vedere per bene?" Lui mandò giù un'altra sorsata e cominciò lentamente a sfilarsi il soprabito. Anche se forse la donna si era messa a parlare con lui solo per scroccargli un bicchiere, poteva finalmente, se non altro, mostrare il costume a qualcuno. Denise lanciò un gridolino di sopresa. "Oddio, che bello! Non ho mai visto tanti lustrini in vita mia ... " Lui cominciò a sentirsi meglio, e si lasciò andare a un sorriso. "L'ho fatto fare su misura, tale e quale a uno dei suoi." "Caspita, si vede! Alzati un po', fatti ammirare per bene.' Non ebbe esitazioni ad alzarsi. Il soprabito cadde a térra, ma non si diede la pena di raccoglierlo. "Ma sei proprio il Re!" Denise sollevò il bicchiere come per un brindisi. "Ehi Gus, vieni un po' a vedere che bel Re abbiamo qui!" Il grosso cameriere ritornò da loro e Io esaminò dalla testa ai piedi. "Che, sei pure capace di cantare come lui?" gli chiese. "Certo." Rispose senza nessuna esitazione. Un'altra vam-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==