Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

I) di Soyinka: "La tigre non proclama la sua tigritudine, balza sulla sua preda". Anche la letteratura più recente - quella di chi ha scelto il romanzo come strumento d'indagine della realtà, di autori come Ousmane; Laye e Koruouma per i quali resta centrale il principio dell'impegno dello scrittore - ha continuato a misurarsi, direttamente o indirettamente, con la vastità della tradizione orale, con la cultura secolare tramandata di generazione in generazione da griots e cantori durante feste, cerimonie eriti. Tra tradizione scritta e cultura orale si è creata una frattura - una delle tante che si sono prodotte nel!' Africa di questi anni - che non è solamente linguistica, ma pure culturale; infatti, il passaggio dalle lingue vernacolari al francese scritto implica anche una ristrutturazione dei paradigmi conoscitivi, esistenziali e etici, visto che le geometrie precise e i chiari sistemi di valori della cultura tradizionale degli avi non sempre sono in grado di affrontare e spiegare le incertezze, le contraddizioni e i drammi del!' Africa contemporanea, dove sempre più la nuova cultura urbana si scontra con l'ancestrale cultura contadina. È questo uno dei nodi che la letteratura africana dovrà affrontare e sciogliere ·nei prossimi anni. Insomma, la collana africana della SEI sinora ha saputo offrire materiali interessanti e stimolanti, proponendo una pluralità di approcci alla realtà del continente africano e presentando opere di cui si sentiva la mancanza nel panorama editoriale italiano. Speriamo che le cose continuino così e che le prossime uscite previste, L'Africa nella storia contemporanea di B. Davidson e Cooperare diversamente di H. Rouille D'Orfeuil, confermino le aspettative. ' DAILETTORI L'ULTIMLOIBRODI FABRIZIARAMONDINO Marco Onorati (Latina) Mi è difficile parlare dell'ultimo libro di Fabrizia Ramondino. Fabrizia Ramondino ha già pubblicato due libri da Einaudi. Il primo era un romanzo, Althénopis. Il secondo era una raccolta di racconti, Storie di patio. Il terzo libro di Fabrizia Ramondino, l'ultimo, non è ancora uscito. Ma non è questo l'unico motivo per cui mi è difficile parlarne. In realtà non so neppure se ci sarà mai questo ultimo libro. Non conosco Fabrizia Ramondino, non conosco il suo editore e neppure gli amici dei suoi amici. Non ho nessun motivo di sperare che questo libro già esista in qualche forma se non per accenni raccolti da questa rivista dove, ormai da molti numeri, nel presentare il numero di preparazione, si annuncia, tra i tanti nomi, Una nuova storia di Fabrizia Ramondino. Così da più di un anno sono in feroce attesa. Ho letto Fabrizia Ramondino, la prima volta, nel numero uno di questa rivista, quando usciva ancora nel formato quaderBibliotecaGino Bianco no. Poi ho letto i due libri. li fidanzamento è uno dei racconti di Fabrizia Ramondino. "La polmonite aveva allora un esito di nove giorni. O si viveva o si moriva. Quel nono giorno lo passarono assieme la signora Dominica e Nuria. Erano nella stanza del Pericolo e del Sudore. La signora Dominica non teneva stretta la mano a Nuria per non aumentarne il calore. Le passava invece le dita tremanti sulla fronte, sulle guance e sul petto. Non pregava, non sarebbe servito a niente. Le mormorava all'orecchio dolcissime parole: - Orecchie di coniglietto, luna d'argento, barca nel mare, gelsomino notturno, coda di cucciolo, gatta stregata ... - Nuria sudava e quelle parole le facevano fresco (... )". Questo è l'inizio del racconto. Non ricordo più come stavo quando lo lessi la prima volta. Forse ero un po' triste. E come a Nuria quella parole mi fecero fresco. · Ancora adesso, quando sono triste, o magari quando sono felice, oppure anche quando non sono niente di speciale, prendo di nuovo in mano il libro e rileggo il racconto. E ancora adesso quelle parole mi fanno leggero. Non esagero se dico che la scoperta di questo racconto ha cambiato la mia vita: non l'ha cambiata di molto ma un poco sì. Sono le pagine più belle che io abbia letto da sempre. È per questo che mi è difficile parlare dell'ultimo libro di Fabrizia Ramondino: perché ho una gran paura che non ci sarà. L'INDIFFERENZA Fabio Dorigo (Sarone di Caneva, PN) La vicenda in cui in Senza te/lo né legge si cala Agnès Yarda è una storia semplice e immediata, aderente fin troppo all'ultimo atto di una generazione che, nata dal mito del vagabondo "senza tetto né legge", più per. amore e per contestazione che per reali necessità, ·si è ritrovata chiusa dentro il proprio solitario sacco a pelo. Le immagini si aprono sul corpo senza vita di una giovane donna trovato congelato nel fosso di un vigneto. "Poiché nessuno venne a reclamarlo, il corpo passò dal fossato alla fossa comune. Mi domando se chi l'aveva conosciuta da bambina pensasse ancora a lei. Ma quelli che l'avevano incontrata più di recente, se ne ricordavano. E la loro te~ stimonianza mi ha consentito di ricostruire le ultime settimane del suo ultimo inverno. Si chiamava Monà Bergeron". Partendo di qui Agnès Varda tesse la storia di Monà attraverso frammenti di vita derivati da persone che l'avevano conosciuta, ignorata, calpestata. Mediante un susseguirsi di situazioni diverse il film ci offre un quadro fin troppo vero del mondo in cui viviamo. Monà finisce quindi per rappresentare l'impossibile filo di Arianna che lega impotente, nel suo errare senza senso, questi luoghi di solitudine e di follia umana. È un film on the road che suscita nello spettatore una pietà impotente non tanto per il personaggio interpretato dalla Bonnaire quanto per la civiltà che ne favorisce l'esistenza. Monà d'altra parte non è un'emargi'nata, non nasce on the road ma sceglie di viverci, di sporcarsi, di uscire dalla gabbia delle convenzioni e delle ipocrisie sociali (è un'ex impiegata sten'odattilografa) per errare tra le scorie umane, avida di vita e di libertà. La sua voglia di vivere (molto bella la scena dove addenta un panino in un bar) e di libertà finisce però in una solitudine impossibile. Nemmeno tra gli emarginati più classici, quali sono i lavoratori nord africani in Francia, trova un minimo di solidarietà, di amore. Quando si è costretti a sopravvivere non si ha tempo per pensare troppo agli altri. La negatività del personaggio, giocata sul fascino innato della trasgressione ("Mi piaccerebbe essere come lei, libera"), provoca una certa simpatia per Mohà. Nonostante si sporchi fino all'autodistruzione rimane la cosa più pulita del film. Alla sua sporcizia esteriore si contrappone la sporcizia mentale della civiltà contemporanea. "Tu sei sporco nella testa" dice quasi con arroganza dopo aver subito senza una minimaTesistenza la violenza maschile. Ma Monà; vagabonda in pieno inverno con una misera tenda e degli stracci, non incontra la libertà, non diventa un soggetto creativo. La ricerca della libertà assoluta diveta sinonimo di solitudine assoluta. La figura strana del filosofopastore che inconira ammonisce sulla necessità per vivere di scendere ad alcuni patti, di accettare qualche compromesso. La differenza, dice, è tra errare ed aberrare. Il percorso picaresco di Monà, tuttavia, non può arrestarsi, deve essere percorso fino in fondo. L'identità del personaggio, nella sua negazione di ogni ruolo, non può costituirsi e rimarrà solo quel nome scritto sulla polvere di uno specchio. Una figura neutra, quasi consapevole fin dall'inizio di dover morire nell'indifferenza di un fosso. Questo suo abituarsi al silenzio e questo suo orgoglio o ottusa sensibilità con cui vive tutte le situazioni e tutti gli incontri ("Sto bene da sola") testimonia la sua impòssibile emancipazione. La Varda sembra dire dietro il film chè non c'è vita possibile "senza tetto né legge'\ al di fuori della società e delle sue regole. Solo silenzio, solitudine e indifferenza. Ma è troppo poco bloccare qui la lettura del film. L'incontro di Monà con la ricercatrice universitaria, "maniaca dei platani", da cui viene puntualmente scaricata come da tutti gli altri, ci pone altri i_nterrogativi. Bisogna chiedersi, còn Brecht, ''quali tempi sono questi" quando paradossalmente è più _facilepreoccuparsi della morte dei platani che delle persone. E ancora "quali tempi", dove si rischia di morire nell'indifferenza di un fosso senza che nessuno reclami o riconosca il tuo corpo. Senza tetto né legge, è la metafora di una libertà e di una voglia di vivere che rischia ogni giorno di più di spegnersi in una fossa comune, in uno strano quanto probabile "trionfo della spazzatura".

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