zio degli anni sessanta, Dumont aveva scritto un fortunato pamphlet, L 'Afrique noire est mal parlie, in cui egli denunciava gli errori e le trappole in cui stavano cadendo le nazioni africane da poco indipendenti. Ilvolume proposto dalla SEI riprende quel discorso e fa il punto della situazione a vent'anni di distanza: ne risulta un panorama drammatico dove il "il saccheggio del Terzo Mondo", che "non è mai cessato dallo schiavismo alla colonizzazione", continua e "si prolunga ai nostri giorni con lo scambio ineguale: il pagamento sottocosto delle materie prime, agricole e minerarie; e la sovrafallurazione dei prodotti fabbricati e climolte attezzature, realizzate nelle fabbriche dei paesi sviluppati. I noli, le mediazioni, le assicurazioni, le banche, le commissioni commerciali, i brevetti, i trasferimenti cli tecnologia ed altre voci 'invisibili' non cessano cli rinnovare queste forme cli sfruttamento". Se a ciò si aggiungono le responsabilità delle nuove élites africane che, in buona o in malafede, non sono state all'altezza delle situazioni che si ponevano loro cli fronte, non sarà difficile riconoscere la veridicità del quadro desolante tracciato dagli autori, che non ometlono nulla: il fallimento agricolo, la malnutrizione diffusa, la rapida distruzione dell'ambiente, l'insuccesso della scolarizzazione e della sanità di base, il sempre più accentuato squilibrio tra città e campagne, la perversa politica degli aiuti internazionali, i progetti faraonici inutilmente costosi e sproporzionati, la corruzione, le nuove ineguaglianze e il depauperamento assoluto del continente. Il libro, insomma, ci mostra, seppure con qualche ripetizione e forzando a volte la polemica - ma forse è solo così che si infrange il muro dell'indifferenza-, che dietro il linguaggio asettico e le statistiche delle relazioni degli organismi internazionali, così come dietro il colore e il patetismo di tanti reportaBibliotecaGino Bianco ges giornalistici, si cela la realtà drammatica e concreta di milioni di contadini e contadine d'Africa che pagano quotidianamente il caro prezzo di '!una catastrofe già in atto". Cercare di ricostruire una corretta informazione sul continente africano significa anche offrire la possibilità di un incontro con le molte facce della cultura african.i, troppo spesso negate e mistificate: è questa la finalità alla base degli altri due volumi pubblicati nella collana della SEI, La musica dell'Africa, di J.H. Kwabena Nketia e Letteratura negra di espressione francese di Jacques Chevrier. Il lavoro di Nketia, uno dei massimi esperti di musica africana, dà luogo a un panorama ragionalo e completo delle risorse musicali tradizionali del continente che; pur nella grande varietà delle soluzioni e dei caratteri, mostra precisi tratti unitari ricorrenti. Dopo aver delineato lo sfondo storico, sociale e culturale entro cui nasce la musica africana, l'opera offre una ricca catalogazione degli strumenti, delle strutture e dei caratteri tecnico-ritmiçi della vasta produzione musicale africana, qui da noi praticamente sconosciuta. Interessanti anche i capitoli finali dove l'autore affronta il problema ciel rapporto della musica con la parola e con la danza, due aspetti fondamentali della cultura africana. L'opera di Chevrier, invece, vuole essere un'introduzione divulgativa alla letteratura africana cli lingua francese; il libro è composto eia una prima parte di impianto diacronico, in cui vengono esaminate le opere più significative a partire dagli anni'20 sino ai nostri giorni, e da una seconda organizzata tematicamente, dove vengono affrontati problemi quali il rapporto tra tradizione orale e letteratura scritta oppure il difficile incontro tra scrittori e pubblico in una società dominata dall'analfabetismo e in cui, peraltro, si guarda ancora spesso con sospetto all'atto di lettura, in quanto atto privato che isola l'individuo dal resto della collettività. Chevrier si muove con sicurezza all'interno di tale programma e sa cogliere senza incertezze i dati salie.nti e le opere più importanti nate nell'Africa francofona, anche se forse non sarebbe dispiaciuto un maggiore sforzo analitico per fare emergere le peculiarità, i pregi e i limiti di ogni opera presentata. Ne risulta comunque un panorama assai interessante e ricco di stimoli, al cui centro è posto e discusso il movimento della negritudine, nato negli anni trenta ad opera di poeti quali il senegalese Senghor e gli antillesi Césaire e Damas; movimento che ha segnato una svolta importante nella cultura colta africana la quale, rifiutando l'assimilazione e scavando nel proprio passato, si è messa alla ricerca di una propria identità originale da utilizzare come strumento di lotta e come paradigma estetico. Di tale movimento l'autore chiarisce progetti, speranze ed esitazioni, mostrandone poi i limiti, specie per ciò che riguarda il mito dell'unità culturale e spirituale di ogni realtà negra, e ricordando le critiche stringenti che Fanon o gli intellettuali africani anglofoni hanno ripetutamente mosso all'ideologia sottesa al i:novimento, sintetizzate dalla celebre battuta 59
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