Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

INCONTRI STATODI ASSEDIO E STATODI GUERRA Incontro con Peter Wilhelm a cura di Itala Vivan Peter Wilhelm, nato nel 1943a Citta del Capo da padre afrikaner e da madre di discendenza inglese, attualmente vive a Johannesburg, dove l'ho incontrato. Giornalista sin dal 1966, vicedirettore del settimanale "Financial Mail", nel 1975 ha scritto il romanzo The Dark Wood - il cui titolo è tratto dal verso iniziale della Divina Commedia - e la sequenza di racconti LM and Other Stories. Ha poi pubblicato ilframmento teatrale Frame Work (1976), la raccolta di poesie White Flowers (1977), i racconti At the End of the War (1981) e il romanzo per ragazzi Summer's End (1984). Ha curato un 'antologia di poesia sudafricana, Poetry South Africa (1976), e tradotto in inglese dall'afrikaans delle liriche di Breyten Breytenbach. Collabora attivamente, anche con saggi critici, a varie riviste sudafricane, come "Quarry", "Contrast ", "Staffrider", "lnspan ", "Heresy", "Unisa English Studies".Ha vinto vari premi letterari, fra cui il prestigioso Molofo-Plomer Prize, nel 1976, per The Dark Wood. È sposato con la scrittrice Cherry Clayton e ha un figlio, David, di tredici anni. È una delle figure più note del mondo culturale sudafricano di lingua inglese. li suo racconto Alla fine di una guerra è apparso sullo scorso numero di "Linea d'Ombra" Come si concilia il tuo mestiere di giornalista con il tuo lavoro di scrittore? Nel corso degli anni sono stato in Mozambico, nello Swaziland, in Angola, a Lesotho, in Namibia, nello Zimbabwe, e così via. Il mio compito di giornalista mi ha costretto a osservare situazioni dalle quali ho dedotto che l'intera Africa australe è un subcontinente interdipendente, attraversato da profonde radici di conflitto. Nel 1974 mi trovavo in Mozambico quando la destra fece un tentativo, fallito, di colpo di stato: le mie esperienze di allora si riversarono in LM and Other Stories - dove LM è la sigla che sta per Laurenço Marques, come veniva chiamata l'attuale Maputo in epoca coloniale. Fu allofa che misi insieme le cose, e capii che tipo di scrittore sarei diventato: ossia capii che il mio tema era l'Africa in rivolta, e che perciò avrei dovuto affrontare un materiale spesso durissimo. Non è che io sia andato a cercare le situazioni di conflitto, ma semplicemente mi ci sono trovato in mezzo, come nel 1980, in Zimbabwe, quando il potere cambiò di mano passando dai bianchi ai neri; oppure nel 1974, in Mozambico, quando i portoghesi furono cacciati. Sono stato in Angola meridionale ed ho visto le basi militari del capo dell'UNIT A, Savimbi, che combatte contro il governo marxista con l'appoggio di Pretoria. Io ho scritto su tutto ciò: è il mio mestiere di giornalista. Ma quel che cerco di fare come seri ttore è in un certo senso guardare oltre - più oltre - per vedere quello che può accadere. Io metto in guardia, avverto di quanto può o potrebbe accadere: ma non per questo sono pessimista. Le mie storie vogliono corrispondere alle situazioni reali. Ebbene, sulla base del tuo spirito realistico, come definiresti i punti crucialidell'attuale situazione sudafricana? Il punto cruciale non sta nel chiedersi se si possa dividere il potere con in neri, bensì nel decidere come ci si possa arivare. Per arrivarci bisogna convincere coloro che detengono il potere - i bianchi - che è necessario cederne una parte ai neri: ossia che è necessario cedere una certa fetta di privilegio. Allo stesso tempo, bisogna anche persuadere coloro che acquistano il potere - i neri - che ogni rappresaglia sarebbe controproducente. Poco fa accennavo all'esperienza del Mozambico. Quando le cose cambiarono, quando i coloni portoghesi persero il potere completamente, vi fu un tentativo di colpo di stato da destra che causò grande spargimento di sangue e suscitò un odio immenso. Non si ebbe una riconciliazione, perché i bianchi non accettarono il cambiamento, non vi si adattarono: e così oggi il Mozambico si trova in difficoltà, perché tutti i bianchi se ne sono andati abbandonando ogni cosa, senza aver costruito nulla per il paese. Il Frelimo e Samora Machel hanno ereditato un paese in rovina, uno stato fallimentare. Nel 1980 Samora Machel incontrò Mugabe - il leader zimbabweano - e lo mise in guardia, esortandolo a far pace con i bianchi, a fare in modo che essi rimanessero e diventassero cittadini dello Zimbabwe. E difatti Mugabe, nel suo famoso discorso dopo la vittoria delle elezioni del 1980, pronunciò la storica frase: "È giunto per noi il momento di convertire in aratri le nostre lance": una frase in cui, ricorrendo a un'immagine biblica, chiedeva ai bianchi di rimanere e di costruire. E lo Zimbabwe, benché non sia un paese florido, è però ben lungi dalla catastrofe. I bianchi hanno accesso a tecnologie e abilità cui i neri non hanno mai avuto accesso, e perciò il trasferimento di potere deve anche essere un passaggio di conoscenze, di informazioni, di tecnologie: un aprire ai neri la strada alle tradizioni e alle capacità dell'Occidente. Si tratta di un processo complicato, che però va affrontato e compiuto se si vuole che la transizione avvenga con la minor violenza possibile, senza cadere nella povertà e nella rovina economica. BibliotecaGino Bianco A un osservatore esterno quale sono io, questo paese appare - come dire? - in stato d'assedio. Voi che ci abitate, avete la sensazione di vivere davvero in stato d'assedio? Assolutamente. Eppure noi scrittori sappiamo che il nostro posto è qui: è un'opinione, questa, èhe condivido còn Nadine Gordimer e Alan Paton. Ricordo che una sena, nel 1976, all'epoca della gtande rivolta di Soweto e di tutti i ghetti neri, mi trovai a confessare a Siphto Sepamla, 'Non vedo un futuro per me in questo paese" - e Sepamla pronto ribattè, "Non è vero. Tu devi rimanere". La mia non è una posizione individuale, anzi, rispecchia il modo di pensare di tutti gli scrittori sudafricani; tutti sono giunti alla conclusione che debbono rimanere. Ciò non toglie che ci si senta - come tu h<1iosservato - in stato d'assedio. È una situazione che ti influenza psicologicamente, soprattutto se sei uno scrittore, un'artista. I sudafricani bianchi vivono in un clima di tremenda tensione psicologica: conseguenza di ciò è l'alta percentuale di divorzi e suicidi, la diffusione dell'alcolismo e della droga, ed anche, a livelli minori, il comportamento disturbato e antisociale riscontrabile in un gran numero di persone. Comunque, per ritornare agli scrittori: nonostante lo stato d'assedio, nonostante la consapevolezza di estraneità-che ci affligge, nonostante l'isolamento in 'cui ci troviamo, esiste anche una complicità che ci unisce, tagliando trasversalmente le barriere razziali, e collega gli scrittori in una sorta di fraternità. Quando hai cominciato a scrivere narrativa? Per quanto mi ricordo, ho cominciato a scrivere da ragazzo. Prosa. Era quasi una cosa logica, per me - inevitabile. Scrivevo e illustravo dei racconti che poi facevo circolare fra i miei compagni di s.cuola, facendomi pagare una piccola somma: quindi avevo ana che già ben chiara l'idea che sarei stato scrittore di mestiere. Quando poi passai al giornalismo - dopo una breve parentesi come insegnante <liscienze - viaggiai molto, per anni, in tutta l'Africa Australe, e fuori. Questo mi permise di vedere e di conoscere la realtà meglio di quanto avrei potuto fare rimanendo in Sudafrica. Poi°alcune miei cose vennero aprezzate da William Plomer, uno scrittore che io ammiravo molto, il quale negli anni Venti insieme a Roy Campbell e Laurence van der Post aveva fondato la rivista e il movimento "Vorrslag", e poi se n'era andato a vivere in Inghilterra, dove lo conobbi. Plomer diceva che la letteratura sudafricana aveva bisogno di sprovincializzarsi. Diceva che dopo la Schreiner e· Plaatje non c'erano più stati grandi scrittori, e che in Sudafrica si pubblicava roba insipida. La Schreiner, dunque: quale è stata l'influenza di questa scrittrice? Certo, la Storia di una fattoria africana è il primo vero classico della tradizione sudafricana di lingua inglese, ed ha dato una volta per sempre lo sfondo alla nostra letteratura, uno sfondo destinato a diventare caratteristico: quello del karoo, del deserto di 51

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