può provare a mutare la situazione. E poiché si tratta per lo più di giovani autori, si tenta di ritrovare quell'entusiasmo letterario che in genere negli adulti organizzatori culturali non c'è più. La mia ambizione è però quella di dare pluralità espressiva a questa asfittica, inesistente società culturale e civile, sia pure operando in CORdizionidi isolamento totale. Se potesse, come organizzatore culturale, promuovere il lancio di qualche autore poco conosciuto, chi sceglierebbe? Sicuramente Angelo Fiore, uno dei più grandi scrittori siciliani del Novecento, purtroppo completamente dimenticato. Ma, prima o poi, qualcosa riuscirò a fare. ANTOLOGIA ESSEREFAMOSO NON È BELLO Boris Pasternak Essere famoso non è bello non è questo che eleva in alto. Non si deve tenere l'archivio, trepidare per i manoscrilli. Fine della creazione è dare tut10 di sé, e non lo scalpore, non il successo. È vergognoso, quando non si è nulla, diventare per tu/li una leggenda. Ma bisogna vivere senza impostura, vivere così che alla fine ci si alliri l'amore degli spazi, che si oda il richiamo del fu1uro. E le lacune si debbono lasciare nella sorte, e non fra le carte, i passi e i capitoli della vita intera segnando in margine. E immergersi nella oscurità e i propri passi celarvi, come nella nebbia si cela una contrada che non si vede più nulla. Altri Sljlla viva orma percorreranno palmo a palmo il tuo cammino, ma la sconfilla dalla villoria non sei tu che la devi distinguere. E neanche d'un minimo devi venire meno all'uomo, ma essere vivo, vivo e null'altro, vivo e null'altro fino alla fine. (traduzione di Mario Socrme) Da Autobiografia a nuovi versi, Feltrinelli I958 RICORDODI ANGELOFIORE Salvo Mizzi A parlarmi per la prima volta di Angelo Fiore - morto a Palermo lo scorso 15 novembre - fu, nel febbraio del 1986, Salvatore S. Nigro, docente di Letteratura Italiana dell'Università di Catania. Ero alla ricerca, nell'ambito di un lavoro che svolgevo insieme a Roberto Palì presso una rivista settimanale locale siciliana, di narratori e scrittori validi eppure marginali o dimenticati da riproporre all'attenzione del pubblico con il risalto e la riflessione che meritavano. Nella scaletta provvisoria di lavoro i primi posti erano occupati, al termine di una prima, sommaria ricognizione, da Giuseppe Mazzaglia, siciliano trapiantato a Roma, autore del grottesco e, a suo modo, malinconico Ricordo di Anna Paola Spadoni (Rizzoli 1966), e, per l'appunto, da Angelo Fiore. Lo scrittore palermitano godeva di solida fama nell'ambito ristretto di pochi addetti ai lavori. Gli si riconoscèvano doti non comuni di narratore, una personalità di autentico scrittore, insomma la statura di autore "forte", ostacolato nel cammino verso una maggiore notorietà da una scelta tematica e stilistica assai ardua benché, nella sostanza, tutti i discorsi che mi è capitato di sentire convergessero poi verso un unico punto: la dannazione di questo scrittore sfortunato era in fin dei conti la sua scarsa o nulla vendibilità. Nonostante questo, e nonostante l'ironia poco cortese che circondava Fiore nell'ambiente letterario, egli era considerato da alcuni critici come uno dei maggiori scrittori siciliani di questo scorcio di secolo, degno di figurare tra gli esponenti di spicco del romanzo novecentesco. Geno Pampaloni, da sempre suo strenuo sostenitore, commemorandone la figura sulle colonne del "Giornale", lo giudica, in un articolo meritevole d'essere conservato, come uno dei pochi grandi scrittori che ci erano rimasti, aggiungendo di essere pronto a giocarsi su quel giudizio tutto il prestigio che gli deriva da cinquant'anni di mestiere. Tornando ai primi mesi dell'86, e a quella scaletta da catalogo provvisorio, mi misi in contatto con Fiore, il quale abitava già da qualche tempo presso l'Albergo Centrale di Palermo, a ridosso dei celebri e stupendi "quattro canti". L'affinità tra il luogo, il centro sberciato e malinconico di Palermo e la sua buia austerità, e la persona - e i libri - di Angelo Fiore è di quelle indimenticabili, una corrispondenza di cui nella memoria non è possibile separare le componenti. La sua diffidenza, il risentimento nei confronti del mondo esterno avevano già raggiunto un punto di non ritorno. Passai un intero pomeriggio con lui, al primo piano del "Centrale", ad ascoltare quell'uomo ormai anziano e malato, persuaso, forse a ragione, di essere la vittima predestinata di un oscuro gioco di coincidenze sfavorevoli e di abbagli o dimenticanze collettive. Critici, accademici, scrittori e giornalisti, mezzani del sottobosco letterario: nelle sue paBibliotecaGino Bianco role tutti colpevoli e colpiti allo stesso modo e con uguale ironia da una identica accusa, quella.di averlo sfruttato (di"cosa?) e nascosto (a chi?) per fini poco chiari. Ma i problemi di cui preferiva parlare erano altri e devo pensare che quella tetra premessa mi fosse fatta come per scoraggiare il mio interesse per la sua opera, forse per dimostrarmi l'inutilità di qualsiasi iniziativa, letteraria giornalistica o culturale, che potesse riguardarlo, o le illusioni di cui per la mia giovane età dovevo sembrargli vittima. Ma poi, infine (la lingua batte dove il dente duole), nonostante mi avesse intrattenuto lungamente sui problemi materiali e di salute che lo affliggevano, sulla solitudine irrimediabile nella quale viveva, sulla preoccupazione che nutriva per la malattia del fratello al quale doveva essere particolarmente legato (sarebbe morto, con suo grande dispiacere, di lì ad un mese), nonostante questo e tutta la sua apparente indifferenza, la sua ultima frase - che non mancò di turbarmi fu: "Aspettano che io muoia!". Adesso Angelo Fiore è scomparso, e nessuno lo additerà piu come spesso deve essergli capitato, come "un grande scrittore inspiegabilmente dimenticato"; è morto da solo e senza amici, nella sua stanza d'albergo, come il Failla allucinato protagonista del suo racconto Un giorno del passato. Scavando nel ricordo di quegli incontri, tornai una seconda volta a trovarlo, ritorna in primo piano l'impressione vivissima della solitudine e del senso di abbandono che emanava della sua figura trasandata e sofferente. Era un uomo dallo sguardo mite, di una timidezza quasi inspiegabile per la sua età, con una ritrosia pudica a concedere le sue opinioni, che gli facevano volgere di frequente in scherzo le discussioni letterarie nelle quali tendevo a impegolarmi. Non guardava mai dritto negli occhi e ci si stupiva, dopo un attimo di distrazione, a scoprire il suo sguardo improvvisamente freddo puntato addosso, benché tutto si risolvesse in una questione di attimi. Nell'ultimo incontro che ebbi con lui mi lasciò il manoscritto di un romanzo inedito, che è in realtà una riscrittura integrale de li lavoratore, romanzo pubblicato da Vallecchi nel I 966, a suo dire la sintesi più completa della sua opera, il suo testo meglio riuscito. La sua scomparsa, benché umanamente prevedibile (aveva ottant'anni), è giunta inesorabile ed inopportuna. Di Fiore si era parlato a lungo con Fofi, il quale mi disse che avrebbe chiesto a Fiore un inedito da pubblicare, magari con l'intermediazione di Pampaloni, l'unica persona che Fiore stimasse - ricambiato - e di cui si fidasse realmente. Poteva essere forse l'inizio di una tardiva e doverosa rinascita d'interesse intorno alla figura di questo originale scrittore, ma a Fiore quella richiesta è giunta pare, il giorno stesso della morte o subito dopo. Lo ricordiamo cosi, sulle colonne di "Linea d'ombra", con un pizzico di tristezza per non essere arrivati in tempo a evitare che, more solito, la "riscoperta" giungesse post mortem. 5!
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