Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

52 HORROR LALAMPADAMALEDETTA Stefano Benni L'infelicità è infinita. E mille volti ha la sventura sulla terra. Gli ampi orizzonti varca come l'arcobaleno. Possa Azazel demone dell'avidità chiudere le mille bocche con cui mi ha maledetto, così che io possa dimenticare il tormento, e ritrovare la pace. Il mio nome è Oliver: e sono alchimista, chiromante e mago: almeno così sta scritto sul mio biglietto da visita. Eppure una sola parola basterebbe a enumerare le mie virtu: ciarlatano. Ebbene sì: nulla di ciò che dichiaro è vero, non ho alcuno dei poteri che van- ·to. Non solo non so tramutare i metalli in oro, ma ho grande difficoltà nel confezionare una bottiglia di acqua frizzante con le apposite polveri. Ahimé, fu il bisogno che mi spinse a mentire. Ero povero e disoccupato, e vedendo alternarsi sullo schermo magico i più sfacciati stregoni venditori mi chiesi: perché non io? Perché un revenant da fotoromanzo può pronunciare le parole "provare per credere" come fossero una formula del Necromicon? Perché una gorgone punk può vendere vaselina come fosse elisir di giovinezza? Perché uno sciamano biellese può promettere comare da letto in vero noce a sole quattromila lire? Se possono, vuole dire che esiste un pubblico ben credulone, ed essendo io di bell'aspetto e di maniere brillanti, perché non dovrei tentare? Così pensando misi su bottega di stregonerie in una vecchia stradina del ghetto, tra fu- -mi di hamburger e nenie di cassette pirata. Entro breve tempo, la fama che mi ero procurata aveva varcato i confini della stradina, del quartiere e già ero richiesto dalle tivù private per rituali notturni. Il mio conto in banca era notevolmente rimpinguato, vestivo mantelli di seta ed ero ricercato dalle più belle e insicure signore della buona società. Ma tant'è, come nell'etica il male consegue al bene, così nella realtà l'affanno è figlio del piacere. Un mattino, recandomi al lavoro dopo un'altra notte in cui mi ero intossicato di voluttà, passai davanti a BibliotecaGino Bianco una bancarella di oggetti usati. Qui vidi una lampada orientale, una volgare imitazione; ma quella volgarità, misteriosamente, mi incuriosì. Pensai che quell'oggetto sarebbe stato bene tra la sfera di cristallo e il barbagianni imbalsamato, e lo acquistai. Non appena la lampada fu posta sul mio scrittoio essa mandò un sinistro bagliore. La presi perciò tra le mani incuriosito. Era piena di polvere e con una mano mi misi astrofinarla. Quel gesto spalancò per me le porte dell'inferno! Dalla lampada uscì una lingua di fumo azzurro, accompagnata da un odore dolciastro e nauseabondo. Non appena il mefitico vapore fu diradato, vidi seduto sul mio scrittoio uno strano essere. Quasi calvo, col viso pallido e sinistramente ridente, vestito con molta ricercatezza. Ma quello che veramente atterriva erano i suoi occhi. Vi sono occhi dietro ai quali si indovinano passioni turbinanti, abissi di perversione, paesaggi infernali. Ebbene dietro quegli occhi non c'era NULLA. Era come se una forza misteriosa li avesse svuotati e lasciati lì, sentinelle di un mondo scomparso. Quale creatura avevo di fronte? Essa prevenne la mia domanda: - "Sono il genio della lampada. Il mio nome è Al-El-Byron e tu mi hai destato da un lungo sonno. Chiedi tutto e tutto avrai!" Oh, avessi almeno esitato! Avessi fermato il mio cuore avido mentre prendeva a battere sempre più forte e già sognava poteri e ricchezze, posti di sindaco e abiti firmati. Neppure un attimo, invece, esitai: "Genio," dissi, "voglio che tu mi sveli il segreto del successo". "Il successo", disse Al-El-Byron con voce grave, "è assai diverso dal fallimento, in quanto si può avere successo nel fallimento, cioè avere un perfetto completo fallimento, ma non si può avere fallimento nel successo perché allora non sarebbe successo". "Cosa vuoi intendere?" avrei voluto dire. Ma pensai che quelle parole venivano da una saggezza così segreta e arcana, che certo era per me difficile intenderne subito la profondità. "Voglio dire", disse Al-El-Byron, "che si può avere un grande successo e un piccolo successo, come nell'amore. Infatti si dice: lei era un piccolo grande amore, solo un piccolo grande amore, niente più di questo, niente più. E ora per favore, vorresti darmi una moneta?" Scoprii così che Al-El-Byron era un genio a gettone, il quale per parlare aveva bisogno di venire pagato ogni sette minuti. E pagai: pagai e ascoltai. Ma una sensazione angosciosa si impadronì subito di me. Mi sembrava che le parole del genio, sotto l'apparente stupidità, nascondessero qualcosa di molto più profondo: e cioè una totale, rotonda, incontaminata, solida, reale stupidità. Eppure ancora non osavo esternare i miei pensieri, mentre il genio mi seguiva ovunque, giorno dopo giorno. Mi dava consigli sul come trattare i clienti, su cosa acquistare al mercato, su come mantenere le amicizie ... Prima che io dormissi si sedeva sulla spalliera del letto e mi spiegava che il sonno altro non è che la parte della giornata in cui si è meno svegli. Perciò dobbiamo stare attenti a non prendere appuntamenti per le ore in cui dormiamo, perché potremmo prestare meno attenzione. Smisi di pagarlo: ma egli disse che mi faceva credito, e proseguì la mia istruzione. O saggio Ebn Al Faiab, tu che inventasti l'alfabeto, mai vidi bocca masticare più alfabeto, farne bolle e farle esplodere. Senza un attimo di tregua il genio mi inseguiva con le sue teorie e invano cercavo di sfuggirgli, ché la sua natura ora solida ora volatile gli permetteva di attraversare muri e porte. E diventava sempre più grande e pallido: invase tutta la mia casa, occupò il mio studio e iniziò a intrattenere i clienti in mia vece. Persi il sonno e l'appetito. Una notte, mentre mi rigiravo nel letto ed egli insisteva a spiegarmi la differenza tra letto matrimoniale e singolo, sentii che il mio cuore non avrebbe retto un istante di piu ... Allora mi alzai e dissi con voce strozzata: "Saggissimo genio, devo confessarti una cosa. Non posso più permettermi i tuoi servigi. Sono rovinato!" Per la prima volta in tanto tempo Al-ElByron ammutolì. "Una lettera da Praga", proseguii, "mi annuncia che ho perso tutti i miei beni in speculazioni sbagliate. Questa casa è ipotecata e ho montagne di debiti". Vidi Al-El-Byron rimpicciolirsi e ritirarsi nella lampada a una velocità indimenticabile. Quella notte stessa corsi sull'argine del fiume e buttai la lampada nell'acqua, verso il mare aperto. Ma non dormii! Né quella notte né la notte dopo. E da allora la mia vita è tortura e pianto. Ho quarant'anni ma ne dimostro novanta, come Cossiga. Il pensiero che da qualche anfratto oceanico, da qualche origine abissale un giorno Al-ElByron possa ritornare, avvelena la mia mente. Quando passo in pescheria e vedo gli occhi sbarrati dei pesci, un immagine orribile si presenta ai miei occhi: Al-El-Byron che sul fondo del mare spiega alle sue vittime la differenza tra pescare ed essere pescati. E c'è di piu, o lettore. Quante lampade ci sono ancora in agguato, sulla bancarella fatale? A volte penso con orrore che non solo Al-El-Byron, ma altri geni le abitano. Essi conoscono la via alchemica dal complesso al semplice. Siano essi prefatori o postillatori, fustigatori di atomiche o di bancomat, sociologi o sociofobi, essi vi attendono. Non ridete! Perché il soffio gelido della follia è sempre pronto a spegnere la lampada della ragione, e un giorno forse soffierà su di voi, e la notte sarà vostra padrona, come è scritto nel nero libro di Melmoth e Yog Sothoth, cinquantamila copie in dieci giorni.

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