;o visivo, e a questo Shum pensava mentre realizzava il suo lavoro. Ma la cinepresa allora costava meno. Come per qualsiasi altra forma artistica, è l'artista stesso a conferire definizione all'opera che compie; ed egli la compie in vista di un particolare obiettivo, e non di un altro. In secondo luogo, attraverso la tecnica del video c'è una gamma di possibilità che con un film non si possono ottenere. Mi riferisco a precise azioni, di manipolazione e tecnica. Come terza possibilità c'è la cosiddetta videoscultura, c'è la multivisione in tutte le sue applicazioni, la moltiplicazione dell'immagine attraverso una serie di tecniche sperimentali che agli occhi degli artisti si sono rivelate estremamente interessanti ed emozionanti. Prestazioni che un film non potrà mai mettere in atto. Un'ultima peculiarità della videoart sta nella possibilità che il realizzatore ha, nello stesso momento in cui registra, di controllare, simultaneamente, la propria immagine riprodotta sul piccolo schermo. È la prima volta che il realizzatoreosservatore diventa parte dell'opera d'arte. Il problema della videoart come definizione riguarda, più che lo strumento in sé, la concezione in base alla quale viene realizzata una determinata opera. In che misura, secondo lei, la nascita di questa nuova forma artistica può permei/ere all'osservatore di allargare le sue facoltà di ricezione? Il problema non si pone solo adesso. Il cinema esiste da decenni e nell'ambito degli studi di estetica si è gia scritto moltissimo sulle influenze che esso ha avuto sulla nostra cultura. È vero però che la videocamera apre una nuova possibilità creativa, enormemente più variegata di quello che succede con i film. Le possibilità di intervento sull'immagine, come anche sul suono, tramite computers e sintetizzatori, sono praticamente infinite. La produzione video ha già instaurato un nuovo rapporto tra immagine e musica. Mi riferisco, ovviamente, al fenomeno dei videoclips, il cui sviluppo negli ultimi anni è stato molto più veloce di quanto i registi abbiano mai potuto realizzare per quanto concerne il rapporto tra immagine e musica negli ultimi sessant'anni. Questa evoluzione, sul piano commerciale, si è lasciata molto dietro la videoart, per l'asservimento di fini dichiaratamente rivolti al consumo. Nel caso dei videoclips, le tecniche di manipolazione e di composizione dell'immagine derivate dalla videoart sono state determinanti. Ciò non toglie che il 99% dei videoclips, sul piano artistico, non siano assolutamente da prendere in considerazione. Se ne potrebbe dedurre che la videoarl non è naia come esigenza prima, immediata, ma solo come conseguenza di un particolare rivolgimento all'interno della società e dei suoi mezzi di comunicazione, che ha finito per toccare le persone più sensibilizzate al problema della comunicazione visiva. Infatti, la videoart nasce come reazione e non come conferma di una nuova realtà. Ci sono esigenze naturali dell'uomo, e tra queste l'esigenza di tenersi informati sul mondo circostante. Un tempo c'erano i resoconti giornalistici. La televisione ha noteBibliotecaGino Bianco Na111lune Paik: Concerto far TVCello, 1971 volmente influito sul modo in cui soddisfare tale esigenza, e da allora il concetto stesso di informazione ha assunto caratteristiche molto diverse. Sono cambiati i canali come anche gli obiettivi a cui questa informazione era rivolta. Precise esigenze estetiche, miranti a far uso del nuovo strumento in questione, sono emerse solo con la generazione successiva all'avvento della televisione. E questo fenomeno si verifica puntualmente con tutti i mezzi di riproduzione che originariamente non sono stati inventati perché li usassero gli artisti. Il dato di fatto che gli artisti siano realmente affascinati da questa "realtà delle apparenze" e che giungano al punto di modificarla, distruggerla o usarla, è incontestabile, ed è stata una delle conseguenze che l'avvento del fenomeno ha prodotto culturalmente. Credo, anzi, che la videoart sia la dimostrazione più conseguenziale del fatto che un linguaggio visivo è possibile come tale solo nel momento in cui gli uomini riescono ad agire su di esso. In questo senso la videoart, nella sfera della comunicazione per immagini, si rivela essere come il tentativo di umanizzazione di quelli che di per sé non sono che freddi meccanismi di riproduzione, aridamente funzionali. Quando è nata esattamente la videoart? Nel marzo del I963, in una piccola, privata galleria di nome Parnasse, in occasione di una mostra di Peik organizzata da un architetto. Oltre ai quadri era stata allestita una sala riempita con televisori manipolati per mezzo di magneti, agenti su lunghezza d'onde. C'era anche una televisione rivolta contro il suolo, su cui era scritto "Rembrandt-Automatic", un atteggiamento fortemente connotato da un'avversione nei riguardi della televisione, dell'uso della televisione. Adorno nega il valore comunicativo dell'opera d'arte. Cosa si potrebbe dire a proposito della videoart? È opportuno operare una distinzione. Ogni giorno arrivano qui da me, per posta, delle videocassette che io sono in grado di prendere in visione tranquillamente, sedendomi da qualche parte. Ciò che posso anche fare è recarmi presso l'artista nel suo studio, e vedermele da lui. Vale a dire che la comunicazione dell'originale è in questa sede facilitata. La seconda questione ha come oggetto l'opera in sé, tramite la quale mi chiedo se sia possibile comunicare. Un'opera che si realizza nel tempo, che io posso vedere solo se estesa nel tempo, è già di per sé più comunicativa di quanto lo sia un quadro. Un nastro, che costituisce una struttura temporale, che mi coinvolge attraverso lo scorrere del tempo, attraverso il suono, attraverso la successione dei chiaroscuri eccetera, mi coinvolge, mi stimola, mi modifica più di un quadro. Non si tratta di una trita banalizzazione. È chiaro che un quadro di Barnet Human può agire su di me nella stessa misura della migliore produzione video di un Peter Kempus, ma è anche vero che un quadro brutto, in genere, ha molto meno efficacia su di me di quanto la possa aver un video brutto. Cosa consiglia a coloro che volessero un approccio più "critico" alla videoar/, senza disporre di una specifica preparazione tecnico-rice//iva? È assolutamente indispensabile ricordare che il fatto di assistere alla proiezione di un video non significa necessariamente assistere a una produzione videoartistica. In primo luogo, che si sappia ben distinguere una composizione casereccia o un film normale da una elaborazione artistica. E anche nel momento in cui la cosa riprodotta dovesse "sembrare" di una qualche qualità, occorre accertarsi del carattere precipuo della proiezione. È bene non dimenticare che la videoart non è "uno stile" ma una possibilità dell'espressione artistica. La videoart, come cerco di formulare da vent'anni, è simile a una matita con cui posso disegnare in maniera surrealista, o in maniera costruttivistica ecc. La videoart è solo e solamente un mezzo. Ci sono video incredibilmente belli ma lenti, che tirano il tempo fino al parassismo, come ci sono altri video che con velocità inaudita lo bruciano. Ci sono video che costano centinaia di migliaia di marchi, tecnicamente impeccabili, che però, sul piano artistico, possono eguagliare il valore di video molto meno costosi. Per questo è necessario, di non parlarne come si fa con la pittura. Non esiste una unica linea alla quale ricondurre la produzione. Considerando il fenomeno sul piano critico, sarebbe possibile, secondo lei, tratteggiare all'interno della produzione un particolare trend preponderante sugli altri? Non ci sono correnti precise, ma è vero che la produzione dei videoclips, negli ultimi anni, è giunta a influenzare anche la vi-
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