Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

casa editrice piccola. Esagero, naturalmente, ma consta a tutti, credo, come nel quadro delineato ci sia molto di vero. li contrario della pesantezza dei grandi, non è sempre la leggerezza e tantomeno la grazia. Può esserci pesantezza anche tra i piccoli, e calcolato conformismo da un lato, avventurismo dilettantesco dsill'altro. Resta, lo ripeto ancora una volta, che è solo tra i piccoli che si può sperare di trovare del nuovo. I grandi sono imbattibili - bisogna averlo bene in mente - sul terreno che sempre di più è il loro: quello dei grandi mercati, della vasta distribuzione, del denaro, delle relazioni ottime con giornalisti, giornalisti-scrittori, scrittori-giornalisti (e se un consiglio andasse dato ai piccoli editori per una radicale distinzione dai grandi è quello di evitare di corteggiare troppo i giornalisti - più potenti che mai - e soprattutto di evitare di subire il ricatto di pubblicarli, che i grandi hanno ormai digerito con voluttà e guadagno; ma questa seconda possibilità è molto remota perché naturalmente i chiacchieroni di professione che contano veramente non si rivolgeranno mai a un piccolo per la loro produzione). Insomma coi grandi è assurdo scendere in concorrenza sul terreno che è il loro, mentre a mio parere è sempre più facile farlo, che lì veramente hanno i piedi d'argilla, su quello della cosiddetta produzione di qualità, e cioè il vero libro da libreria, quello che può andare dalle duemila copie a, se tutto va per il meglio, le diecimila, che non ha bisogno di grandi lanci e che può fare a meno dell'aiuto, mettiamo, di Pippo Baudo. Si può davvero far concorrenza ai grandi e ai medi se non li si scimmiotta, se li si considera come altra storia e altra banda più che come rivali, coscienti che, con tutta la loro forza e tutti i loro soldi, pure certi libri loro non sono più in grado di farli. Questa divisione dei compiti e del mercato i grandi, onnivori e invadenti come sono e vogliono essere, non sono certo disposti ad accettarla, ma è, credo, scritta nella loro natura, nella loro pesantezza. Naturalmente, i problemi della distribuzione, pei costi, del rapporto col libraio, eccetera eccetera, sono fondamentali per ogni strategia culturale-editoriale, ma di questo parleranno altri, e dò per scontato che sia questo il terreno principale di intervento, quello sul quale l'innovazione è più difficile, e la resistenza maggiore. In questo campo, tuttavia, è sempre più prioritario che si trovino strumenti di collegamento, rapporti più stretti, condivisione di servizi, scambio e collaborazione tra piccoli. Altrill)enti, uno a uno, sarà molto facile isolarli e asfissiarli, se così decidessero di fare i grandi editori e i grandi distributori. Resta il problema di che fare per coltivare bene quest'altro spazio e farlo crescere, e lì credo che il mio parere possa davvero contare molto poco, sia perché ogni editore ha diritto di fare di testa sua, se una testa ce l'ha, sia perché quelli che sarebbero per me autori, collane, libri da fare possono essere invisi ad altri e viceversa. E io sono per la varietà e diversificazione la vivacità anche polemica delle proposte. Si può però insistere su alcune cose sulle quali non si insiste mai a sufficienza: non essere megalomani, non disprezzare le ragioni tecniche e commerciali ma anche non farsi condizionare solo da quelle, non pensare che la televisione e "La Repubblica" siano davvero indispensabili al (relativo) successo del libro di un piccolo editore, non pigliare per buono quello che glì informatori giornalisti dicono su quel che succede altrove, non fidarsi mai troppo degli agenti, diffidare profondamente delle mode sponsorizzate qui da gente che ne sponsorizza almeno una all'anno (le mode vanno semmai imposte, non subite), scegliere i consulenti giusti e metterli in grado di lavorare decentemente e, se possibile, ristabilire delle belle riunioni con loro per discutere di titoli e più ancora di linee, non adagiarsi sul fatto di avere in ditta un ricco o di avere buoni rapporti con questo o quell'assessore, perché gli assessori cambiano e i ricchi nei loro hobbies sono incostanti, privilegiare ìl presente sul passato, il nuovo sul vecchio, le zone poco sfruttate su quelle abusate, specializzarsi, eccetera eccetera. Lo so che è difficile, lo so che oggi, negli imperanti conformismo e volgarità, anche i lettori non sono granché, che il pubblico delle piccole case editrici è anch'esso condizionato dai media e dalla produzione delle grandi. Ma per l'appunto: anche ammesso che i piccoli vogliano cavalcare la volgarità, su questo terreno saranno sempre fregati da gente ben più volgare di loro. E allora tanto vale fare l'altra scelta, che per fortuna è loro molto più congeniale, e rimboccarsi le maniche, far bene i propri conti, e soprattutto osare di più. IL VANTAGGIO DI ESSEREPICCOLOEDITORE SandroFerri La domanda che più frequentemente viene posta a noi della e/o è: "volete restar piccoli?". Pur non ritenendo che sia il contrasto "grandi-piccoli" quello decisivo, ma piuttosto quello "qualità-dequalificazione", direi che alcuni elementi della piccola struttura fa V 0riSCOnOla qualità dei libri pubblicati. Ne vedo almento 3: 1) li piccolo editore sceglie quasi sempre personalmente i libri da pubblicare. La responsabilità è più forte perché sono più vicini tra loro tutti i momenti della produzione e della vendita dei libri. L'editore risponde di più di ogni libro pubblicato. Deve specializzarsi almeno nel senso d'individuare filoni di ricerca, deve approndire la conoscenza delle aree culturali di cui si occupa. Mi pare che nella grande edizione viga maggiormente il principio della deresponsabilizzazione. Spesso o si pubblicano libri invendibili scelBibliotecaGino Bianco ti da consulenti con interessi molto specifici oppure ci si rimette completamente al responso del mercato, direi alle richieste di più basso livello che provengono dal mercato. 2) Un secondo elemento di qualità legato alle piccole dimensioni è la maggior cura dedicata alla preparazione, redazione, produzione di ogni libro, essendo piccolo il numero di novità annualmente pubblicate. 3) Terzo motivo di qualità è che i costi contenuti consentono tirature medie più basse (è necessario vendere meno copie di un grande editore per pareggiare i conti); ciò consente una maggiore libertà da quelle forze dequalificanti che premono per fare del libro uno spettacolo-avvenimento da consumare massicciamente e rapidamente, uno status-symbol, una moda effimera e nemica dell'autonomia intellettuale dei lettori; il p.e. può e deve resistere meglio alle pressioni esterne e interne che lo incitano a dequalificare il proprio prodotto per venderlo più facilmente. Restar piccoli nel senso di mantenere integre queste qualità, e non nel senso di essere marginali rispetto alla produzione e al consumo culturali, non è affatto semplice. Senza essere moralisti né piagnoni, ma semplicemente per essere realisti, bisogna partire dall'assunto che il sistema di produzione culturale vigente è corrotto e corruttore. L'obiettivo del successo economico e di immagine obbliga infatti alla dequalificazione: i contenuti culturali devono essere sacrificati al primato dell'immagine, il quale a sua volta richiede banalizzazione del prodotto culturale e accentuazione del conformismo nei consumi. Lungo tutta la catena di produzione e consumo del libro, questo sistema corrompe. Corrompe l'editore, e più avanti dirò come; corrompe critici e giornalisti costretti ad inseguire e a premiare il sensazionale, ciò su cui si può montare un "caso"; corrompe distributori e librai costretti a privilegiare l'effimero bçstseller (vero o presunto che sia) a scapito di libri che potrebbero garantire vendite sul lungo periodo; corrompe il pubblico, atomizzato e senza difese di fronte al martellamento pubblicitario, e costretto quindi a comprare il libro di cui "tutti parlano". E quali sono le sirene che cantano per il p.e., le forze che lavorano per la sua corruzione, ovvero per la dequalificazione culturale? Le prime difficoltà il p.e. le incontra nel campo della scelta dei titoli e degli autori. Un autore gli può essere soffiato a suon di milioni da un grosso editore. E sarebbe sbagliato, secondo me, accettare battaglia su questo piano dissanguandosi per vittorie di Pirro come il mantenimento nel proprio catalogo di un autore il cui talento principale magari è semplicemente quello di sapersi pubblicizzare. Altra cosa è quella di offrire 4j

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==