Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

4 la prevenzione di infortuni e di patologie da lavoro e la stessa mentalità dei lavoratori si è spostata verso il "primo la salute" (sull'ambiente, ho invece qualche dubbio che lo spostamento sia avvenuto). La stessa Riforma Sanitaria del '78 ha cercato di rafforzare questa attenzione e di razionalizzare le strutture e le politiche di intervento. Ma il peso dell'economicismo rimane formidabile, e condiziona salute e ambiente, in un ricatto del quale si è tutti, o quasi, vittime e autori a un tempo. Una piccola obiezione che mi sentirei di rivolgere a Carnevale e Moriani sta forse proprio nella debole sottolineatura di questa "complicità". La scelta di stare, nettamente, dalla parte dei lavoratori non può far velo alla realtà di una sempre più diffusa e sostanziale condivisione dei valori costitutivi e propulsivi del sistema industrialista e consumista che coinvolge una gran parte dei "produttori" stessi. Per il resto questo libro è assai prezioso e utile; ci trasporta, tra testimonianze dirette, episodi e dati, fino al cuore, al nocciolo del nostro tempo, là dove tutto è cominciato. Lo sfruttamento, lo sfinimento, gli infortuni, la silicosi, la tubercolosi, i cancri polmonari, non sono che lo stillicidio che precede e prepara la rovina, e che già ne contiene la ragione. Annunciano e spiegano Seveso, Bhopal e Cernobyl, attraversando non a caso sistemi economici e politici diversi. Non è vero neanche oggi che bussano con indifferenza a tutte le porte. Le porte dei ricchi sono ancora un po' più fuori mano e si aprono su case comunque meglio garantite e assistite. Tuttavia, ennesima beffa che rende più amara la soddisfazione di scoprirsi pionieri, ci tocca in sorte, oggi, di preoccuparci persino di quelle porte. Ciò che il domicilio divide, la bomba e la nube annientano uniti. Maledetti lor signori: ci toccherà morire o salvarci insieme a voi! ERNESTOROSSI, VENT'ANNIDOPO GiuseppeArmani I vent'anni dalla morte di Ernesto Rossi sono stati ricordati, all'inizio di febbraio, con un buon numero di articoli sulla stampa quotidiana e una commemorazione indetta a Roma dai radicali alla quale hanno partecipato alcuni testimoni delle vicende del "Mondo" e dell'" Astrolabio", alcuni vecchi amici di Rossi, e Pannella che, rivolgendosi a Ada Rossi, ha parlato con evidente commozione. Sulla "Repubblica", in un paginone centrale dedicato alla rievocazione della sua figura, Scalfari, con maggiori forzature di quelle che si poteva temere adottasse Pannella nel rivendicare l'eredità rossiana, si è collocato alla stessa altezza del commemorato in un rapporto paritario sicuramente squilibrato rispetto alla realtà. Tutto. sommato (mancando ancora il volume degli atti di un convegno milanese a lui dedicato nel 1984), non si è usciti da una BibliotecaGino Bianco blanda agiografia e si è continuato a insistere sul personaggio Rossi, su Rossi impavido fustigatore delle malefatte dei potenti, denunciatore dei guasti nazionali, "rompiscatole" senza rispetto per le buone maniere e le fame consolidate, in una dimensione cordiale e accattivante per il lettore meno informato, ma, in sostanza, poco adeguata a dare il senso preciso di quel che Rossi ha rappresentato nella storia italiana del nostro secolo. È così, di fatto, continuata quella che nell'Ottocento si sarebbe chiamata una congiura del silenzio attorno a lui. Gli omaggi ora tributati alla sua memoria anche dai grandi giornali che, vivo, lo ignorarono o ne rifiutarono la collaborazione, quasi mai (a parte un bel profilo di Alessandro Galante Garrone su "La Stampa") hanno saputo far capire l'eccezionalità dell'esperienza umana di Rossi, il vero senso del suo antifascismo intransigente, delle sue scelte di pura moralità, del suo sapersi porre con le sole armi della ragione e della penna a combattere contro le forze politiche, religiose, economiche da cui sentiva soffocata la vita nazionale. Quasi mai hanno voluto sottolineare il significato alternativo della sua battaglia democratica e illuminista, la continuità della sua opposizione al fascismo prima e dopo il 25 aprile, l'isolamento non sofferto ma stimolante in cui si trovò a lavorare. E ancor meno hanno indicato in Rossi il continuatore della tradizione di concretezza, di intelligenza disinteressata, di amore per il progresso civile del proprio paese, che nel secolo scorso si espresse in Cattaneo, più tardi in Salvemini. È un'Italia oggi perduta quella che Rossi si trovò - forse ultimo - a rappresentare, sulla quale, nelle occasioni di maggiore condiscendenza, capita di sentir tornare con dichiarazioni di simpatia e ammirazione, ma che non si vuole in nessun modo realmente resuscitare. Ecco perché tutto l'insegnamento della democrazia radicale italiana è stato lasciato cadere, perché oggi non vi è nessun partito, nessun gruppo organizzato che possa dire di ispirare veramente la sua azione politica a figure come Ernesto Rossi. Un aspetto vistoso di questa voluta dimenticanza, di questa cancellazione dalla memoria storica dell'Italia contemporanea, è dato, per Rossi, dalla pressoché totale indisponibilità dei suoi libri. Sempre ristampati quando era vivo, celebri per titoli ormai entrati nel lessico comune (l padroni del vapore, Aria fritta, Settimo: non rubare, li manganello e l'aspersorio .... ), i libri di Rossi non sono da tempo reperibili sul mercato (solo dieci anni fa fu ristampato a cura di Sylos Labini lo straordinario Abolire la miseria). Se si tien conto del fatto che negli anni cinquanta anche le biblioteche pubbliche erano avare di acquisti, e particolarmente diffidenti verso libri "politicizzati", non so davvero come un giovane desideroso di leggere le opere di Rossi potrebbe mai procurarsene qualcuna ai nostri bei giorni. L'uscita di Rossi dai cataloghi, la mancata ristampa di libri fortunati e che avrebbero potuto trovare facilmente anche sbocchi fortunati sul mercato scolastico (come le bellissime lettere di Elogio della galera e molti degli scritti autobiografici raccolti in Un democratico ribelle) sono u~ fatto su cui le commemorazioni del ventennale della sua scomparsa hanno generalmente taciuto, senza lasciare perciò sperare che vi si voglia porre rimedio. Eppure, è proprio dalla ripresentazione degli scritti di Rossi che dovrebbe cominciare a muoversi ogni tentativo di rimetterne in circolazione una immagine non di maniera. Poiché non è vero che si tratti (come si potrebbe desumere dalla dimenticanza che li circonda) di scritti legati soltanto alle circostanze effimere e giornalistiche della loro stesura, espressione di idee e risentimenti superati, non più proponibili. Si tratta, invece, di scritti che in molti casi restano attuali e si dovrebbero leggere per capire parecchi problemi di oggi. Non senza dire che Rossi è scrittore sempre felice, inserito a pieno titolo nella linea dei moralisti laici che percorrono la nostra letteratura anche se non vi hanno trovato ancora piena cittadinanza. Basta ricordare a questo proposito gli scritti anticlericali, parte importante dell'opera di Rossi, che, rispetto ad altri suoi di diverso argomento, sono stati i primi a scomparire dall'orizzonte, travolti dall'ondata conciliare e in seguito dalle vicende politiche che hanno confinato ogni spunto anticlericale in una zona di cose di cui" vergognarsi o comunque non andare mai fieri. È poi sopravvenuto il nuovo concordato firmato da Craxi che ha peggiorato la situazione determinata dal concordato del 1929 e ha trovato l'approvazione sia degli antichi sostenitori dell'articolo 7 che di gran parte degli antichi oppositori di questa norma capitale della costituzione. Per capire il senso del corso e ricorso concordatario, basterebbe leggere quanto Rossi scrisse sui rapporti della chiesa cattolica col fascismo, e sulla sopravvivenza della chiesa al fascismo, come centro di potere politico-finanziario, nella gestione di uno stato di cose che entrambi avevano fondato: li manganello e l'aspersorio, appunto, o Pagine anticlericali (il suo .ultimo libro), o, per i precedenti storici li Sillabo. Basterebbe riprendere qualche titolo dalla collana "Stato e chiesa" da lui diretta per l'editore Parenti. E sarebbe facile trovare il filo delle argomentazioni separatiste e anticoncordatarie della nostra migliore tradizione democratica e liberale, le ragioni di una opposizione irrinunciabile e purtroppo rinunciata. Ma Rossi non si ristampa. E neppure si cita da parte di chi si occupa di simili questioni, o si cita soltanto come esempio nega_tivoda segnalare. È il caso, per fare due esempi recenti, di un volume degli Annali annessi alla Storia d'flalia Einaudi che in più di mille pagine dedicate ai rapporti tra chiesa e istituzioni politiche dal medioevo all'età contemporanea trova il modo di non ricordare neppure una volta il nome di uno dei maggiori sostenitori del separatismo nel Novecento, e di un volume in lode di Pio Xli pubblicato dall'editore Laterza (presso il quale apparve il maggior numero di libri di Rossi), che lo ricorda una sola volta per lo "sconcertante semplicismo" dei suoi giudizi sulla politica vaticana.

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