42 BLASONEDIPALERMO E BLASONEDIMILANO Vincenzo Consolo Mimi siciliani si chiamaun felicissimo libro dello scrittoreFrancescoLanza, pubblicato in volume dalla casa editrice Alpes di Milano nel 1928. Storie di Nino Scardino avrebbe dovuto chiamarsiil libro, ma fu Ardengo Soffici a suggerire Mimi, a imitazione dei Mimi del grecoEronda, scoperti in quegli anni e pubblicatinella traduzione del Romagnoli, nel '26(mai mimi sembrano nascere proprio in Siciliae con i siracusani Sòfrone e Senarco raggiungere alto valore e fama). Cosa sono i mimi? Sono bozzetti, scenette comiche, popolari, di linguaggio "forte", salace. li loro intento era certo quello di far ridere, di divertire, ma era infin: anche moralistico(come sempre è stato 11 teatro comico di tutti i tempi), con l'intenzione di tracciare quella linea ideale al di qua della quale v'era il bene, al di là il male. La linea dei Mimi siciliani di Francesco Lanza è quella deiconfinidel comune di Valguarnera Caropepe, provinciadi Castrogiovanni, oggi Enna, paesedel Lanza, o meglio, di quei contadini che nei suoi mimi parlano e agiscono: dentro i confini di Valguarnera i contadini sono scaltri; fuori, e soprattutto i contadini dei paesi limitrofi, sono stolidi. "I Mimi siciliani" scriveCalvino "sono una raccolta di storielle d'una varietà assai peculiare: alla comicità 'disinteressata' della barzelletta si sovrappone in esse l'aggressività delle contese di campanile". C'è insomma, in quei mimi, la volontà di costruire il "blasone" del loro paese, il blasone di Valguarnera, con l'accumulo dei valori che si ottiene sottraendo valori aglialtri, denigrando cioè i contadini degli altri paesi. Ora, al blasone di Valguarnera Caropepe, ai Mimi di Francesco Lanza mi hanno fatto pensare, nella nota polemica scoppiata tempo addietro in seguito a un articolo sul "Corriere della Sera" di Leonardo Sciascia, volontarie e volenterose,"caropepane" associazioni come il Coordinamentoantimafia di Palermo e la Società Civile di Milano. Già la loro apodittica qualificazione, "antimafia", "civile" ha qualcosa di aggressivo e di implicitam~ntedenigratorio nei confronti di tutti gli altri che di quelle due associazioni non fanno parie. Noi pensiamo al contrario che in una societàcivileogni cittadino, nel suo dire e agire sociale, ha il do- ':'.eredell'essere e agire antimafioso e civile. E la sua, come dire? una situazione fisiologica (fino a che non si provi il suo scadere nella patologia), statica; non è una situazione dinamica, "tesa", eroica. E non ha quindi bisogno, il cittadino di iscriversia pleonastiche associazioni ~er affermare e sottolineare questa sua fisiologia civile (ci hanno sempre un po' fatto sorridere e un po' irritare quei vecchi negozi milanesidalla chiassosa insegna rossa e gialla che si chiamano "All'Onestà": e gli altri negozi non sono onesti? E non è dovere d'ogni negoziante di non imbrogliare il cliente?). Dal momento che questa fisiologia vienemessa fra virgolette, sottolineata tramite un'associazione, BibliotecaGino Bianco si compie un gesto aggressivo, si toglie implicitamente qualcosa agli altri che fuori dall'associazione rimangono. Può accadere allora che se un tale fuori dall'associazione, un contadino di uno dei paesi limitrofi di Valguarnera, osa civilmente parlare, fare qualche civile osservazione, allora viene esplicitamente aggredito e denigrato. È quello che è successo a Leonardo Sciascia. Sciascia - lo sappiamo tutti - è il nostro maggiore scrittore civile. Scrivendo in prosa, nella prosa più razionale e limpida, usando questo mezzo linguistico come tutti lo dovremmo usare, cioè al massimo grado di significato e di comunicabilità sociale, scartando i temi assoluti, non inseguendo programmaticamente la cosiddetta poesia, da trent'anni a questa parte tratta, nei suoi numerosi racconti e saggi, di temi relativi: temi storici e civili, politici e sociali vale a dire. E con una tale capacità di lettura della nostra storia e del nostro vivere civile, da fargli prefigurare certe dinamiche, certi esiti, da farlo apparire spesso profetico. Sviluppando in trent'anni quell'alta "conversazione in Sicilia" in cui ha mostrato i nostri mali, ha additato i rischi (della povertà, del fascismo, dell'inquisizione, della mafia, dell'impostura, del trasformismo, della retorica ... ). E rischi sono oggi annidati nella nostra società, ha lamentato Sciascia (ed è nella libertà di ognuno di noi di lamentare, ma soprattutto nella libertà di Sciascia, nel suo dovere anzi, nella sua funzione di scrittore, e di scrittore civile) nella retorica dell'antimafia. È per aver detto questo che Sciascia viene aggredito e denigrato da due associazioni: dal Coordinamento antimafia di Palermo e dalla Società civile di Milano: a difesa, l'una e l'altra, dei rispettivi blasoni. La prima associazione aggredisce lo scrittore con un "accanimento nello spregio (che) si rivela anche dallo stile, che raggiunge punte di delirio verbale espressionista" (Calvino: lo relega ai margini della società civile, ricorre alla figura retorica della preterizione per dargli del mafioso, mutua le classificazioni morali dell'umanità del mafioso don Mariano Arena (// giorno della civetta) per dargli del quaquaraquà; la seconda associazione imbastisce a Milano, nella sala dei congressi della Provincia, un processo in contumacia allo scrittore, in cui gli si rinfaccia di essere "angusto, rozzo, provinciale", di accusare ormai una certa "stanchezza'', di "guardare la sua Sicilia, ma senza vederla"; che quella di Sciascia sul "Corriere" è stata una "straordinaria cantonata" (un gran granciporro, avrebbero detto in altri tempi) ... E via denigrando sull'applauso di tutti gli iscritti a quella Società civile e dei suoi simpatizzanti. Italo Calvino si chiede, a proposito delle denigrazioni dei contadini di Valguarnera nei confronti degli altri contadini: "È un'animosità personale del Lanza che viene a incrinare l'equanimità del suo pessimismo universale? O è il segno che nella mutua denigrazione degli oppressi c'è sempre qualcuno più denigrato e più oppresso di tutti?". Noi siamo per questa seconda ipotesi. E quel qualcuno più oppresso e denigrato (nella generale oppressione e denigrazione della mafia) è sempre l'uomo libero e solo, non iscritto a nessuna associazione: è il racalmutese denigrato dai blasonati di Palermo; è il siciliano denigrato dai blasonati di Milano. LEPORTEDEI RICCHI SONOPIÙ FUORIMANO GianfrancoBettin Mettiamola così: siamo stati pionieri, e consoliamoci. Questo "filosofare", rassegnato e ironico, non è estraneo a chi ha visto il suo "primum vivere" turbato da mille insidie e scopre oggi che tali insidie riguardano il nostro mondo nella sua interezza. Chiunque sia vissuto nei suburbi industriali può capire cosa intendo. 1cascami del progresso, le deiezioni e le polluzioni del grande mito industrialista, le sindromi a breve e a lunga scadenza infiltrate negli organismi viventi, le mutazioni incomprensibili, le malattie e gli orrori inauditi hanno infatti precocemente fatto parte dei suoi orizzonti e delle sue esperienze più comuni. Adesso, mentre contaminano il "villaggio globale", ha come la sensazione di vedere la propria casa dilatarsi al mondo intero. Ma non si sapevano già queste cose? vien fatto di pensare difronte a certe notizie: che si scaricano i veleni nei fiumi, nei canali, nel mare? che si sfiatano puzze e fumi letali dalle ciminiere? che la gente si ammala e muore di malattie polmonari? che sul lavoro si muore? In realtà, lo sapevano alcuni: quelli, intendo, che le avevano sotto gli occhi, queste cose, e le manipolavano direttamente, per incoscienza, costrizione o rassegnato fatalismo. O per ignoranza. Il resto del mondo si godeva gli agi della plastica, delle fibre sintetiche, di tutti i derivati del petrolio e fino a quando la scarsità, prima, e il dilagare della crisi ecologica, poi, non ne hanno minato la fiducia nelle "progressive e magnifiche sorti" si guardava bene dal pensare ai drammi delle fucine e dei suburbi. Una riflessione di questo tipo mi è tornata in mente leggendo un libro recente, S10ria della salu1e dei lavora/ori. Medici, medicina del lavoro e prevenzione, di Francesco Carnevale e Gianni Moriani (Edizioni Libreria Cortina Verona, pp. 225, lire
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