IL SUICIDIO DI PRIMO LEVI Grazia Cherchi Non ho mai avuto occasione di conoscere Primo Levi, ma il suo suicidio - commentato da gran parte della stampa con accenti lamentosi o di deplorazione: penosi i primi, disgustosi i secondi - mi ha profondamente colpito. Per tanti motivi. Ad esempio per il modo. Levi ha scelto la morte dei poveri che è, da sempre, gettarsi nel vuoto. Qualcuno ha scritto che il guaio del suicidio è il dover fare da sé. E, aggiungo, pensare con sgomento e orrore al proprio corpo che si lascerà li, immoto se non spezzato: mai come in quel momento apparirà ingombrante. Ma, dato che non ci hanno ancora messo a disposizione un pulsante che ci permetta, premendolo, di disintegrarci totalmente, la morte di schianto di Levi, così netta, ha una sua spoglia stoicità. Per non aver lasciato messaggi né lettere personali. I primi sono superflui (ancor di BibliotecaGino Bianco più da parte di uno scrittore: si leggano i suoi libri), la mancanza delle seconde è un supremo atto di pietà verso i propri cari. Per la somiglianza tra il suo disperato pessimismo, che lo ha annientato, e quello che ha annientato Elsa Morante. Per Levi si è fatto a iosa, alla ricerca di un'impossibile analogia, il nome di Pavese e non quello della grande scrittrice, che trovava altrettanto intollerabile vivere nel nostro oggi. Proprio la Morante - che dopo il primo tentativo di suicidio ne ha attuato un altro, riuscito: si è lasciata morire - mi aveva un giorno espresso la sua ammirazione per Ad ora incerta, il libro di poesie di Levi uscito nel 1984, e me ne aveva citata in particolare una, stupenda, Dateci, che condivideva totalmente. Eccola: Dateci qualcosa da distruggere, Una corolla, un angolo di silenzio, Un compagno di fede, un magistrato, Una cabina telefonica, Un giornalista, un rinnegato, Un tifoso dell'altra squadra, Un lampione, un tombino, unapanchina. Dateci qualche cosa da sfregiare, Un intonaco, la Gioconda, Un parafango, una pietra tambale. Dateci qualche cosa da stuprare, Una ragazza timida, Un 'aiola, noi stessi. Non disprezzateci:siamo araldi e profeti. Dateci qualche cosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi. Che ci faècia sentire che esistiamo. Dateci un manganello o una Nagant. Dateci una siringa o una Suzuki. Commiserateci. Primo Levi è sopravvissuto ai lager ma non ai nostri giorni. Dal suo suicidio si leva quindi un monito alto e terribile. Almeno rispettiamone la morte dato che gli è stata resa invivibile la vita.
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