fronti di genitori (quelli naturali, questa volta) che li hanno delusi. E venati di sentimentalismo, anche, tanto più irritante quanto più infantile e incongruente. In breve, tra il cinismo e il sentimentalismo, inutili, in letteratura, stanno Carver e Paley. E non a caso. Carver e Paley hanno vissuto, e ne conservano traccia le loro persone private generose e schive, e il loro volutamente basso profilo pubblico, vite povere, difficili e impegnate. I loro rampolli escono, per motivi di classe, più che generazionali, da situazioni assai diverse. Con l'eccezione di Bret E. Ellis, che appartiene a una famiglia di ricchi hollywoodiani gravitanti intorno all'industria cinematografica, si ha la sensazione, dai riferimenti autobiografici di romanzi e racconti, e anche da dichiarazioni rilasciate dagli autori, che questi siano cresciuti in famiglie della buona borghesia saldamente established in un contesto sociale appena sfiorato dalla disgregazione che ha invece profondamente intaccato le classi bassa e media. I motivi della loro ribellione sono quindi di carattere psicologico e personale più che sociale. L'accusa che rivolgono, velatamente o meno, a mamma e papà, è di non essersi curati abbastanza di loro, o di averli iperprotetti, o di averli abbandonati (e qui cadono volentieri nel sentimentale) morendo precocemente, per lo più di cancro, una malattia che nonostante gli sforzi di Susan Sontag per ridimensionare la questione, continua a esser vista come metafora, nella letteratura americana contemporanea. Oppure di aver venduto l'anima al diavolo in cambio di un po' di successo in una società tutto sommato disprezzabile. A questo punto è inevitabile osservare che il risultato più evidente ottenuto dalla loro critica, o ribellione, è l'opposto di quello voluto: consacrati da un successo insperato, sul quale grazje al cielo sembrano in grado di ironizzare pubblicamente, coi loro scritti sono ormai in grado di emulare mamma e papà e di irrompere con grande impatto su quella scena sociale così disprezzabile quando a dominarla, a non volerla cedere, erano i genitori. Si rischia, con un discorso del genere, di fare un po' di confusione tra invenzione e autobiografia, prendendo per vissuto personale quello che viene comunicato come finzione; d'altra parte la confusione è opera degli autori stessi, esageratamente generosi nel rivelare squarci di vita privata che si trovano poi, rimaneggiati, non sempre con abilità, nelle loro invenzioni. Qualche esempio, Ellis, in Meno di zero (Pironti L. 20.000) ottiene un risultato addirittura patetico quando alterna ai laconici resoconti della vita perversa che conducono i suoi amici biondi e abbronzati, gli altrettanto laconici resoconti di momenti di colloquio con un paio di genitori indifferenti e assillati da problemi quali l'automobile, gli amanti, il potere. Ellis sembra sbatter loro sotto il naso gioventù, bellezza e dissolutezza della giovane generazione con lo scopo dichiarato di farli sentire in colpa, e con quello, meno esplicito, di trasformarli in voyeurs. Il sospetto di voyeurismo sfiora anche il protagonista-autore, che a sadismi e perversioni partecipa pochissimo, e non per motivi morali o estetici, vogliamo sperare, dato l'andazzo. E più che sfiorare investe la grande massa di pubblico che ha comperato il libro, e i critici che l'hanno osannato. Preoccupante, dal punto di vista sociologico, che si prenda per buona letteratura del genere; assai più preoccupante che non il fenomeno, descritto nel romanzo, dei video hard-core (o meglio "hard-gore"), degli stupri e della necrofilia dilettantesca che, dopotutto, difficilmente possono dilagare a livello di massa. Il sospetto di compiacimento voyeuristico sfiora anche la madre del protagonista del primo dei racconti di David Leavitt, Territorio. Neal porta il fidanzato, Wayne, in California da New York a conoscere la genitrice impegnate:\ in ogni sorta di campagne liberal, da quella ecologica a quella del "gay pride", che la coinvolge in quanto madre di un gay dichiarato. BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE Il terzetto passa insieme un week-end all'insegna della massima "apertura", ma si ha spesso il sospetto che più che di un terzetto si tratti di un triangolo. E poi, negli altri racconti di Ballo di famiglia (Mondadori, L. 18.000), madri malate di cancro, madri fragili e potenti, madri in precario equilibrio sopra il baratro della follia, madri che della follia fanno un ingrediente qualunque della vita quotidiana, madri dichiaratamente folli. E padri assenti. Come peraltro in La lingua perduta delle gru (Mondadori, L. 22.000), ambizioso romanzo cui mancano la freschezza e l'ironia che rendevano gradevoli i racconti, dove un figlio gay e alquanto presuntuoso, Philip, mette in crisi con la rivelazione vendicativamente tempestiva della propria omosessua1ità due genitori che l'autore dipinge altrettanto vendicativamente, si direbbe, come ridotti allo stato larvale per via della mancanza di coraggio nel dichiarare la verità delle proprie tendenze sessuali. Il romanzo, didascalico e noioso, si salva per via dell'indiscussa capacità di Leavitt di fornire un quadro inedito della New York contemporanea. Amy Hempel (foto di Danief Mularoni) Jay Mclnerney (foto di Marion Ellfinger/Esquire).
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