DISCUSSIONE Vorremmo imparare dagli americani a non sentirci "servi" e "subalterni". Ma questo non è possibile, perché in effetti, come europei, servi e subalterni lo siamo davvero, e sarebbe illusorio credersi altro. Possiamo però continuare almeno a usare quel tipo di figure retoriche di cui è fatto l'esercizio della critica: facendo "come se" fossimo liberi e sovrani, "come se" dall'esercizio pubblico della ragione derivassero scelte di pubblico interesse, "come se" l'individuo e il singolo non fossero già stati schiacciati e resi impotenti dagli apparati della produzione industriale e dalle burocrazie tecnocratiche. Senza questi "come se" della nostra retorica critica ancora un poco legata al passato, non avremmo davvero nulla. La separazione fra teoria e prassi (così diffusa in Europa) non è solo doppiezza e colpevole incoerenza. Fra quello che si è socialmente e politicamente realizzato (pur non essendo tutta la Realtà) e quello che è ancora solo pensabile "in astratto", si conserva forse qualche riserva critica, qualche "retropensiero" che l'assoluta "coerenza" tra cultura e società pietrificherebbe per sempre. Se qualcuno mi ha già legato le gambe, dovrò davvero, per coerenza, legarmi da solo anche le braccia? Bisogna davvero, per coerenza morale, rinunciare ad ogni pensiero che non sia il riflesso, la legittimazione e l'apologia di ciò che avviene? Infine: quando si fa appello ai cosiddetti valori dell'Occidente (Galli della Loggia non lo fa, ma sembra sempre sul punto di farlo: mi sbaglio?), si dimentica che Occidente è una realtà e una nozione varia, contraddittoria. L'Europa, come si sa, è un insieme poco coeso e molto variopinto. E poi c'è anche la Russia, che è parte integrante dell'Occidente. La rivoluzione bolscevica ha imparato quasi tutto dall'Europa, non è certo un fenomeno "asiatico". La scuola della radicalità rivoluzionaria è una scuola occidentale, che ha preso varie forme, utopistiche e nichilistiche, populiste e élitarie. E non si può dimenticare che l'Europa e l'Occidente non hanno inventato solo la razionalità comunicativa e la democrazia. Hanno anche inventato il colonialismo, la distruzione di altri popoli e culture: hanno inventato il fascismo, i campi di sterminio, la bomba atomica e il suo uso. Gli europei, sconfitti e umiliati dalle guerre che si sono fatte fra loro, hanno una memoria particolarmente sensibile al negativo della loro storia. Gli Stati Uniti, meno melanconici perché tuttora vittoriosi, finiscono per dimenticare quegli orrori della loro storia che la guerra del Vietnam li aveva costretti a guardare in faccia: L'America fu fondata su un genocidio, sull'incontestato presupposto del diritto dei bianchi europei di sterminare una popolazione di colore indigena, tecnologicamente arretrata, per impadronirsi del continente. L'America ha avuto non solo il sistema schiavistico più brutale dei tempi moderni, ma una sistema giuridicamente unico ... che sotto nessun aspetto riconosceva negli schiavi delle persone. Come paese (cioè non come colonia), l'America è stata soprattutto popolata dai poveri europei in sovrappiù ... Costoro arrivarono in un paese dove la cultura indigena era semplicemente il nemico e stava per essere spietatamente annientata, e dove il nemico era anche la natura, una forza primitiva, non modificata dalla civiltà, cioè dalle necessità umane, che bisognava sconfiggere. BibliotecaGino Bianco ... Gli stranieri esaltano la "energia" americana ... Ma è certamente un'energia inquinata alla fonte, per la quale paghiamo un prezzo troppo alto, un dinamismo ipernaturale e umanamente sproporzionato che scortica a nudo i nervi di ognuno. Fondamentalmente è l'energia della violenza, dei liberi sfoghi del risentimento e dell'ansia scatenati da croniche dislocazioni culturali che esigono, in massima parte, sublimazioni feroci. Questa energia è stata generalmente sublimata nel rozzo materialismo e nell'avidità di guadagno. In una frenetica filantropia. In pazzesche crociate morali, delle quali la più spettacolosa fu il proibizionis.mo. In uno spaventoso talento nell'imbruttire la campagna e le città ... " Trascrivo queste vecchie osservazioni della scrittrice americana Susan Sontag (1966). Osservazioni che lo storico potrà "storicizzare", che l'intellettuale europeo in vena di moralismo filo-americano ascolterà con fastidio. Ma che non mancano, credo, né di passione morale né di obiettività storica. IL COMPLESSODI PETERPAN Mary Sinatra NoJ1 è facile essere imparziali con i (finora) sei "giovani scrittori" importati dall'America e immessi sul mercato editoriale con una serie di iniziative pubblicitarie improntate alla più totale generosità, sia di mezzi economici che di giudizi critici. Generosità che si vorrebbe veder impiegata a sostegno di ben altre voci della letteratura d'oltreoceano, Raymond Carver e Grace Paley, per esempio. Esempio non casuale. Nella sua documentatissima post-fazione a Meno di zero, Fernanda Pivano ci informa che proprio a Carver si deve la nascita del minimalismo letterario, visto come reazione a "l'arte per l'arte" degli scrittori postmoderni. E nelle numerosissime interviste che concedono, i nuovi autori d'oltreoceano non hanno per lo più difficoltà ad ammettere di dovere molto a Carver, e di nutrire un'ammirazione che sfiora il culto per la produzione letteraria (molto contenuta, e fino a poco tempo fa poco conosciuta anche in USA) di Grace Paley, una scrittrice di altra generazione dallo stile lapidario, capace di far levitare ad altezze inconsuete i banali incidenti del quotidiano. Si potrebbe addirittura dire, data la tanto pubblicizzata giovane età degli scrittori in questione, che Carver e Paley costituiscono per loro la figura paterna e materna ideali, l'uno con la preoccupazione per la realtà impossibile dei rapporti personali allargata a impossibilità di esistenza, l'altra con la certezza della necessità di una società più "femminile", se la si vuole pacifica; l'uno attento alla ormai mitica solitudine dell'individuo "born in the USA", privo di radici e del conforto della solidarietà sociale, alla deriva in una serie di racconti dall'eccezionale tensione drammatica sostenuti da una prosa tersa e scarna, sì, come quella hemingwayana, ma del tutto priva della hemingwayana retorica; l'altra attenta alla solitudine di una serie di personaggi femminili relegati nel doppio ghetto della classe e del sesso in una New York che provvede però, se non altro, i suoi abitanti dalla possibilità di una solidarietà umana e politica. Senza dubbio i figli di Carver e Paley hanno ascoltato attentamente la voce parentale, ma ne hanno assorbito soltanto i toni dimessi e l'attenzione al particolare capace di caricare di pathos situazioni in apparenza banali (e queste loro abilità sono state fin troppo, anche se non a torto, lodate). Manca però loro, completamente, la sensibilità alla condizione umana come condizione comune, la simpatia per l'altro, che descrivono con una freddezza e un distacco che rasentano spesso il cinismo, note, queste, che non echeggiano nemmeno di rimando nella prosa di Carver o Paley. Freddezza, distacco e cinismo che sono proprio quelli che i figli fingono nei con-
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