Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

gna per la propria arretratezza e imperfezione di europei e di non - ancora-americani è diventata una imbarazzante nevrosi che ha invaso tutto il vecchio continente. Tutti sanno che solo passando attraverso gli Stati Uniti, solo se filtrati dal loro potente apparato promozionale e propagandistico i modelli e i prodotti europei diventano realmente famosi. In questo senso (oltre che in senso strettamente politico) l'Europa è un continente dimezzato: può intraprendere e inventare qualcosa, ma questo qualcosa arriva a compimento, diventa prodotto finito, realmente influente, esportabile e commerciabile solo se va bene in America, solo se "Time" e "Newsweek" ne parlano. Negli ultimi anni (da quando gli intellettuali e i partiti di sinistra europei si sono vergognati di aver sognato cose come il comunismo, la rivoluzione o solo la "transizione al socialismo"), da allora e di nuovo, il più rilevante fenomeno culturale è lo sforzo attivo, consapevole degli intellettuali per americanizzarsi. Non c'è niente da temere in proposito: su questa strada non si torna indietro: Galli della Loggia non deve preoccuparsi, non deve pretendere dagli aspiranti americani che popolano l'Europa una "coerenza" filo-americana superiore a quella umanamente possibile. L'americanizzazione del mondo è un processo inarrestabile e davvero "epocale", che si realizza, tra l'altro, per progressive accelerazioni. Ed è chiaro che, contenendo molte cose, probabilmente tutte, questo epocale processo di americanizzazione non può che convivere con qualche sporadico, flebile, temporaneo e penoso soprassalto di critica alla politica americana e al conformismo americano. Perché eliminare dal quadro anche queste onorevoli e innocue sfumature, queste piccole liti in famiglia presto ricomposte? Anche il New England e la California si sentono a volte irriducibilmente diversi e si mettono reciprocamente in caricatura... Gli stessi americani si criticano in modo del tutto spregiudicato, parlano male di Reagan, del Pentagono, della Cia, dello sciovinismo fascistoide del loro Midwest, di se stessi. E da chi hanno imparato, a volte, gli intellettuali europei se non dalla stessa cultura "anticonformistica" americana: da Henry Miller, da Wright Mills, da Ginsberg, da Marlon Brando, da Bob Dylan, da Kubrick, da qualche allievo di Marcuse? Nel tentativo di cogliere e fai entrare in testa agli intellettuali europei la "vera essenza" della cultura americana (popolo, soldi, progresso tecnico, democrazia), Galli della Loggia ci dà degli Stati Uniti un'immagine curiosamente semplicistica, edulcorata: proprio l'immagine (sarei tentato malignamente di dire) che può farsi quell'intellettuale europeo che vede le cose con gli occhiali rosa del suo desiderio di riconquistare una qualche integrità attraverso l'americanizzazione. Lo so, essere europei a volte è deprimente, oltre che comodo. Qui tutto è vecchio, tutto sente il peso del passato, un passato irripetibile, museificato. E le nostre classi dirigenti sono accomodanti e vili: assecondano nei loro governati un edonismo irresponsabile, che vuole insieme sicurezza militare e pacifismo, beni di consumo e mani pulite. Ma come fare per non essere europei? Come diventare americani? È questo il punto: noi non ci troviamo in condizione di capire globalmente e dall'interno la cultura americana perché non siamo americani: come europei vediamo il riflesso, gli effetti colonizzatori della cultura Usa. Ma questo è ovvio, e mi pare che Galli della Loggia trascuri che per poter capire la vera, genuina e globale cultura americana dovremmo diventare anche noi americani. Quello che ci resta, invece, e che rende spesso grottesco il filo-americanismo europeo, è quel puro e semplice desiderio di diventare americani: un desiderio che ci fa vivere in una situazione bovaristica, immaginaria. Aspettiamo di essere promossi ad una modernità che non è e non · sarà mai la nostra. BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE Tra l'altro, bisognerebbe ricordare che la modernità si è realizzata da tempo su tutto il pianeta: è moderna New York ed è moderna Palermo, è moderna Boston ed è moderna Beirut: la modernità non è un paradiso di efficienza, pulizia, civismo, razionalità e democrazia: la modernità è qualcosa di più sporco e di più globale che già ci coinvolge tutti, nelle forme più euforiche e più angosciose ... Non è una meta da raggiungere, la cui massima realizzazione sarebbero gli Stati Uniti (quali, poi? gli Stati Uniti non sono affatto un paese senza differenze e senza squilibri ... ). E d'altra parte, dobbiamo ricordare che gli americani hanno a loro volta una loro tradizione critica della modernità o di certi suoi aspetti: una tradizione che forse qui verrebbe definita "umanistica" o "romantica", e che lì è trascendentalista, libertaria: una sorta di utopismo e giusnaturalismo anarchico (Emerson, Thoreau, Whitman ... ) che ha sempre nutrito abbondantemente i movimenti di opposizione. Come non-americani, noi e tutti gli altri popoli della terra, viviamo in una speciale e infelice condizione "universalistica", che ci vede o consumatori e imitatori del modello culturale Usa, o sudditi della loro realtà imperiale, cioè di un immenso potere esercitato con la forza militare, economica, e con la persuasione. E si sa quale potere di persuasione riesca a esercitare un potere tanto grande ... Se il problema fosse davvero quello di imparare da culture diverse dalla propria, allora non saremmo così ipnotizzati dall'America: potremmo prendere qualcosa dalla Danimarca, dalla Polinesia o dall'Islanda. Scrive Galli della Loggia: "L'Europa ... non è affatto colonizzata dalla cultura americana, bensì, molto più semplicemente e drammaticamente, è invasa dalla cultura della modernità. (... ) Ma l'Europa ha paura della modernità. E perciò la travisa, ne demonizza i supposti artefici, allo scopo di esorcizzarne il significato e la portata che sospetta per lei infausti" (p. 121). È davvero curioso che, senza sentire il bisogno di specificazioni, Galli della Loggia si metta ad un certo punto, e proprio nelle pagine conclusive del libro, a fare uso del concetto di modernità per castigare la renitenza tradizionalista e l'incoerenza europea di fronte agli Usa. Davvero non ci si può più permettere né il sospetto, né la critica, né la stravaganza nei confronti dell'industria culturale e dell'american style senza sentirsi accusare (ancora una volta! come sempre!) di essere legati al passato, di essere "arretrati" e non abbastanza al passo coi tempi? Ma di questo "passo dei tempi", il cui rumore è sempre più assordante, ne abbiamo ogni giorno le orecchie piene! Ed è un passo molto marziale, purtroppo, che continua a portare tutti, l'intero pianeta, poveri e ricchi, lo si voglia o no, verso un esigentissimo dispotico Futuro di sempre più moderna e univoca Modernità, irresponsabile e distruttiva. Il guaio dell'Europa continentale (l'Inghilterra fa ancora caso a sé) è che ogni critica al modello sociale dominante rischia sempre di cadere nel rivoluzionarismo tradizionale o nel qualunquismo: o, peggio ancora, di essere interpretata in questi termini. Perfino gli snob, gli inefficienti, i disadattati verranno presi per bolscevichi potenziali. Il che significa che non abbiamo una tradizione culturale e politica in grado di riconoscere senso e valore alla critica individuale e intellettuale.

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