DISCUSSIONE Cl FU UNAVOLTAIL'68 Goffredo Fofi Prima che comincino a diluviare sui giornali e in tv le rievocazioni e le interpretazioni del '68 in occasione dei vent'anni da allora, è bene leggersi il libretto 1iJUbblicato da Rossoscuola come Dossier I: Cinque lezioni sul '68, di Luigi Bobbio, Francesco Ciafaloni, Peppino Ortoleva, Rossana Rossanda, Renato Solmi, con una cronologia degli avvenimenti 1966-69 curata da Solmi e Cesare Pianciola e con 16 pagine di fotografie (pagine di testo 94, lire 8000). Lo si può richiedere, se non lo si trova alle Feltrinelli, scrivendo a Rossoscuola, strada della Magra, 5/b, 10156 Torino, cc p.14450100. Perché è bene leggerlo? Per molti motivi, anche se essenzialmente uno: perché ricostruisce adeguatamente e senza mentire spirito, idee, fatti di un anno cruciale per tanti di noi e in generale per il nostro paese, e in generale per molta parte del mondo. È indirizzato soprattutto a chi il '68 non l'ha "fatto" per ragioni di età (le "lezioni" sono state tenute in un liceo torinese), ma poiché su quell'anno e quelle esperienze ben poco è stato scritto (c'è, a mia memoria, un solo libro, di Guido Viale edito a suo tempo da Mazzotta, che è una intelligente interpretazione fatta bensì da un leader a non sufficiente distanza dagli avvenimenti), la sua lettura è consigliabile a tutti, e non solo per capire e rivivere "come eravamo". Due degli autori (Bobbio e Ortoleva) furono diretti protagonisti del '68 torinese, mentre Ciafaloni e Solmi, più anziani, ne furono dei "compagni di strada". La Rossanda è l'unico leader della vecchia sinistra qui presente; nel '68 era ancora dirigente del PCI, da cui uscì col gruppo del "Manifesto" a fine anno. Figura a cavallo tra molte cose e generazioni soprattutto tra la tradizione della Terza Internazionale, corretta a suo tempo con l'esistenzialismo sartriano e le conseguenze del '68, e secondo una consolidata maniera della Terza in grado, quando i movimenti perdono la loro carica e tensione, di recuperarne parte mediando tra tradizione e novità; come ancora di recente le è accaduto per il movimento femminista e le accadde nel '69 con parte di quello studentesco - la Rossanda interviene qui con una attenta e convincente ricostruzione della portata e dei limiti del 168 in rapporto alle donne e allo sviluppo, qualche anno dopo, del movimento femminista: "uno dei caratteri specifici del movimento del '68 è che la persona diventa un valore positivo e non soltanto più un qualcosa da sottomettere alla volontà delle masse o alla linea del partito. Tutte le persone, maschi e femmine, o soltanto maschi? La mia risposta è che nel 1968 questa idea della persona è sostanzialmente l'idea di una persona maschio." Se metto la Rossanda a parte, è perché quella che racconta è una storia successiva, e perché la Rossanda è, ripeto, l'unico leader politico tra gli autori (rimasto in sostanza tale, se non altro come figura carismatica, anche dopo la scomparsa BibliotecaGino Bianco del suo gruppo, sopravvissuto come giornale d'opinione) e ovviamente sarà uno di quegli "interpreti rituali" - spesso per autoinvestitura, o per investitura da parte dei media dall'alto del loro potere - che molto discuteranno nei prossimi mesi di '68, alla pari di altri leader o ex-leader come Capanna o Sofri. Delle loro opìnioni su questo argomento va, credo, in buona parte diffidato: per il motivo che essi sono stati leader di quei gruppi che, già dall'autunno del '68, hanno cominciato a sostituirsi al movimento dividendolo e inglobandolo, secondo la già ricordata crisi o condanna dei movimenti dopo il loro esplodere e affermarsi, la loro necessità di darsi forme organizzative e la proposta da parte di leader preesistenti, comunque nel filone della vecchia sinistra o delle sue dissidenze, di modelli organizzativi strettamente o meno "leninisti." Senza malanimo, questo libretto distingue molto nettamente la storia del movimento dalla storia dei gruppi, e ferma la sua ricostruzione al momento in cui quest'ultima va per cominciare. Si tratta di due storie diverse, e mentre pare agli autori di poter rivendicare in toto o quasi la storia del '68, non è evidentemente lo stesso per quella dei gruppi. Aggiungo a questo una mia personale considerazione. Nella storia successiva tutti abbiamo avuto le nostre responsabilità e ci sono cose di cui essere fieri e altre di cui esserlo molto meno, e altre infine di cui vergognarsi. Anche chi non ha avuto responsabilità dirette, mettiamo, nella storia dei servizi d'ordine o nel modo di affrontare il problema della violenza, ben diverso nei gruppi da quello che fu del '68 come bene rileva Solmi, ha la responsabilità di aver taciuto (parlo per me) per opportunismo o paura di esser tagliato fuori da una rete di esperiènze e rapporti nei quali gli pareva che la "linea rossa" potesse ancora prevalere sulla "linea nera". E però sappiamo tutti che i leader hanno comunque qualche responsabilità in più delle loro basi, e che alcuni degli stessi leader possano essere oggi gli "interpreti rituali" del '68, non entusiasma di certo. Un'ultima osservazione in proposito, alla quale accenna Ortoleva: il '68 non ebbe padri se non indiretti, fu un movimento giovanile ed esclusivamente giovanile. La sua crisi, il ritorno alla proposta dei gruppi, nascono anche da questo. Per quanto riguarda l'Italia troppo generico e impersonale (inintellettuale) era il rapporto con la generazione della Resistenza, e di intellettuali di sinistra aperti all'incontro col movimento per mettere a sua disposizione il loro patrimonio di esperienza, e aiutare a evitare che vecchi errori venissero ripetuti, non ce n'erano. Il "Manifesto", si è visto, arrivò a giochi già giocati; Panzieri era morto; Foa, come spesso, latitava; don Milani era morto nel '67 e Capitini fece in tempo dal suo piccolo osservatorio perugino a mettere in guardia dal risorgere dei gruppi e a incitare alla difesa a ogni costo della democrazia assembleare; e altri non c'erano, ché il PSI era già al potere, e il PCI fu in quel caso irresponsabilmente ottuso, più ottuso che mai, nella sua "classica" reazione terzina: questi giovani non sono operai, perlopiù neanche figli di operai, sono quindi un movimento borghese da contrastare o spaccare e in parte recuperare quando la sua tensione sarà caduta. Se è vero che la funzione di minoranze intellettuali residuate da movi-
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