18 SCIENZA/SEGAL insensata l'idea di una guerra giusta, o la difesa dei valori della civiltà, poiché la guerra distruggerebbe tutti i valori. Non è cambiato il nostro pensiero nel senso di farci comprendere che i nostri narcisismi nazionali, razziali, religiosi o politici non solo sono meschini, ma letali, e che è della sopravvivenza della razza umana che dovremmo preoccuparci. Temo invece che la bomba atomica possa aver cambiato in peggio il nostro modo di pensare. Posti di fronte al terrore reale dell'annientamento, noi ricorriamo con più forza alle difese schizofreniche. Innanzitutto alla negazione. "Non accadrà", oppure "non sarà così terribile". Per esempio, una guerra può essere limitata o la si può vincere. Oppure si fa ricorso a una negazione emotiva, si chiude un occhio. In tal modo si ammette, intellettualmente, che vi sono grandi probabilità di una futura guerra nucleare a cui non sopravviverà nulla, ma chiudendo un occhio, spogliando la cosa del suo significato emotivo senza reagirvi, forse perché il contenuto emotivo è troppo terribile da sopportare. Le tendenze alla scissione e alla proiezione vengono accresciute, col risultato di potenziare l'autoidealizzazione e la paranoia nei confronti del nemico. Si verifica pure una regressione a relazioni verso oggetti parziali, che escludono l'empatia, la compassione e il turbamento. Non solo il nemico perde i contorni dell'umanità, ma i propri stessi connazionali si trasformano in numeri. Nel memorandum di McNamara al presidente Kennedy si afferma che l' Air Force considera accettabile la perdita di 50 milioni di vite in America, nel caso di un contrattacco russo di risposta a un primo colpo. Si estende la frammentazione, in particolare sul piano delle responsabilità. In un libro americano estremamente importante, The Command and Contro/ of Nuclear Forces, Paul Bracken descrive una tale frammentazione dei centri di comando che, qualora si dovesse verificare una guerra atomica, e vi fossero dei sopravvissuti, sarebbe impossibile risalire a chi l'aveva fatta partire. In misura minore questa frammentazione è evidente anche oggi. Chi dette l'ordine di affondare la Belgrano (unità navale argentina affondata durante la guerra delle Falkland, N.d.T.), e sulla base di quali informazioni? li governo dice che sono i comandanti sul campo a dover decidere. I comandanti dicono di aver ricevuto ordini dal governo. I Russi non sono mai riusciti a risalire in modo soddisfacente a chi porta la responsabilità dell'abbattimento dell'aereo coreano. Un altro aspetto della frammentazione si manifesta nella diffusione delle armi nucleari, che penso coinvolga ora l'America come la Russia. Frammenti e pezzi dei loro materiali e tecnologie nucleari sono attualmente sparsi in tutto il mondo e al di fuori del loro controllo. Uno qualunque di quei frammenti può dare inizio a una conflagrazione generale. Lo sviluppo della tecnologia viene anche utilizzato ai fini di una disumanizzazione e di una meccanizzazione tipicamente schizoidi. Prevale una sorta di depersonalizzazione e perdita del senso della realtà. Premere un bottone per annientare parti del mondo che non si sono mai viste è un'attività scissa meccanizzata. Paul Bracken afferma che la guerra potrebbe essere provocata dalle nostre macchine sfuggite al controllo. Tutto è così automatizzato che macchine supersensibili potrebbero dare BibliotecaGino Bianco inizio a uno scambio nucleare inarrestabile. L'esperto in computers del MIT, Joseph Weizenbaum, giunge a conclusioni analoghe: che gli attuali grandi computers sono così complicati che nessun esperto è in grado di conoscerli e controllarli fino in fondo. L'intero sistema di allarme nucleare si basa su queste macchine, e ciò rappresenta forse il pericolo peggiore qualora le tensioni paranoidi internazionali raggiungano un livello alto. Visto che uno degli effetti dell'esplosione nucleare è che vengono disturbati i sistemi di comunicazione, i governanti potrebbero trovarsi nell'impossibilità di fermare un'escalation anche se lo volessero. Ma il fatto che noi possiamo persino pensarlo - "le macchine, non noi, faranno partire la guerra" - dà la misura del rifiuto della nostra responsabilità. Sembriamo vivere in una peculiare combinazione di impotenza, terrore e onnipotenza, dove impotenza e onnipotenza si alimentano reciprocamente in un circolo vizioso. L'impotenza che sta alla radice della nostra apatia è in parte inevitabile. Ci troviamo esposti a un pericolo orrendamente minaccioso. Ma in parte è autoindotta, e diventa una profezia che si autoadempie. Posti di fronte al terrore delle forze della distruttività, ci spogliamo delle nostre responsabilità mediante la proiezione. La responsabilità è frammentata e proiettata sempre più lontano, nei governi, nell'esercito, negli scienziati e, infine, nelle macchine al di fuori del controllo umano. Non solo proiettiamo l'odio sui nostri cosiddetti nemici. Ci spogliamo anche delle nostre ansie e responsabilità proiettandole sui governi. I quali a loro volta non riescono a reggere tale responsabilità e la proiettano su di noi, sulla gente, sull'opinione pubblica ecc., frammentandola per giunta nei modi sopra descritti. Quando proiettiamo nei governi diventiamo veramente impotenti. Siamo nelle loro mani. Allora o diventiamo paranoidi nei confronti dei governi - è tutta colpa di Reagan, della Thatcher o del Cremlino - oppure idealizziamo i nostri governi e lasciamo le responsabilità nelle loro mani - gli esperti sono loro -. A questo punto ci rendiamo davvero impotenti. E i governi ci offrono nuovamente la via di fuga della magalomania. Ci piace sentirci grandi e potenti e pensare di poter spaventare il nostro nemico. Ma dimentichiamo quanto possa essere pericoloso un nemico spaventato. r'!1 e tutto ciò è il risultato dell'attività scatenata, scissa e ~ negata di ciò che Freud chiamò l'istinto di morte, siamo dunque senza speranza? lo non credo. Nelle analisi individuali dei pazienti noi riscontriamo che le situazioni senza speranza sono dovute non solo alla potenza degli istinti, ma in larga parte ai circoli viziosi fra impulsi e difese. Lo stesso vale su scala più ampia. Noi non osiamo guardare i pericoli orrendi della situazione in cui ci troviamo, per timore di scoprire che sia senza speranza. Così ci costruiamo potenti difese contro la nostra paura e colpa e quelle difese a loro volta rendono la situazione più disperata, poiché ci priviamo delle possibilità di tentare di affrontarla. Dice Freud nel Disagio della civiltà: "li problema fondamentale del destino della specie umana
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