più preziosi fanno ancora parte di un linguaggio sognato: ogni vocabolo, ogni sintassi, ogni periodo, interpunzione, metafora ed ogni simbolo, esaudiscono qualcosa del nostro sogno espressivo, che rimane sempre irrealizzato. Nel vocabolario sta scritto: "Letteratura è uguale a totalità dei prodotti scritti dello spirito". Ma tale totalità è casuale e non finita, e lo spirito di essa non ci vien dato solo per iscritto. Se spegniamo i lumi della ricerca e disinnestiamo ogni illuminazione, la letteratura, ridonata all'oscurità e al silenzio, dà di nuovo la propria luce, e i suoi effettivi prodotti proseguono un potere d'emanazione attivo ed eccitante. Si tratta di prodotti scintillanti e con parti morte, lembi della realizzata speranza di un linguaggio globale, di una espressione globale ad uso dell'uomo e del mondo in via di mutazione. Ciò che noi, nell'arte chiamiamo il perfetto, il compiuto, non fa che mettere di bel nuovo in moto l'incompiuto. Proprio per il fatto che è in moto, ciò che di grande è stato scritto prima di loro non atterrisce, appunto, gli scrittori - eppure dovrebbe atterrirli, qualora fosse grande come qualcosa di irraggiungibile, d'insuperabile. E dovrebbe atterrirli anche se qui, come altrove, si trattasse di prestazioni che potrebbero esser superate da altre maggiori: le quali sarebbero domani poi le vittime, che oggi ancora non sono. Ma nella letteratura non esistono nastri d'arrivo, non esistono prestazioni di tal sorta, né superamenti né cadute. Ciononostante, oggigiorno sembra quasi che la letteratura esista soltanto come un passato strapotente, esibito contro il presente, che fin dall'inizio è condannato a perdere. Gli scrittori stessi soffrono del passato e al contempo di un presente, in cui segretamente sentono annichiliti se stessi e i contemporanei. Esiste nel diario di Robert Musil un passo di grande schiettezza, in cui egli confessa di essersi confidato soltanto con alcuni poeti, Dostoevskij, Flaubert e altri, ma che tra loro non vi è alcun contemporaneo: autori, dice, che avevano scritto venti o cento anni prima. Se togliamo la piccola dose di vanità e di risentimento ivi compresa, resta con nostro stupore l'autentico e per corretti motivi impossibile riconoscimento dei contemporanei. In un altro passo si trova la notazione: " 'Ma infine, chi c'è oggi?! ' - Questo giudizio pessimistico sul valore della poesia contemporanea, me compreso". - E ancora: "Eppure, il livello medio è decisamente elevato. Motivi: parentela con l'anelito al 'redentore' ". Ma questa figura, cui s'indirizza l'anelito, anch'essa non è che una figura ideale, e ripensandoci, gli viene in mente: Virgilio, Dante, Omero ... via. Per amarli, occorre anche un'illusione e l'amore per il mondo ch'è il loro ... Ma Balzac, Stendhal ecc., pensa un po', hanno vissuto essendo 'colleghi'. Quanta avversione per questi scarabocchioni e quel fanatico! I loro mondi immaginari non si sopporterebbero, se non li si pensa disposti in luoghi e tempi differenti. Sono addizionabili oppure si escludono a vicenda? Quale problema si prospetta nel fatto ch'è possibile mitigare l'incisività dell'efficacia con la ricezione di un artista passato considerato insieme con la sua epoca trascorsa? E tale notazione reca la soprascritta: Sull'utopia della /etBibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE/BACHMANN 13 teratura. In Musil, è possibile incontrare qua e là le parole."utopia" e "utopico" in connessione con la letteratura, con l'esistenza dello scrittore; egli non ha svolto questi pensieri, ne ha dato solo l'avvìo, che io oggi ho tentato di riprendere. Se però coloro che scrivono avessero il coraggio di dichiararsi a favore di esistenze utopiche, allora non avrebbero più bisogno di assumere quel paese, quella dubbia Utopia - qualcosa che si suol chiamare cultura, nazione e così via, in cui finora essi si son conquistati il proprio posto. Questo era l'antico stato di cose, ed io credo che già per Hofmannsthal e Thomas Mann non fosse più naturale bensì ormai da salvaguardare con disperazione. Ma è stato mai così naturale? In questa Utopia della cultura non era per caso contenuto, fortunatamente, un elemento assai più puro d'utopia in quanto indirizzo, che rimarrà perseguibile se la nostra cultura non salverà una volta di più l'apparenza in solenni ricorrenze festive, se la poesia non sarà più pensabile "come spazio spirituale della nazione" - cosa in fondo già impossibile oggi -, ma sarà costretta dall'esilio del quie-ora ad operare a ritroso sullo spazio non-spirituale dei nostri squallidi paesi. Perché, questo è certo: è necessario darsi da fare col cattivo linguaggio che ci ritroviamo, per rivolgersi a quell'unico linguaggio che non ha mai dominato ma che domina i nostri presagi e che noi imitiamo. Esiste la cattiva imitazione, nel senso corrente, e non è questa che intendo, ed esiste poi l'imitazione di cui ha parlato Jacob Burckhardt e di cui oggi, a ragione o a torto, la critica conservatrice profitta: imitazione, risonanza, e nemmeno questa io intendo. Ma un'imitazione, appunto, di quel linguaggio da noi presagito, e di cui non riusciamo ad appropriarci per intero. Lo possediamo in frammento nella poesia, concretata in un verso o in una scena e comprendiamo con un sospiro di sollievo di essere in tal modo pervenuti al linguaggio. È necessario continuare a scrivere. Saremo, è vero, costretti a continuare a tormentarci col termine "letteratura" e con la letteratura stessa per ciò che è e che noi riteniamo che sia, e spesso ancora sarà grande l'irritazione per l'inattendibilità dei nostri strumenti critici, per la rete da cui essa continuerà a sgusciare. Ma rallegriamoci che alla fine ci sfugga, per amor nostro, perché resti viva e la nostra vita possa allacciarsi ad essa nelle ore in cui scambiamo con lei il nostro respiro. Letteratura come utopia - lo scrittore come esistenza utopica -, le premesse utopiche delle opere - - - Se un giorno potranno essere formulate esattamente le domande che intendono far seguito alle lineettedi sospensione, potremo forse riscrivere da capo ancora una volta la storia della letteratura e al contempo la nostra storia. Chi scrive però, e che da sempre si trova all'interno di questa storia non scritta, di rado trova le parole in proposito e vive nella speranza del tacito, assiduo patto. Permettano quindi che io concluda con le parole di un poeta, che mi sembrano destinate proprio a quello che io ho tentato di dire. Sono del poeta franceseRené Char: "Al crollo di tutte le prove, il poeta risponde con una salva di futuro". (traduzione di Maria Teresa Manda/an) Copyright from Frankfurtcr Vorlcsungen (c.) R. Piper & Co. Ver/ag. Mii11che11/982.
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