10 DISCUSSIONE/BACHMANN finizioni. Vi si possono fare esperienze singolari ogni giorno, discorrendo con amici ad esempio. In un discorso sulla pittura, diciamo, potranno udire i nomi di Giotto, Kandinsky, Pollock, ma in quel medesimo discorso cj si guarderà bene dal nominare con lo stesso tono Raffaello. Quando sono ospiti e si mettono in cerca di dischi, potranno trovare rappresentato Bach, un po' di musica barocca, Schonberg e Webern; Caikowskj sarà difficile trovarlo nell'assortimento. Nei discorsi sulla letteratura, in cui si voglia far buona figura, è possibile sentire dichiarazioni su Joyce e Faulkner, Omero e Cicerone, ma ai nomi come Eichendorff o Stifter è probabile squilli già il campanello d'allarme. Non si tratta qui di battute inventate: ne siamo testimoni giornalmente e vi collaboriamo noi stessi. Perché, mentre da un lato s'incrementa una cura monumentale ufficiale, che renda universale giustizia, ufficiosamente poi regna invece un terrorismo che mette al bando per un certo tempo parti intere della letteratura e di qualsiasi arte. Un tale terrorismo è sempre esistito, ed è pressoché inutile cercare di veder chiaro in proposito: noi stessi lo esercitiamo per necessità, il piacere per una certa parte della letteratura condiziona il rifiuto dell'altra, con tale ingiustizia noi le manteniamo in vita, orientandole secondo un'immagine ideale. Ed è assolutamente concepibile che, in un tempo non lontano, i nostri idoli, quelli antichi e quelli contemporanei, vengano di nuovo detronizzati e debbano per un po' ritirarsi; che il nostro pionierismo e la disputa a favore del nuovo, come l'intendiamo noi, provochino un'altra disputa. Fintanto che siamo qui, e si pensa di esser sempre nella vera fede, noi non ce ne curiamo. Così la letteratura, quantunque e anzi per il fatto ch'essa è sempre un miscuglio di passato e di ereditato, è sempre ciò che speriamo, ciò che desideriamo e che, togliendola dalla riserva, noi corrediamo secondo i nostri desideri - sicché è un regno aperto in avanti, dai confini ignoti. I nostri desideri fanno sì che tutto ciò che, nel linguaggio, si è già formato, partecipi al contempo di quello che non è stato ancora detto, e il nostro entusiasmo per determinati testi stupendi non è in fondo se non l'entusiasmo per la pagina bianca, non scritta, su cui ciò che vi si può aggiungere sembra anch'esso già riportato. Di ogni grande opera, si tratti del Don Chisciotte o della Divina Commedia, qualcosa per noi è sfiorito, si è disfatto; esiste una carenza che noi stessi eliminiamo col darle, un'occasione favorevole con la nostra lettura di oggi e di domani-, una carenza talmente grande da spingerci a procedere con la letteratura come con un'utopia. In quale imbarazzo, quindi, dovrebbe trovarsi la scienza, dato che non esiste un giudizio obiettivo sulla letteratura ma soltanto un giudizio vivo, vivente, e che questo giudizio ha conseguenze di tal fatta. Nel corso della nostra vita, noi mutiamo il nostro giudizio su un autore spesso parecchie volte. A vent'anni lo liquidiamo con una barzelletta o lo chiamiamo una figurina di gesso, che non ci riguarda; a trenta, ne scopriamo la grandezza, e dieci anni dopo il nostro interesse per lui è spento oppure sono sorti in noi dei dubbi ed una nuova intolleranza. Oppure, all'inverso, lo riteniamo sulle prime un genio, escopriamo più tardi insulsaggini che ci deludono, e lo abbandoBibliotecaGino Bianco niamo. Siamo spietati e privi di riguardi, ma là dove non lo siamo, non ci sentiamo coinvolti. Sempre comunque ci fa comodo avere questo o quello da esemplificare, di un 'epoca o di un'autore, mentre altre cose ci intralciano e dobbiamo toglierle di mezzo con la discussione. Formuliamo citazioni trionfalistiche oppure di condanna, quasi che le opere fossero lì soltanto per dimostrare qualcosa a nostro favore. I successi mutevoli delle opere o i loro insuccessi forniscono, invece, meno prove circa la loro struttura quanto piuttosto circa quella nostra personale e la struttura dell'epoca; ma la storia di tali strutture non l'ha ancora scritta nessuno, mentre si continua a scrivere la storia della letteratura, ed essa viene ordinàta in modo critico-estetico quasi che fosse un documento concluso, messo a disposizione del verdetto unanime dei giurati interessati, cioé i lettori, i critici e gli scienziati. Ma la letteratura è incompiuta, tanto quella antica come quella nuova; è incompiuta più di ogni altro campo - più delle scienze, in cui ogni nuova conoscenza soppianta l'antica -, è incompiuta perché tutto il suo passato fa ressa, si accalca nel presente. Con l'energia ricavata da tutte le epoche essa urge addosso a noi, addosso alla soglia epocale in cui noi ci troviamo, e il suo avanzare con la forza di antiche e di nuove cognizioni ci fa comprendere che nessuna delle sue opere vuol essere datata e resa innocua, ma che esse piuttosto contengono tutte quelle premesse che si sottraggono ad ogni_accordo definitivo e ad ogni collocazione. Tali premesse, che si trovano all'interno delle opere stesse, vorrei qui tentare di chiamarle "utopiche". Qualora da parte delle opere non esistessero anche queste premesse utopiche, allora la letteratura, malgrado la nostra partecipazione, sarebbe un cimitero. Noi avremmo a che fare soltanto con deposizioni di corone. Allora, ad ogni opera ne sarebbe subentrata un'altra a perfezionarla, ciascuna sarebbe stata sotterrata da una successiva. La letteratura, tuttavia, non necessita di un pantheon, essa non se ne intende di morte, né di cielo, né di redenzione, bensì della più ferma intenzione di agire operativamente su ciascun presente, su questo o sul prossimo. Ma la letteratura, sempre la "letteratura" ... La cosa non cambia anche se, diciamo, oggi in Francia compare un libro intitolato A/ittérature contemporaine (Albin Miche!, 1958), il quale tenta di offrire la prova che la letteratura viene evitata dai poeti, che la letteratura o l'essere-dentro-la letteratura è rifiutato dai poeti. Si tratta di sfumature, da assumersi tuttavia un po' diversamente dai sentimentali tentativi tedeschi di separazione tra letteratura e poesia; perché è ben comprensibile ciò che l'autore, Claude Mauriac, intende dire, eppure è irrilevante se un'opera diventi un'opera letteraria perché ha voluto restar "fuori" oppure entrare nella letteratura. L'immagine ideale della a-letteratura ha anch'essa, purtroppo, il suo posto dentro la letteratura, e dice di più sulla attuale attività letteraria, sulla situazione sociale e sulla necessaria rivolta degli artisti che non sulla letteratura stessa: una aletteratura ha luogo all'interno della letteratura. Questa letteratura tuttavia - incapace essa stessa di dire che cosa sia e cui
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