Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

' ILMONDOMARTECASCATO Elsa Morante ffl'aggiando per la città in tranvai, noi tre fratelli vede- ~amo palazzi ricchissimi e giardini chiusi da alte cancellate. Decidemmo di impadronircene, e io per prima ne diedi l'esempio. Un giorno, attirata dalla facciata gialla della Manifattura Tabacchi, gridai: - La Manifattura Tabacchi è mia! - E il Palazzo degli Esami è mio! - rispose il mio fratello maggiore. Allora il mio fratello minore, tremando per l'ansia e affannando in fretta in fretta affermò: - Il Colosseo è mio. Il giorno dopo, il fratello maggiore dichiarò che la piazza del Colosseo gli apparteneva, e questo portò a una zuffa sanguinosa, perché la piazza comprendeva appunto lo stesso Colosseo, che già per diritto era proprietà del fratello minore. Attraverso la mia mediazione, si venne a un accordo, e fu deciso che il mio fratello maggiore avrebbe restituito la piazza del Colosseo, contro la cessione della Piramide di Caio Cestio da parte del mio fratello minore. Da allora, la nostra dichiarazione di proprietà di ogni palazzo o monumento, veniva seguita frettolosamente da ogni uguale dichiarazione per le piazze e strade circostanti. Siccome varie zuffe scoppiarono perché spesso accadeva che uno di noi s'impadronisse di un sito e l'altro urlasse minaccioso: L'ho già detto io, ci avvezzammo a elencare scrupolosamente in un quaderno le nostre proprietà reciproche, facendo precedere ogni elenco dal disegno di una testa di morto. Benissimo. Ma che avvenne alla stagione della villeggiatura quando lasciammo Roma per un villaggio di casupole e di pollai? Per simili proprietà, non era dignitoso di sprecare non dico il fiato, ma nemmeno uno sguardo! Però una sera che sopra di noi si apriva nel suo pieno respiro la volta stellata, l'orgoglio di un'idea magnifica mi gonfiò le vene, e gridai: - Il mondo Marte è mio! - La Luna è mia - soggiunse immediatamente il mio frate!- . lo maggiore. E il mio fratello minore, pallido per lo sforzo, dichiarò: - Il Sole è mio! Così ci impadronimmo pure dell'Orsa e delle stelle e pianeti principali. E qui comincia il mio personale trionfo. Perché se i miei fratelli, più svelti e robusti, possedevano un maggior numero di stelle, neppure tutte le loro stelle riunite, dai lunghi nomi cercati sul!' Atlante, valevano il mondo Marte. Pallidi per l'invidia mi udivano magnificare le qualità del mio possedimento: nel mondo Marte le signore portavano in testa, per cappello, bei giardinetti con piante vere, oppure girandoline che scoppiavano e facevano i fuochi d'artificio; e al collo, in luogo della sciarpa, serpenti a sonagli! Nel mondo Marte i cavalli avevano la criniera fatta di fuoco vero, e il cavaliere, galoppando ci si accendeva la pipa! E là non c'era bisogno di automobili, perché la gente aveva nella pancia un motore d'auto, senza contare un fornelletto per cuocerci le uova e tutto quanto. Inoltre, chiunque, là, puntando semplicemente un dito della mano destra, potva sparare a BibliotecaGino Bianco pallottola come con la pistola. I fratelli cercavano di emularmi, dicendo che nella Luna i gatti comprano il giornale, o che ad Aldebaran le guardie dormono dritte in piedi. Ma sì! Ci vuol altro! Allora i miei fratelli fondarono un'associazione ai miei danni. Con finta indifferenza li vedevo confabulare e lanciarmi occhiate bieche; finché, acquistato un quaderno di cinquanta fogli, si accinsero in collaborazione a un'opera misteriosissima. Nessuno poteva conoscerla né - sia pure - gettarvi uno sguardo; ma dal feroce atteggiamento degli autori, i quali nel compilarla ora arrotavano i denti, ora splancavano gli occhi o mostravano la lingua, ora gettavano imprecazioni spavantevoli, oppure - in disaccordo circa una variante del testo - lottavano furiosi - era chiaro che quel libro doveva contenere segreti terribili. Un giorno, in assenza dei fratelli, io frugai furtivamente nel loro cassetto e avida corsi al quaderno. Era un'opera in vari capitoli dal titolo: li mondo Marte è cascato. E in essa si narrava come, dopo tenebrose congiure, il getto di un semplice sputo da parte del prode Capitano (nel quale si poteva riconoscere il mio fratello maggiore) avesse fatto precipitare il mondo Marte! Il famoso astro s'era affrittellato, i suoi pidocchiosi abitanti (così il crudo libro si esprimeva) erano ridotti a uno zero!. E la proprietaria imprigionata, senza più possessi né in terra né sul firmamento, era condannata a girare le vie con un organetto, ripetendo sempre la seguente canzone: Evviva la Luna e il Sole, evviva tutte le stelle, e i pianeti e gli altri mondi escluso l'ex Mondo Marte! ... Con una risata un po' nervosa io rimasi a posto il libro, non senza averci disegnato sopra una Mano Nera. Da Racconti nuovi, a cura di Dina Rinaldi e Leone Sbrana, Editori Riuniti/Il Pioniere, Roma 1960. Il racconto era accompagnato da una nota biografica _incui si diceva che "fa parte di una serie di ricordi di infanzia, che la Morante scrisse quand'era una giovane ragazza".

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