Linea d'ombra - anno V - n. 18 - maggio 1987

MAGGIO 1987 - NUMERO 18 LIHc. b.UUU ' rivista di storie, immagini, discussioni IL '68 MARCUSEIL '77 LAFIAT:ACQUAPASSATA? UNRACCONTORITROVATODI ELSAMORANTE BACHMANN/ COETZEE/ SAHL/ TSUKIYAMA HANNASEGAL:PSICOANALISICONTROL'ATOMICA

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... !\(/ [}~[ljf }ll:]~]i]J~]~i[[JJ][[i] :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::: l:::l\l \:\:\: . . . . ..... I e e • . .. . . . :-:-:-:-:-:- ({\)(i ·.·.·.·.·.·.· ......... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -:-:-:-:-:- \/(/!/ ......... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ·.·.·.·.·.·.· ......... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ·.·.·.·.·.·.· ·.·.·.·.·.·.· ·.·.·.·.·.·.· ......... . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ·.·.·.·.·.·.· \l:) ......... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ...... . . ....... . . ...... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ' ........ . . . . . . . . ' . . . ...... . . . . . ·.·.·.·.·.·.·.· . . . . ....... ' . . . . ...... . . . . . . ....... . . . . . ...... . . . . . ....... . I • • • • • • • • • • • • • • • • • • •, ~:::::: ::::::::::::: ~.·.·.· ....... . . . . ...... . . . . :.·::. ·: :. ·::.·: :.·: :·:·:·: ~111111 :::l:I .............................................................................. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . :-:•:•:•:•:•:•:•:•:•:•:•······························ ... .·. . .·. . .· . . ... ........................................... : :.: : : : : : :.:.:.:.: . . . . . . . . . . . . .............. . ••: •:•: . :. :•:. :•:. :. :•: Se aveteappenafattounlungoviaggio in treno,o anchesolounbreveattraversamento :. :. :. :. :. :. :. :. :.:. :.:. : . :. :. :. •: •:•:•:•:•:•:•:•:•:-:• della ·città, sappiateche noi questispostamenti li abbiamoprevistianniprimadi voi. . : -:-: . : -: . :-:. :-:. :. :-:-: . : -:-: · • • • • • • • • • • • AnsaldoTrasportiprogettae fornisceveicoli, sistemidi comando,equipaggiamenti · · · · · · · · · · · · · · · · I I I I I I I I I I I I I I I I i I i I i I i:: ~!~~~~~~~~f ~;1 1 ~15~t;r;; I i I i I I 1111 I 1 ! I 111111111 I ···························· ·IANSALDOI: ························.·.······· :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::-............... .-:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::~:~::::::::i .·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·. IRI/FINMECCANICA .·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.·.:•.·.·.·.·.·.·.:•:•.·.· ::rtttt:::t:/ii/!i?iiilli:/:\ \\\ ii:!::i::!I:l::JJ::::::::::

Righe, passione smodata della camicia che resiste nel tempo, snobismo ostentato di portarla senza giacca, o meglio al posto della giacca con tanto di cravatta, larga, disegnata, protagonista. Stampato, passione smodata del vestire femminile, snobismo ostentato di sceglierlo per un abito disadorno, modesto, pudico. E per questo sensuale. BibliotecaGino Bianco Gl()RCIC) 1\R\IA\l

Einaudi GunterGrass LaRatta Una ratta parlante conduce una travolgente requisitoria contro una specie in via di autodistruzione: la nostra. Traduzione di Bruna R. Bianchi. «Supercoralli », pp. 360: L. 30 ooo DarioFo Manualeminimo dell'attore Come faceva a scendere dalle nuvole il deus ex machina? Che cosa è il grammelot? Come si scrive un testo teatrale? Tecniche, esperienze, divagazioni in un libro che è anzitutto un pirotecnico spettacolo di Dario Fo. «Gli struzzi», pp. 374 con 28 ili., L. 18 000 AngeloAra eClaudioMagris Trieste Un'identità difrontiera Il ritratto di una città come luogo della scrittura. Nuova edizione rivista e ampliata. «Gli struzzi», pp. v-216, L. 15 ooo BibliotecaGino Bianco AlcunepoesiediHolderlin tradottedaGianfranco Contini Un quaderno di versioni giovanili che documenta l'incontro, negli anni dell'ermetismo, di un grande critico con un grande lirico « folgorante e frammentario». «Collezione di poesia», pp. 68, L. 5500 MarisaMadieri Verdeacqua Un nuovo scrittore: un libro sui silenzi della vita, sulle sue apparizioni magiche o insensate. « Nuovi Coralli», pp. 150, L. 9000 LaszloMoholy-Nagy PitturaFotografiaFilm Tre mezzi espressivi nell'interpretazione pionieristica di un protagonista dèlla cultura del Novecento. · Un «libro del Bauhaus » fedelmente riprodotto nella sua grafica originale. Presentazfone di Beaumont Newhall. «Saggi», pp. x1v-149, L. 30 ooo GérardGenette Nuovodiscorso delracconto L'autore di Figure traccia il bilancio di un lungo periodo di ricerche in campo narratologico. « Pbe >>, pp. v11-, 46, L. 1 o ooo LucianoGallino L'attoresociale Biologia, culturaeintelligenza artificiale Una teoria del comportamento sociale e delle strategie di sopravvivenza individuale. «Nbse>>, pp. x1v-227, L. 24 ooo FrancoVenturi Settecentoriformatore V.L'Italiadeilumi 1764-1790 Nel nuovo capitolo della grande ricerca di Venturi la rivoluzione di Corsica, le carestie degli anni sessanta, la Lombardia delle riforme. « Biblioteca di cultura storica», pp. xv-857, L. 85 ooo AntonioGramsci L'OrdineNuovo 1919-1920 Gli scritti che documentano uno dei punti piu alti dell'itinerario intellettuale di Gramsci in una nuova edizione che segue un rigoroso ordine cronologico. «Nue», pp. xt-894, L. 50 ooo

Direttore Goffredo Fofi Gruppo redazionale Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Luca Clerici, Pino Corrias, Stefano De Matteis, Bruno,Falcetto, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Maderna, Danilo Manera, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischedda, Roberto Rossi, Franco Serra, Paola Splendore, Gianni Turchet1a, Emanuele Vinassa de Regny, Gianni Volpi. Direzione edi1oriale Lia Sacerdote Progel/o Grafico Andrea Rauch/Graphiti Impaginazione Nino Perrone Ricerche fotografiche Fulvia Farassino Hanno inoltre collaborato a ques10 numero: Pasquale Alferi, Marcella Bassi, Maurizio Bono, Carlo Cavallone, Carlo Cecchi, Camilla Cedcrna, Paola Costa, Giorgio Ferrari, Giovanni Giudici, Pilin Hu11er, Uliano Lucas, Daniele Morante, Stefano Morelli, Grazia Neri, Emanuela Re, Tonino Ricchezza, le associazioni lmernazional Psychoanalysts Against Nuclear Weapons e Psicoanalisti Contro la Distrut1ività Nucleare, Storiestrisce, la segreteria del convegno "l nuovi editori degli anni '80", la casa editrice Einaudi, le librerie Milano Libri e Feltrinelli di Via Manzoni (Milano). Da questo numero i saggi e interventi di carallere scientifico verranno pubblicati con il concorso del "Progetto Cultura Mon1edison". Editore Linea d'Ombra Edizioni srl Fo1ocomposizione e montaggi multiCOMPOS snc Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Famagosta, 75 - Milano Telefono 02/8467545-8464950 Distribuzione nelle librerie POE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Swmpa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (MI) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista di srorie. immagini, discussioni in attesa d'iscrizione presso il tribunale di Milano Diret1ore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo lll/700Jo Numero 18 - Lire 6.000 Abbonamenti Abboname1110 a sei numeri: ITALIA: L. 30.000 da versare a mezzo assegno bancario intestato a Linea d'Ombra Edizioni EUROPA: L. 50.000 ALTRI PAESI: L. 60.000 I manoscrilli 11011 vengono restituiti. Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. BibliotecaGino Bianco LINEA D'OMBRA anno V maggio 1987 numero 18 Sommario APERTURA 4 Herbert Marcuse La società senza opposizione STORIE , 8 61 63 67 68 71 72 Elsa Morante Hans Sah/ Gai/ Tsukiyama Marina Mizzau Delfina Testa Pierluigi Ambrosini Marco Revelli, Pietro Perotti Il mondo Marte è cascato La colpa Il re L'applauso Chiamatemi Abele Alla catena Cronaca di una sconfitta operaia POESIA 25 26 37 37 38 Daniela Margheriti Marina Mariani Giorgio Manacorda Stefano Co/ella Franco Scataglini Non sopportano stratagemmi le mimose · Cancellazione e fine Poesie Ci pensano, di noi stessi... Poesie BOTTEGA - · 20 J.M. Coetzee Michael K non può morire a cura di Tony Morphet DISCUSSIONE 9 14 21 27 29 32 34 63 . lngeborg Bachmann Hanna Segai Alessandro Triulzi Goffredo Foji Marino Sinibaldi Alfonso Berardinelli Mary Sinatra Loretta De Toni Letteratura come utopia li vero crimine è tacere li mondo di Michael K Ci fu una volta il '68 li '77 di Balestrini & C. Essere e non essere americani li complesso di Peter Pan Hans Sahl, l'ultimo esule SCHEDE 82 SAGGI - Peter Gay (F. La Porta), Franco Ruffini (G. Piccioli), Tzvetan Todorov (B. Falcetto), Philippe Lejeune (B. Pischedda). STORIE - Augusto Frassineti (G. Anceschi), Jean Rhys (P. Splendore). POESIA - Jaroslav Seifert (L. Rastello), Carlo Muscetta (N. Ordine). IL CONTESTO 41 95 96 PARLIAMO DI: li suicidio di Primo Levi (G. Cherchi), Sciascia e "Società civile" (V. Consolo), Storia della salute dei lavoratori (G. Bettin), Ernesto Rossi (G. Armoni), La letteratura italiana secondo Enzo Siciliano (G. Turchetla), i piccoli editori (G. Fofi, S. Ferri), Libri per capire l'Africa(F. Gambaro), Francesco Rossetti, artista pugliese (F. Ungaro), Angelo Fiore (S. Mizzi). INCONTRI CON: Wulf Herzogenrath sulla Videoart (K. Davi), Sebastiano Addamo sulle edizioni Tringale (S. Mizzi), Peter Wilhelm (!. Vivan). IL RACCONTO: Un taglio d'abito pesante (A. Goes). RUBRICHE: Musica (R. Striglia), Horror (S. Benni), Cinema (G. Fofi). ANTOLOGIA: Essere famosi non è bello (B. Pasternak). DAI LETTORI: Recensioni e pareri di M. Onorati, F. Dorigo, L. Pagni, V. Vecellio. La copertina di questo numero è di Franco Matticchio (distribuzione Storiestrisce). Libri da leggere Gli autori di questo numero

LASOCIETA' SENZAOPPOSIZIONE Herbert Marcuse [! a minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause rimangono non identificate, non chiarite, non soggette ad attacchi del pubblico, poiché si trovano spinte in secondo piano dinanzi alla troppo ovvia minaccia dall'esterno - l'Ovest minacciato dall'Est, l'Est minacciato dall'Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull'orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione, al perfezionamento dello spreco, ad essere educati per una difesa che deforma i difensori e ciò che essi difendono. Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo. La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell'uomo sulla natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano po- .che difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione. E tuttavia questa società è, nell'insieme, irrazionale. La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l'esistenza - individuale, nazionale e internazionale. Questa repressione, così differente da quella che caratterizzava gli stadi precedenti, meno sviluppati, della nostra società, opera oggi non da una posizione di immaturità naturale e tecnica, ma piuttosto da una posizione di forza. Le capacità (intellettuali e materiali) della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull'individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata. La nostra società si distingue in quanto sa domare le forze sociali centrifughe a mezzo della Tecnologia piuttosto che a mezzo del Terrore, sulla duplice base di una efficienza schiacciante e di un più elevato livello di vita. Indagare quali sono le radici di questo sviluppo ed esaminare le loro alternative storiche rientra negli scopi di una teoria critica della società contemporanea, teoria che analizza la società alla luce delle capacità che essa usa o non usa, o di cui abusa, per migliorare la condizione umana. Ma quali sono i criteri di una critica del genere? Manichini usati durante un esperimento atomico nel Nevada (fpfab: Loopis Dean~ife 1955)-,.. 01 101ecal:Jmotjlanco In essa hanno certamente parte dei giudizi di valore. Il modo vigente di organizzare una società è posto a confronto con altri modi possibili, che si ritiene offrano migliori opportunità per alleviare la lotta dell'uomo per l'esistenza: una specifica pratica storica è posta a confronto con le sue alternative storiche. Sin dall'inizio ogni teoria critica della società si trova così dinanzi al problema dell'obiettività storica, problema che sorge nei due punti in cui l'analisi implica giudizi di valore: 1) Il giudizio che la vita umana è degna di essere vissuta, o meglio che può e dovrebbe essere resa degna di essere vissuta. Questo giudizio è sotteso ad ogni sforzo, ad ogni impresa intellettuale; esso è un a priori della teoria sociale, e quando lo si rigetti (ciò che è perfettamente logico) si rigetta pure la teoria. 2) Il giudizio che in una data società esistono possibilità specifiche per migliorare la vita umana e modi e mezzi specifici per realizzare codeste possibilità. L'analisi critica deve dimostrare la validità obbiettiva di questi giudizi e la dimostrazione deve procedere su basi empiriche. La società costituita dispone di risorse intellettuali e materiali in quantità e qualità misurabili . In che modo queste risorse possono venire usate per lo sviluppo e soddisfazioni ottimali di bisogni e facoltà individuali, con il minimo di fatica e di pena? La teoria sociale è una teoria della storia e la storia è il regno della possibilità nel regno della necessità. Di conseguenza dobbiamo chiederci quali sono, tra i vari modi potenziali e reali di organizzare ed utilizzare le risorse disponibili, quelli che offrono le maggiori possibilità per uno sviluppo ottimale. D I tentativo di rispondere a queste domande richiede, all'inizio, una serie di astrazioni. Al fine di identificare e definire le possibilità esistenti per uno sviluppo ottimale, la teoria critica deve astrarre dal modo in cui esse sono organizzate e utilizzate al presente, nonché dai risultati di questo modo di organizzarle e utilizzarle. Tale astrazione, che rifiuta di accettare l'universo dato dei fatti come il contesto decisivo per la validazione, tale analisi «trascendente» dei fatti, condotta alla luce delle loro possibilità arrestate e negate, pertiene alla struttura stessa della teoria sociale. Essa si oppone ad ogni metafisica in virtù del carattere rigorosamente storico della trascendenza. [Qui e in seguito i termini «trascendere» e «trascendenza» sono usati regolarmente nel senso empirico, critico: essi designano tendenze teoriche e pratiche che, in una data società, «vanno oltre» l'universo costituito di discorso e d'azione, in direzione delle alternative storiche di questo (le sue possibilità reali)]. Le «possibilità» debbono essere alla portata della società considerata; debbono essere scopi definibili in termini pratici. Nello stesso senso l'astrazione dalle istruzioni vigenti deve esprimere una tendenza reale, in quanto la loro trasformazione deve corrispondere ad un bisogno autentico della popolazione interessata. La teoria sociale riguarda le alterna-

6 APERTURA tive storiche che assillano la società costituita come tendenze e forze sovversive. I valori annessi alle alternative diventano f~tti quando sono tradotti in realtà dalla pratica storica. I concetti teorici sono portati a compimento con il mutamento sociale. Ma a questo punto la società industriale avanzata pone dinanzi alla critica una situazione che sembra privare quest'ultima delle sue stesse basi. Il progresso tecnico esteso a tutto un sistema di dominio e di coordinazione crea forme di vita e di potere che appaiono conciliare le forze che si oppongono al sistema, e sconfiggere o confutare ogni protesta formulata in nome delle prospettive storiche di libertà dalla fatica e dal dominio. La società contemporanea sembra capace di contenere il mutamento sociale, inteso come mutamento qualitativo che porterebbe a stabilire istituzioni essenzialmente diverse, imprimerebbe una nuova direzione al processo produttivo e introdurrebbe nuovi modi di esistenza per l'uomo. Questa capacità di contenere il mutamento sociale è forse il successo più caratteristico della società industriale avanzata; l'accettazione generale dello scopo nazionale, le misure politiche avallate da tutti i partiti, il declino del pluralismo, la connivenza del mondo degli affari e dei sindacati entro lo stato forte, sono altrettante testimonianze di quell'integrazione degli opposti che è al tempo stesso il risultato, non meno che il requisito, di tale successo. Un breve confronto tra lo stadio formativo della teoria della società industriale e la sua situazione presente può contribuire a mostrare come le basi della critica siano state alterate .. All'origine, nella prima metà dell'Ottocento, quando elaborò i primi concetti di un'alternativa, la critica della società industriale pervenne alla concretezza in una mediazione storica tra teoria e pratica, valori e fatti, bisogni e scopi. Questa mediàzione storica ebbe luogo nella coscienza e nell'azione politica delle due grandi classi che si fronteggiavano nella società: la borghesia e il proletariato. Nel mondo capitalista esse sono ancora le classi fondamentali; tuttavia Io sviluppo capitalista ha alterato la struttura e la funzione di queste due classi in modo tale che esse non appaiono più essere agenti di trasformazione storica. Un interesse prepotente per la conservazione ed il miglioramento dello status quo istituzionale unisce gli antagonisti d'un tempo nelle aree più avanzate della società contemporanea. E nella misura in cui il progresso tecnico assicura Io sviluppo e la coesione della società comunista, l'idea stessa di un mutamento qualitativo passa in secondo piano dinanzi alla nozione realistica di una evoluzione non-esplosiva. Nell'impossibilità di indicare in concreto quali agenti ed enti di mutamento sociale sono disponibili, la critica è costretta ad arretrare verso un alto livello di astrazione. Non v'è alcun terreno su cui la teoria e la pratica, il pensiero e l'azione si incontrino. Persino l'analisi strettamente empirica delle alternative storiche sembra essere una speculazione irrealistica, e il farle proprie sembra essere un fatto di preferenza personale (o di gruppo). Ma l'assenza di agenti di mutamento confuta forse la teoria? Dinanzi a fatti apparentemente contraddittori, l'analisi critica continua ad insistere che il bisogno di un mutamento quaBibliotecaGino Bianco litativo non è mai stato così urgente. Ma chi ne ha bisogno? La risposta è pur sempre la stessa: è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri. L'unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione; la politica condotta sull'orlo dell'annientamento; la resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti costituiscono la più imparziale delle accuse, anche se non sono la raison d'étre di questa società ma solamente il suo sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di sviluppo, è essa stessa irrazionale. Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall'interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di «distribuire dei beni» su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell'uomo. Posto dinanzi al carattere totale delle realizzazioni della società industriale avanzata, la teoria critica si trova priva di argomenti razionali per trascendere la società stessa. Il vuoto giunge a svuotare la stessa struttura della teoria, posto che le categorie di una teoria sociale critica sono state sviluppate nel periodo in cui il bisogno di respingere e sovvertire era incorporato nell'azione di forze sociali efficaci. Tali categorie erano in essenza dei concetti negativi, dei concetti d'opposizione, i quali definivano le contraddizioni realmente esistenti nella società europea dell'Ottocento. Perfino la categoria «società» esprimeva l'acuto conflitto esistente tra la sfera sociale e quella politica - la società era antagonista rispetto allo Stato. Del pari, termini come individuo, classe, privato, famiglia, denotavano sfere e forze non ancora integrate con le condizioni vigenti, erano sfere di tensione e di contraddizione. Con la crescente integrazionedella società industriale, queste categorie vanno perdendo la loro connotazione critica e tendono a diventare termini descrittivi, ingannevoli od operativi. Un tentativo di riprendere l'intento critico di queste categorie, e di comprendere come l'intento sia stato soppresso dalla realtà sociale, si configura in partenza come una regressione da una teoria congiunta con la pratica storica ad un pensiero astratto, speculativo: dalla critica dell'economia politica alla filosofia. Tale carattere ideologico della critica deriva dal fatto che l'analisi è costretta a procedere da una posizione «esterna» rispetto alla tende11zepositive come a quelle negative, alle tendenze produttive come a quelle distruttive nella società. La società industriale moderna rappresenta l'identità diffusa:di questi opposti - è il tutto che è in questione. Al tempo stesso la teoria non può assumere una posizione veramente speculativa; deve

essere una posizione storica, nel senso che deve essere fondata sulle capacità di una data società. Questa situazione ambigua implica una ambiguità ancora più fondamentale. L'uomo a una dimensione oscillerà da capo a fondo tra due ipotesi contraddittorie: 1) che la società industriale avanzata sia capace di reprimere ogni mutamento qualitativo per il futuro che si può prevedere; 2) che esistano oggi forze e tendenze capaci di interrompere tale operazione repressiva e fare esplodere la società. Io non credo si possa dare una risposta netta; ambedue le tendenze sono tra noi, fianco a fianco, ed anzi avviene che una includa l'altra. La prima tendenza predomina e qualsiasi condizione possa darsi per rovesciare la situazione viene usata per impedire che ciò avvenga. La situazione potrebbe essere modificata da un incidente, ma, a meno che il riconoscimento di quanto viene fatto e di quanto viene impedito sovverta la coscienza e il comportamento dell'uomo, nemmeno una catastrofe produrrà il mutamento. rm analisi affrontata in L'uomo a una dimensione è cen- 1.;1 trata sulla società industriale avanzata, in cui l'apparato tecnico di produzione e di distribuzione (con un settore sempre più ampio in cui predomina l'automazione) funziona non come la somma di semplici strumenti, che possono essere isolati dai loro effetti sociali e politici, ma piuttosto come un sistema che determina a priori il prodotto dell'apparato non meno che le operazioni necessarie per alimentarlo ed espanderlo. In questa società l'apparato produttivo tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tal modo esso dissolve l'opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica, tra i bisogni individuali e quelli sociali. La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli. La tendenza totalitaria di questi controlli sembra affermarsi in un altro senso ancora - diffondendosi nelle aree meno sviluppate e persino nelle aree preindustriali del mondo, creando aspetti simili nello sviluppo del capitalismo e del comunismo. Di fronte ai tratti totalitari di questa società, la nozione tradizionale della «neutralità» della tecnologia non può più essere sostenuta. La tecnologia come tale non può essere isolata dall'uso cui è adibita; la società tecnologica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate. Il modo in cui una società organizza la vita dei suoi membri comporta una scelta iniziale tra alternative storiche che sono determinate dal livello preesistente della cultura materiale ed intellettuale. La scelta stessa deriva dal gioco degli interessi dominanti. Essa prefigura modi specifici di trasformare e utilizzare l'uomo e la natura e respinge gli altri modi. È un «progetto»· di realizzazione tra altri. Ma una volta che il progetto è diventato operativo nelle istituzioni e relazioni di base, esso tende a diventare esclusivo e a determinare lo sviluppo della società come un tutto. Come universo tecnologico, la società BibliotecaGino Bianco APERTURA 7 industriale avanzata è un universo politico, l'ultimo stadio della realizzazione di un progetto storico specifico, vale a dire l'esperienza, la trasformazione, l'organizzazione della natura come un mero oggetto di dominio. Via via che il progetto si dispiega, esso plasma l'intero universo del discorso e dell'azione, della cultura intellettuale e di quella materiale. Entro il medium costituito dalla tecnologia, la cultura, la politica e l'economia si fondono in un sistema onnipresente che assorbe o respinge tutte le alternative. La produttività e il potenziale di sviluppo di questo sistema stabilizzano la società e limitano il progresso tecnico mantenendolo entro il quadro del dominio. La razionalità tecnologica è divenuta razionalità politica. (traduzione di Luciano Gallino e Tilde Ciani Gallino) Questa è la prefazione a L'uomo a una dimensione, Copyright H. Marcuse 1964 e per l'edizione Italiana Giulio Einaudi editore, 1967, che ringraziamo. RaymondCarver Di cosaparliamo q_1fandoparliamo àamore Per questi racconti David Leavitt, Susan Minot, JayMclnemey lo chiamano maestro

' ILMONDOMARTECASCATO Elsa Morante ffl'aggiando per la città in tranvai, noi tre fratelli vede- ~amo palazzi ricchissimi e giardini chiusi da alte cancellate. Decidemmo di impadronircene, e io per prima ne diedi l'esempio. Un giorno, attirata dalla facciata gialla della Manifattura Tabacchi, gridai: - La Manifattura Tabacchi è mia! - E il Palazzo degli Esami è mio! - rispose il mio fratello maggiore. Allora il mio fratello minore, tremando per l'ansia e affannando in fretta in fretta affermò: - Il Colosseo è mio. Il giorno dopo, il fratello maggiore dichiarò che la piazza del Colosseo gli apparteneva, e questo portò a una zuffa sanguinosa, perché la piazza comprendeva appunto lo stesso Colosseo, che già per diritto era proprietà del fratello minore. Attraverso la mia mediazione, si venne a un accordo, e fu deciso che il mio fratello maggiore avrebbe restituito la piazza del Colosseo, contro la cessione della Piramide di Caio Cestio da parte del mio fratello minore. Da allora, la nostra dichiarazione di proprietà di ogni palazzo o monumento, veniva seguita frettolosamente da ogni uguale dichiarazione per le piazze e strade circostanti. Siccome varie zuffe scoppiarono perché spesso accadeva che uno di noi s'impadronisse di un sito e l'altro urlasse minaccioso: L'ho già detto io, ci avvezzammo a elencare scrupolosamente in un quaderno le nostre proprietà reciproche, facendo precedere ogni elenco dal disegno di una testa di morto. Benissimo. Ma che avvenne alla stagione della villeggiatura quando lasciammo Roma per un villaggio di casupole e di pollai? Per simili proprietà, non era dignitoso di sprecare non dico il fiato, ma nemmeno uno sguardo! Però una sera che sopra di noi si apriva nel suo pieno respiro la volta stellata, l'orgoglio di un'idea magnifica mi gonfiò le vene, e gridai: - Il mondo Marte è mio! - La Luna è mia - soggiunse immediatamente il mio frate!- . lo maggiore. E il mio fratello minore, pallido per lo sforzo, dichiarò: - Il Sole è mio! Così ci impadronimmo pure dell'Orsa e delle stelle e pianeti principali. E qui comincia il mio personale trionfo. Perché se i miei fratelli, più svelti e robusti, possedevano un maggior numero di stelle, neppure tutte le loro stelle riunite, dai lunghi nomi cercati sul!' Atlante, valevano il mondo Marte. Pallidi per l'invidia mi udivano magnificare le qualità del mio possedimento: nel mondo Marte le signore portavano in testa, per cappello, bei giardinetti con piante vere, oppure girandoline che scoppiavano e facevano i fuochi d'artificio; e al collo, in luogo della sciarpa, serpenti a sonagli! Nel mondo Marte i cavalli avevano la criniera fatta di fuoco vero, e il cavaliere, galoppando ci si accendeva la pipa! E là non c'era bisogno di automobili, perché la gente aveva nella pancia un motore d'auto, senza contare un fornelletto per cuocerci le uova e tutto quanto. Inoltre, chiunque, là, puntando semplicemente un dito della mano destra, potva sparare a BibliotecaGino Bianco pallottola come con la pistola. I fratelli cercavano di emularmi, dicendo che nella Luna i gatti comprano il giornale, o che ad Aldebaran le guardie dormono dritte in piedi. Ma sì! Ci vuol altro! Allora i miei fratelli fondarono un'associazione ai miei danni. Con finta indifferenza li vedevo confabulare e lanciarmi occhiate bieche; finché, acquistato un quaderno di cinquanta fogli, si accinsero in collaborazione a un'opera misteriosissima. Nessuno poteva conoscerla né - sia pure - gettarvi uno sguardo; ma dal feroce atteggiamento degli autori, i quali nel compilarla ora arrotavano i denti, ora splancavano gli occhi o mostravano la lingua, ora gettavano imprecazioni spavantevoli, oppure - in disaccordo circa una variante del testo - lottavano furiosi - era chiaro che quel libro doveva contenere segreti terribili. Un giorno, in assenza dei fratelli, io frugai furtivamente nel loro cassetto e avida corsi al quaderno. Era un'opera in vari capitoli dal titolo: li mondo Marte è cascato. E in essa si narrava come, dopo tenebrose congiure, il getto di un semplice sputo da parte del prode Capitano (nel quale si poteva riconoscere il mio fratello maggiore) avesse fatto precipitare il mondo Marte! Il famoso astro s'era affrittellato, i suoi pidocchiosi abitanti (così il crudo libro si esprimeva) erano ridotti a uno zero!. E la proprietaria imprigionata, senza più possessi né in terra né sul firmamento, era condannata a girare le vie con un organetto, ripetendo sempre la seguente canzone: Evviva la Luna e il Sole, evviva tutte le stelle, e i pianeti e gli altri mondi escluso l'ex Mondo Marte! ... Con una risata un po' nervosa io rimasi a posto il libro, non senza averci disegnato sopra una Mano Nera. Da Racconti nuovi, a cura di Dina Rinaldi e Leone Sbrana, Editori Riuniti/Il Pioniere, Roma 1960. Il racconto era accompagnato da una nota biografica _incui si diceva che "fa parte di una serie di ricordi di infanzia, che la Morante scrisse quand'era una giovane ragazza".

LEffERATURA COMEUTOPIA Ingeborg Bachmann Con questa conferenza, pronunziata nell'aprile 1960 alla GoetheUniversitiit di Francoforte s.M., la scrittrice austriaca lngeborg Bachmann (Klagenfurt 1926 - Roma 1973) la cui produzione di liriche, romanzi e racconti è ormai quasi interamente accessibileal lettore italiano, concludeva il ciclo di lezioni alla nuova cattedra di Poetica, da allora sempre frequentatissima da parte di scrittori e poeti tedeschi. li titolo è - per sua dichiarazione - desunto dai diari del connazionale e concittadino Robert Musi/, a cui personalmente, come indirizzo e tematica, la Bachmann molto deve e intensamente ha guardato nella sua attività e produzione. li piglio estremamente combattivo, il tono provocatorio e di ampio respiro rivelano ancora una volta le caratteristiche specifiche di questa scrittrice, tra le voci poetiche di lingua tedesca una delle più amate e note in Italia negli ultimi decenni. Al di là di talune ovvietà e forzature polemiche, si manifesta in particolare il temperamento fortemente speculativo di questa discepola di Heidegger e di Wittgenstein; anche si nota, in un testo dichiarativo di ventisette anni fa, non solo l'aderenza ai problemi critico lei/erari del tempo ma la volontà d'incrementare e indirizzare quei fermenti e temi che, soprattutto col piccolo, densissimo corpus di liriche degli anni cinquanta (Il tempo dilazionato, 1953, e Invocazione all'Orsa Maggiore, 1956), la Bachmann fin dagli inizi aveva gettato sul tappeto e che sono da considerare l'apporto più valido in assoluto della sua allività di scrillrice tedesco-occidentale. Di Jngeborg Bachmann sono disponibili in italiano il radiodramma Il buon Dio di Manhattan (li Saggiatore 1961), i racconti Il trentesimo anno (Feltrinelli 1962e Ade/phi 1985), i racconti Tre sentieri per il lago (Adelphi 1980)il saggio Luogo eventuale (1981) il romanzo Malina (Adelphi 1973 e 1987) e le Poesie (Guanda 1978 e 1987). (M.T.M.) ~ ignore e signori, non è trascorso molto terripo da quan- ~ do io stessa stavo seduta in un'aula sopra una panca, certo non per ascoltare discorsi sulla letteratura - e quel poco che incidentalmente a tratti ne udivo, non ha fatto che accrescere in quel tempo la mia ripugnanza: in un tempo, si badi, in cui Io scrivere, per una persona giovane che scrive e che non vuol fare altro che scrivere, stava già da un pezzo al centro d'ogni pensiero e speranza. L'avversione contro la letteratura, quale è trattata dalla scienza, sarà magari stata una stoltezza fra le altre. Che però lo studio della letteratura non sia necessario e risulti irrilevante per uno scrittore, loro già lo sanno, e sanno pure che1commercianti e vagabondi, medici ed ergastolani, ingegneri, dandy, giornalisti, anzi finanche professori, sono in essa pervenuti ad una certa considerazione. Sempre questa infausta parola "letteratura", questa designazione dalla larga disponibilità, per una faccenda apparentemente limpida, non solo rigirata e adoperata dalla scienzama valida anche per gli scrittori e fra le più importanti, pur se talvolta accadrà che la usino spavaldamente a modo loro. Sicuro è il fatto che il non venire annoverati come facenti parte della letteratura, o non esserlo più un giorno, è per lo scrittore una idea tremenda, pari ad una condanna a morte. Senza confessarlo, egli si adopera incessantemente di appartenere alla categoria "letteratura", e quand'anche non gli venga data mai notizia se gli sarà consentito di durare in tale concessione - egli lo spera tuttavia, né rinuncia mai ad una tale speranza. Che cosa s'intenda con questa parola-chiave, quali siano BibliotecaGino Bianco le sue aperture, su quale regno spalanchi la nostra visuale, su questo - penso proprio - bisognerebbe intendersi. Si sa bene che cosa sia, la letteratura tedesca ad esempio o quella europea, e la letteratura universale. Per un momento, cerchiamo di prescindere dal fatto che nei paesi tedeschi si è inclini ad usare i termini "letteratura" e "letterario" come concetti spregevoli e circoscritti o persino come insulti (con il termine "letterato" il deprezzamento è davvero quasi riuscito!), e dal fatto che qui da noi si dica: Questo non è che letteratura! Ma questo è letterario! Qui, si ama di più il "poetico", il "creativo", "poesia" e "creazione"; ma poiché a sua volta l'uso di tali termini viene incentivato da impulsi tanto scadenti, preferirei lasciarloda parte e arroccarmi invece sul termine letteratura in quanto designazione di una cosa. Ma di quale cosa? - Forse che la letteratura è la somma di tutte le opere e per giunta la somma di tutti coloro che tali opere hanno lasciato? Di quali opere? - Soltanto di quelle eccellenti? Giudicate eccellentida chi? Di quali personalità? Solo di quelle le cui opere si siano conservate, e conservate per chi? E quello e colui ch'è entrato nella letteratura, vi si trova in modo inamovibile?Questo tesoro, questa cosiddetta riserva di eterna poesia, che la storia della letteratura custodisce e amministra con ta.nto zelo, è poi degna di tale pietà e di tale ininterrotto incanto? Questi lingotti d'oro dello spirito umano sono poi tutti autentici, non se ne annerisce mai qualcuno e non avviene che taluno a volte acquisti un suono un po' vuoto? E ciò ch'è d'oro, non è sottoposto alle più incredibilioscillazionivalutarie? - I loro insegnanti potranno raccontar loro meglio quante volte Goethe, quante volte Schiller siano stati detronizzati, quali crolli abbiano subito i romantici, i naturalisti, i simbolisti. Quante volte un autore è stato disprezzato, poi di nuovo celebrato, dimenticato e poi di nuovo risuscitato - quali opere dei "maestri" sono state smisuratamente lodate oppure trascurate oltre misura. E noi stessi, noi ci troviamo proprio al centro del processo: noi disprezziamo, conferiamo nuovo valore, trattiamo la letteratura da un lato come una faccenda immutabile e al contempo la manipoliamo fino al punto da renderla simile ad un ideale. Una catena d'indizi, peraltro, si pronunzia in favore dell'esistenza della letteratura. Prendiamo un po', ad esempio, quella tedesca - ma ecco che già c'impuntiamo, quantunque in ogni manuale stia scritto: dalle formule magiche di Merseburg fino - già, fino a che cosa? Ci impuntiamo perché sentiamo anche dire che noi, a guardar bene, non possediamo una letteratura, non una letteratura continuativa, essa vien detta priva di tradizione e sembra sia la meno adatta per l'osservazione e la percezione di ciò che s'intende per letteratura. Se la si paragona a quella francese, a quella inglese, comunque. In ciò molto vi è di giusto, finché non si abbandoni il comune modo di pensare. Ma ove ci si ponga ad una diversa distanza, non è più possibile riconoscere perché quella francese o qualsiasi altra letteratura debba corrispondere a ciò che s'intende per letteratura. Infatti, che cosa s'intende per letteratura? È un'immagine ideale che ci si va aggiustando e assestando, in cui si lasciano sussistere dei fatti e se ne espungono altri. Guardiamoci un po' intorno, oggi, tra le opinioni, le de-

10 DISCUSSIONE/BACHMANN finizioni. Vi si possono fare esperienze singolari ogni giorno, discorrendo con amici ad esempio. In un discorso sulla pittura, diciamo, potranno udire i nomi di Giotto, Kandinsky, Pollock, ma in quel medesimo discorso cj si guarderà bene dal nominare con lo stesso tono Raffaello. Quando sono ospiti e si mettono in cerca di dischi, potranno trovare rappresentato Bach, un po' di musica barocca, Schonberg e Webern; Caikowskj sarà difficile trovarlo nell'assortimento. Nei discorsi sulla letteratura, in cui si voglia far buona figura, è possibile sentire dichiarazioni su Joyce e Faulkner, Omero e Cicerone, ma ai nomi come Eichendorff o Stifter è probabile squilli già il campanello d'allarme. Non si tratta qui di battute inventate: ne siamo testimoni giornalmente e vi collaboriamo noi stessi. Perché, mentre da un lato s'incrementa una cura monumentale ufficiale, che renda universale giustizia, ufficiosamente poi regna invece un terrorismo che mette al bando per un certo tempo parti intere della letteratura e di qualsiasi arte. Un tale terrorismo è sempre esistito, ed è pressoché inutile cercare di veder chiaro in proposito: noi stessi lo esercitiamo per necessità, il piacere per una certa parte della letteratura condiziona il rifiuto dell'altra, con tale ingiustizia noi le manteniamo in vita, orientandole secondo un'immagine ideale. Ed è assolutamente concepibile che, in un tempo non lontano, i nostri idoli, quelli antichi e quelli contemporanei, vengano di nuovo detronizzati e debbano per un po' ritirarsi; che il nostro pionierismo e la disputa a favore del nuovo, come l'intendiamo noi, provochino un'altra disputa. Fintanto che siamo qui, e si pensa di esser sempre nella vera fede, noi non ce ne curiamo. Così la letteratura, quantunque e anzi per il fatto ch'essa è sempre un miscuglio di passato e di ereditato, è sempre ciò che speriamo, ciò che desideriamo e che, togliendola dalla riserva, noi corrediamo secondo i nostri desideri - sicché è un regno aperto in avanti, dai confini ignoti. I nostri desideri fanno sì che tutto ciò che, nel linguaggio, si è già formato, partecipi al contempo di quello che non è stato ancora detto, e il nostro entusiasmo per determinati testi stupendi non è in fondo se non l'entusiasmo per la pagina bianca, non scritta, su cui ciò che vi si può aggiungere sembra anch'esso già riportato. Di ogni grande opera, si tratti del Don Chisciotte o della Divina Commedia, qualcosa per noi è sfiorito, si è disfatto; esiste una carenza che noi stessi eliminiamo col darle, un'occasione favorevole con la nostra lettura di oggi e di domani-, una carenza talmente grande da spingerci a procedere con la letteratura come con un'utopia. In quale imbarazzo, quindi, dovrebbe trovarsi la scienza, dato che non esiste un giudizio obiettivo sulla letteratura ma soltanto un giudizio vivo, vivente, e che questo giudizio ha conseguenze di tal fatta. Nel corso della nostra vita, noi mutiamo il nostro giudizio su un autore spesso parecchie volte. A vent'anni lo liquidiamo con una barzelletta o lo chiamiamo una figurina di gesso, che non ci riguarda; a trenta, ne scopriamo la grandezza, e dieci anni dopo il nostro interesse per lui è spento oppure sono sorti in noi dei dubbi ed una nuova intolleranza. Oppure, all'inverso, lo riteniamo sulle prime un genio, escopriamo più tardi insulsaggini che ci deludono, e lo abbandoBibliotecaGino Bianco niamo. Siamo spietati e privi di riguardi, ma là dove non lo siamo, non ci sentiamo coinvolti. Sempre comunque ci fa comodo avere questo o quello da esemplificare, di un 'epoca o di un'autore, mentre altre cose ci intralciano e dobbiamo toglierle di mezzo con la discussione. Formuliamo citazioni trionfalistiche oppure di condanna, quasi che le opere fossero lì soltanto per dimostrare qualcosa a nostro favore. I successi mutevoli delle opere o i loro insuccessi forniscono, invece, meno prove circa la loro struttura quanto piuttosto circa quella nostra personale e la struttura dell'epoca; ma la storia di tali strutture non l'ha ancora scritta nessuno, mentre si continua a scrivere la storia della letteratura, ed essa viene ordinàta in modo critico-estetico quasi che fosse un documento concluso, messo a disposizione del verdetto unanime dei giurati interessati, cioé i lettori, i critici e gli scienziati. Ma la letteratura è incompiuta, tanto quella antica come quella nuova; è incompiuta più di ogni altro campo - più delle scienze, in cui ogni nuova conoscenza soppianta l'antica -, è incompiuta perché tutto il suo passato fa ressa, si accalca nel presente. Con l'energia ricavata da tutte le epoche essa urge addosso a noi, addosso alla soglia epocale in cui noi ci troviamo, e il suo avanzare con la forza di antiche e di nuove cognizioni ci fa comprendere che nessuna delle sue opere vuol essere datata e resa innocua, ma che esse piuttosto contengono tutte quelle premesse che si sottraggono ad ogni_accordo definitivo e ad ogni collocazione. Tali premesse, che si trovano all'interno delle opere stesse, vorrei qui tentare di chiamarle "utopiche". Qualora da parte delle opere non esistessero anche queste premesse utopiche, allora la letteratura, malgrado la nostra partecipazione, sarebbe un cimitero. Noi avremmo a che fare soltanto con deposizioni di corone. Allora, ad ogni opera ne sarebbe subentrata un'altra a perfezionarla, ciascuna sarebbe stata sotterrata da una successiva. La letteratura, tuttavia, non necessita di un pantheon, essa non se ne intende di morte, né di cielo, né di redenzione, bensì della più ferma intenzione di agire operativamente su ciascun presente, su questo o sul prossimo. Ma la letteratura, sempre la "letteratura" ... La cosa non cambia anche se, diciamo, oggi in Francia compare un libro intitolato A/ittérature contemporaine (Albin Miche!, 1958), il quale tenta di offrire la prova che la letteratura viene evitata dai poeti, che la letteratura o l'essere-dentro-la letteratura è rifiutato dai poeti. Si tratta di sfumature, da assumersi tuttavia un po' diversamente dai sentimentali tentativi tedeschi di separazione tra letteratura e poesia; perché è ben comprensibile ciò che l'autore, Claude Mauriac, intende dire, eppure è irrilevante se un'opera diventi un'opera letteraria perché ha voluto restar "fuori" oppure entrare nella letteratura. L'immagine ideale della a-letteratura ha anch'essa, purtroppo, il suo posto dentro la letteratura, e dice di più sulla attuale attività letteraria, sulla situazione sociale e sulla necessaria rivolta degli artisti che non sulla letteratura stessa: una aletteratura ha luogo all'interno della letteratura. Questa letteratura tuttavia - incapace essa stessa di dire che cosa sia e cui

continuamente si suggerisce che cosa sia e cosa debba essere - come può venire afferrata, quale può esserne l'approccio? Si potrebbe forse tentare con un giro vizioso, che subito rivela una dozzina di strade sbagliate. Esiste quel romanzo malvagio di Flaubert, Bouvard e Pécuchet,. e nell'avventura con la letteratura dei due scriventi assetati di sapere è insito anche il grottesco della nostra avventura con essa. Bouvard e Pécuchet, i due bonhommes, sono avidi di certezze, e la scoperta dell'incertezza della conoscenza umana rende ridicoli non soltanto quei due ma anche noi, loro compagni di sventura. Perché nella tragicommedia in cui si muovono Bouvard e Pécuchet è rappresentata anche la tragicommedia della scienza. Dato che non se la cavano con la semplice lettura delle opere, cercano rifugio nella scienza, che deve condurli sulla giusta via. Pécuchet ebbe una buona idea: Tutta la difficoltà consisteva soltanto nella loro ignoranza delle regole. Ed essi studiarono la Pratique du Théfllre di d'Aubignac e altre opere, meno invecchiate. Si pongono qui delle questioni importanti: se siano ammessi i versi per la commedia; se la tragedia non travalichi i propri limiti qualora assuma la propria trama dalla storia moderna; se agli eroi sia concesso essere virtuosi; quali specie di delitti siano ammissibili; fino a qual grado sia concesso l'orrore; tutti i particolari debbono mirare ad un solo scopo e così accrescere l'interesse; il finale deve corrispondere all'inizio, naturalmente! 'Inventate mezzi che .possano avvincermi', dice Boileau. Ma come si fa ad inventare tali mezzi? 'In tutti i vostri discorsi la passione eccitata deve cercare il cuore, scaldarlo e commuoverlo'. Ma come si fa a scaldare il cuore? Le sole regole quindi non bastano: non si può fare a meno del genio. Ma anche il genio non basta. Secondo il parere dell'Académie Française, Corneille non capisce nulla di teatro. Geoffroy ha denigrato Voltaire. Racine è stato schernito da Subligny. Le Harpe sbuffava quando si menzionava Shakespeare. La critica antica li disgustava. E ancora: ... 'Dapprima ci occuperemo della prosa', disse Bouvard. 'Si raccomandano anzitutto i classici. È su di essi che ci si deve formare. Peraltro, anch'essi hanno tutti i loro difetti, hanno trasgreditonon soltanto lo stile ma anche il linguaggio.' Una considerazione del genere non mancò di fare impressione su Bouvard e Pécuchet,ed essicominciaronoa studiare la grammatica.( ...) L'umanità è vano cercarla nei grammatici. Ciò che gli uni dichiarano esatto, gli altri lo ritengono errato. Da un lato, essi ammettono principi delle cui conseguenze nulla vogliono sapere, e dall'altro proclamano conseguenze di cui respingono i principi; s'appoggiano alla tradizione, respingono i maestri ed hanno tutti cavilli singolari... Sicché, giunsero poi a questa conclusione: la sintassi è fantasia e la grammatica illusione. Ma la scienza chiamata estetica avrebbe forse risolto la loro disputa. Un amico... , professore di filosofia, inviò loro un elenco di libri, che trattavano di questa materia. Ciascuno si mise a lavorare per conto proprio, e si scambiarono le loro idee. BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONEIBACHMANN Che cos'è, anzitutto, il bello? Per Schellingè l'infinito, che trova espressionenel finito, per Reid una qualità segreta; per Jouffroy qualcosa di non scomponibile, per De Maistre ciò che piace alla virtù; per il padre André ciò ch'è ragionevole. Esistono dunque parecchie specie di bello.... Si occuparono poi di ciò ch'è elevato. Determinate cose sono di per se stesse elevate: lo scroscio del ruscello, la tenebra profonda, un albero stroncato dalla tempesta. Un carattere è bello quando trionfa, ed elevato quando lotta. 'Capisco adesso', disse Bouvard, 'il bello è il bello e l'elevato è ciò ch'è molto bello. - Ma come si farà a distinguerli l'uno dall'altro?' 'Per mezzo del tatto', rispose PécucheL 'E da dove viene il tatto?' 'Dal gusto'. 'E che cos'è il gusto?' Vienedefinito come una particolare capacità di distinzione, un giudizio rapido, la superiorità di ravvisare determinati rapporti. In breve il gusto è il gusto - ma come si faccia ad acquistare il gusto, nessuno lo dice. Ma com'è stata dunque trattata sul serio la letteratura e com'è giunta a noi, travagliata da quali metodi e rovesci di fortuna? Non si tratta di una domanda futile, poiché di tutto ciò che le è capitato, la letteratura serba qualche segno. La storia della letteratura esiste dal XIX secolo in poi, dall'epoca del Romanticismo: in quel tempo, lo studio storico venne intrapreso come un compito patriottico. Si giunse ad una meticolosa registrazione della letteratura nazionale, e spesso, anche se non sempre, l'orgoglio nazionale ha vietato ai cronisti di riconoscere che per interi periodi questa letteratura si svuota. Tali fiduciose rappresentazioni globali di qualcosa che non era un tutto bensì un 'immagine ideale ottimistica e malamente puntellata, progettata dal pathos nazionale, hanno ancora per lungo tempo influenzato i nostri libri scolastici. E tale più o meno depravata scrittura storica della letteratura, ha recato frutti inaspettatemente imprevisti, ancora una volta, nella Germania del XX secolo. Allo stesso modo, all'inizio del secolo XIX però, Goethe aveva trovato una formulazione che ha continuato ugualmente e con maggior fortuna ad agire . Vedo sempre più come la poesia rappresenti un bene comune dell'umanità e acquisti rilievo in tutti i tempi presso centinaia e centinaia di individui. L'uno la fa un po' meglio dell'altro e nuota un po' più a lungo dell'altro in superficie, questo è tutto. ·E ancora, ad Eckermann: La letteratura nazionale non ha oggi molto significato, è giunta adesso l'epoca della letteratura universale, e ciascuno deve adoperarsi adesso per accelerare una tale epoca. Ma pur tenendo in alta considerazione l'elemento straniero, noi non dobbiamo restare inchiodati a qualcosa di particolare e a volerlo ritenere esemplare. Non dobbiamo pensare sia esemplare quello cinese, o quello serbo, oppure Calderòn, o i Nibelunghi: ma necessitando di un modello, dobbiamo sempre rifarci ai Greci antichi, nelle cui opere è sempre rappresentato l'individuo bello. Tutto il resto, dobbiamo considerarlo soltanto in quanto storico, impadronendoci nei limiti del possibiledel buono che vi è contenuto. 11

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