tienti di un ambiente. Tale essenzialità, inoltre, non significa solo rinunciare a ogni inutile ridondanza, ma soprattutto rifuggire da ogni enfatizzazione del dettato, da ogni impennata retorica o sentimentale, da ogni rinuncia all'uso costante della ragione. Anche quando i temi affrontati sono più naturalmente privati e densi d'implicazioni affettive, la scrittura di Nadine Gordimer non conosce sbavature, non concedendo nulla al patetico o al melodrammatico. Come pure, nel dominio della politica, il discorso non cade mai nella vuota retorica, preferendo ella la concretezza delle cose e degli uomini, il duro spessore delle loro sofferenze e speranze, a ogni esercizio teorico-politico, a ogni spiegazione esterna e ideologica. Ciò anche perché, come sappiamo, per la scrittrice sudafricana l'impegno civile e la lotta contro l'apartheid devono tradursi in un'assunzione di responsabilità morale, che, sul piano della scrittura, significa innanzitutto esigenza di verità, anche quando essa rischia di essere spiacevole o pericolosa. Tale prospettiva di decantata ed essenziale concretezza trova ulteriore conferma nella costruzione dei personaggi, che sempre sono lontani dagli eccessi eroici come da quelli patetici, dato che essi sono privi di ogni carattere di eccezionalità, uomini e donne comuni coinvolti in vicende che, quotidiane o straordinarie, devono essere affrontate da ciascuno secondo le proprie possibilità e le proprie forze. L'autrice, così, si mostra particolarmente attenta a ricostruirne le difficoltà e le incertezze, mettendo a fuoco i percorsi della loro personalità, la resa di fronte agli eventi o la lotta per modificare i margini della propria esistenza. In tal modo i personaggi sono sottoposti a uno scavo psicologico che ne indaga, attraverso i comportamenti, i moti affettivi ed esistenziali, più che le ragioni politiche e sociali. Ma non per questo le condizioni esterne, le ingiustizie, le lotte e le sofferenze restano escluse dai racconti: la realtà delle contraddizioni politiche e sociali è ormai un orizzonte imprescindibile, che però prende forma nel testo solo in maniera indiretta, attraverso i moti coscienziali e comportamentali dei personaggi o attraverso la ricostruzione degli ambienti. Tale procedimento si fa più evidente nei racconti che hanno come sfondo il Sudafrica, dove il.cancro politico che divora il paese ha ormai completamente invaso ogni spazio della realtà, creando un clima diffuso d'incertezza e di paura, per cui le contraddizioni politiche si sono radicate profondamente nel cuore, nei nervi e nelle fibre degli individui, spingendoli ora ibliotecaGino Bianco ad atti improvvisi e irrazionali - la giovane donna di colore che denuncia il militante ricercato dalla polizia nascosto dal marito nella loro casa - ora a una quotidianità artefatta, asettica e impermeabile alle lacerazioni che sconvolgono il paese - la blindata quotidianità di quei bianchi preoccupati solo di tenere lontano dalle proprie case il fantasma della ribellione dei neri. Anche nel racconto finale - dove si intrecciano le vicende di quattro militanti, due bianchi e due neri, che stanno preparando un attentato ad una centrale elettrica (non a caso, l'attenzione della Gordimer si concentra sulla monotonia della fase preparatoria, più che sull'esito dell'operazione), e quella di un imprendibile babbuino in libertà, che crea il panico tra la popolazione bianca dei ricchi sobborghi di Johannesbrug - a essere privilegiata è la prospettiva che indaga i personaggi nella loro ricerca di identità, nel loro bisogno di un rapporto costruttivo col reale, in grado di dare una spiegazione e una motivazione ai loro gesti. In tale contesto, assume ancora maggior rilevanza la scelta di costruire il racconto attraverso la molteplicità dei punti di vista dei diversi personaggi, facendo emergere le loro diverse ristrutturazioni cognitive dei dati di realtà e le loro diverse reazioni di fronte agli eventi. Così, tramite una scelta stilistica, la scrittrice sudafricana sa affrontare con decisione il problema della relatività delle focalizzazioni cui è sottoposta la realtà e la centralità delle coordinate culturali e politiche attraverso cui si osservano e si giudicano le cose. Problematica che rivela tutta le sua urgenza proprio in una situazione come quella sudafricana, dove, appunto, la banale storia di un babbuino in libertà può occupare le pagine dei giornali e la testa della gente, mentre contemporaneamente scompare, nella sua tragica ed evidente quotidianità, lo sfruttamento di ventuno milioni di neri, privati dei diritti politici e governati da una minoranza di cinque milioni di bianchi. Per questa via, Qualcosa là fuori recupera una propria precisa valenza politica, riallineandosi alle altre opere della Gordimer: una scrittrice africana bianca che, come molti dei suoi personaggi, è alla ricerca di un'identità e di un ruolo; una donna in qualche modo simile ai quattro militanti del racconto conclusivo, i quali ormai "si erano lasciati indietro anche le 'normali' paure, ripugnanze, pregiudizi e riserve che le 'circostanze' che avevano conosciuto - il colore di cui erano e ciò che quel colore aveva voluto dire dove vivevano - avevano loro trasmesso." STORIE/FALCETTO91 IL DIOCADUTO DI PHILIP K. DICK Bruno Falcetto "L'irrealtà sta tornando. L'universo ha cominciato a dissolversi. Non si tratta del negozio. Si tratta di tutto". Sono le parole lucide e straniate di Herb Asher, uno dei protagonisti di Divina invasione, ultimo romanzo di Philip K. Dick a essere pubblicato in Italia (traduzione di V. Curtoni, Mondadori, Urania n° 1031, pp. 175, L. 3000). Parole che lasciano intendere con evidenza emblematica alcuni motivi salienti della meditatazione narrativa dell'autore americano. Innanzi tutto, la presenza della "irrealtà", di uno spessore insopprimibile di finzionee falsità, nelle vostre vite: il tema, cioè, di un'illusività dell'esperienza che appare - in un intreccio difficilmente districabile - sia come un prodotto dei meccanismi sociali (frutto di una precisa volontà di manipolazione del reale in vista di un progetto di dominio), sia come dato antropologico, tratto ineliminabile dell'interiorità psicologica di ciascun individuo. Un'illusività dell'esperienza nella quale i suoi personaggi si trovano impigliati di continuo, e contro la quale Dick nel corso della sua opera sembra aver condotto una lotta senza posa. Ma c'è dell'altro. 11tema del confronto con la "irrealtà" contribuisce a iscrivere le vicende raccontate in un'atmosfera particolarissima: lo sfondo sul quale si muovono le sue storie tende infatti ad essere sempre quello di un tempo "finale", un tempo in cui il senso di alcune esistenze individuali, di una società, della storia e dell'universo stesso viene revocato in dubbio con radicalità. Un tempo dell'emergenza, anche. La realtà come si svela ai suoi personaggi (e dunque come viene percepita dal lettore) è sempre la realtà quale - per usare le parole di Benjarnin - "balena nel momento del pericolo", una realtà stravolta nella quale vivere sembra un'impresa sempre più ardua. Al centro di questo quadro Dick colloca e fa agire personaggi comuni, assolutamente antieroici, di modesta estrazione sociale e tipicamente "senza qualità", caratterizzati per lo più dalla propria indecisione e debolezza (come Herb Asher, appunto, semplice tecnico audio, colono su un piccolo e lontano pianeta). Personaggi normali, dunque, ma in un contesto in cui ormai la normalità non può più essere tale. E tanta dell'efficacia narrativa dei lavori di Dick risiede proprio nell'effetto di straniamento e nelle potenzialità suggestive insite nel contrasto e nell'attrito tra quotidiano
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